La storia ha da sempre identificato la Cina e i cinesi come simbolo di rigidità; la stessa che viaggia di pari passo quindi con l’ideologia di organizzazione e precisione in tutti quelli che sono gli aspetti toccati con mano asiatica. Ma adesso che ci coinvolge direttamente, sembra che questo tradizionalismo sia rimasto solo sulla carta, o almeno questo è stato quello che abbiamo visto. Dopo quelli che sono stati infatti gli anni del dominio arabo e degli sceicchi che hanno, tra le tante, acquistato società del calibro di Manchester City e PSG, il “new age” sembra essere all’insegna delle proprietà cinesi. Società del levante che, tra closing rinviati, ingenti cifre messe sul piatto e nomi dirigenziali tutt’altro che chiari, hanno indubbiamente messo piede e fondamenta nel sistema calcistico italiano, sponda Milano per l’esattezza. Ma proprio con l’elencazione di tutte queste caratteristiche con le quali abbiamo identificato queste cordate (caratteristiche tutt’altro che esemplificative di perfetta organizzazione), si vanno ad alimentare i dubbi degli appassionati e anche quelli di chi scrive. Sono tante le domande con le quali possiamo identificare poca chiarezza nella faccenda: cosa porta mentalità tanto lontane a tuffarsi nel nostro calcio e acquisire società sì dall’indubbio valore, ma sobbarcate di debiti? Modelli di vita anche storicamente tanto lontani dal nostro, che vantaggio possono trarre e di converso dare alle nostre società e al nostro calcio? La favola del merchandising asiatico può reggere fino ad un certo punto, il fatto che il calcio italiano sia però in crisi a livello di incassi e spettacolo offerto è ormai acclarato: lo testimoniano stadi sempre più vuoti, che si riempiono solo nei big match. Tanti, troppi interrogativi. Ma tutti questi interrogativi sulle reali motivazioni cinesi, su cosa un pensiero tipico dell’est (di raggiungimento di obiettivo al netto delle spese sostenute) li abbia portati a tuffarsi nel nostro calcio, di quale sia il loro modo di intendere il pallone nostrano e fino a che punto sono pronti a farlo loro, aprirebbe una parentesi davvero lunghissima da rimandare ad altri contesti; ma è comunque una premessa fondamentale per cercare di ipotizzare quali potranno essere i punti concreti e reali sui quali potranno andare ad operare per risollevare le sorti di due società tanto maestose quanto in decadimento. Quali possono essere sostanzialmente le priorità sulle quali fondare una rinascita sportivo-calcistica della Milano rosso-nerazzurra? Proviamo a ipotizzarne 3. DENARO NON VUOL DIRE NECESSARIAMENTE SUCCESSO - Il primo aspetto fondamentale, è la consapevolezza che le nuove gestioni entrino nell’ottica che per il campionato italiano e soprattutto in ambito europeo, denaro non significa necessariamente successo; il già citato Manchester City ne è un esempio, ma lo è, in ambito continentale, anche il Psg. Che le nuove cordate dunque entrino immediatamente nella filosofia che avere le tasche piene e avere la volontà di riversare tal denaro sul mercato è sforzo nullo se si agisce come già assaggiato in questi primi mesi di “made in Cina”. Per farla breve, il comprare per appagare il palato dei tifosi con grandi nomi è insufficiente senza progetti a lungo corso: e se per il Milan questo discorso non è ancora affrontabile per mancanza di controprova (solo 15 milioni messi a disposizione nel mercato estivo in attesa del closing definitivo), gli acquisti dell’Inter sono risultati (almeno per il momento) “eccessivi”. Lo testimoniano l’abbondanza di esterni d’attacco, o i 27 e rotti milioni per i 16 minuti di Gabigol (per fare un nome). Lavorare sul settore giovanile e finanziarlo, sia da un punto di vista strutturale, sia a livello di migliori allenatori/istruttori disponibili su piazza; crescere il Donnarumma o Locatelli di turno deve divenire la regola, con l’acquisto di grandi e utili campioni a completare un’ossatura comunque cresciuta dall’interno. Non è forse vero che metà Barcellona è prodotto della Cantera?! RIORGANIZZAZIONE A LIVELLO SOCIETARIO – La naturale conseguenza del punto precedente è la seguente valutazione: il denaro va ben gestito; la buona gestione passa imprescindibilmente da una ferrea e ottima riorganizzazione societaria, che passa dalla nomina di cariche e ruoli ben definiti. Incarichi che vanno da impegni e funzioni prettamente economici, a quelli che riguardano invece la fase sportiva. Confondere o mescolare i ruoli sarebbe un errore imperdonabile. Tizio Presidente, Caio Direttore Sportivo; insomma, ruoli chiari, senza ibridi. Il tutto gestito periodicamente con riunioni dei quali ognuno deve rispondere dei propri risultati e perché no pagarne anche a livello societario. Vecchie glorie in società? Può andar bene, purché tutti siano consapevoli che l’aver costituito il passato di una società non deve essere l’unico requisito; occorrono risultati nei propri incarichi, ma soprattutto dei fili conduttori che leghino le menti e le filosofie orientali con il nostro calcio. Ci si ricordi che la tradizione e ciò che rappresenta a livello mondiale il Paris Saint Germain (per citarne una) non è la stessa delle squadre di Milano (sempre e comunque protagoniste, fino a questi ultimi anni, a livello europeo e internazionale). STADIO DI PROPRIETA – Questo potrebbe essere il passo più doloroso, ma anche uno dei più necessari. Per entrambe le società (o almeno una di esse), andare a costruire un nuovo stadio, completamente indipendente e distaccato dai costi di affitto comunali. Certo, abbandonare San Siro o il Meazza che dir si voglia, per tutto quello che in “quella casa” è stato vissuto non sarà facile; ma soluzioni alternative sembrano al momento non esserci. Lo stadio di proprietà, almeno adesso, incide e non poco sul fare la differenza e anche le piccole proprietà se ne sono accorte e non si sono fatte prendere di sorpresa. Milan e Inter hanno bisogno di tornare ad avere il proprio pubblico al loro fianco; una riduzione dei posti (stile Juventus) è un ulteriore progetto da tenere in considerazione, purtroppo non si possono ignorare le difficoltà economiche del nostro secolo. E siamo sicuri allora che, qualora queste soluzioni vengano ad essere raggiunte, tutto potrà finalmente tornare a funzionare; il percorso è lungo e impervio, gli ostacoli sono tanti, ma bisogna accorciarlo e abbassarne il livello di difficoltà. A quel punto i cinesi avranno applicato la loro ferrea regolamentazione all'insegna del successo, di cui Milano ha bisogno.