E’ il 17 giugno 1970. Lo Stadio Azteca di Città del Messico è pronto ad ospitare la semifinale della Coppa Rimet. A giocarsi la finale sono la Germania e l’Italia. La Germania aveva tre stelle sulle quali reggeva la formazione: Maier, Beckenbauer e Muller. L’Italia aveva l’ossatura dell’Inter di Herrera, tra cui spiccava il capitano Facchetti, e come centravanti l’eroe che aveva portato in quello stesso anno lo scudetto a Cagliari: Gigi Riva. Accanto a lui Sandro Mazzola, due volte campione d’Europa. La partita è attesissima. Si gioca alle 16 locali, ovvero a mezzanotte in Italia. Tutti gli italiani rimasero svegli a guardare quella che poi divenne una delle partite più emozionanti di tutti i tempi. Gli Azzurri scendono in campo affamati di gol, e lo trovano subito, con un rocambolesco tiro di Boninsegna, che batte Maier e sigla il risultato sull’1-0. Ma rimangono ancora 80 minuti da giocare. L’Italia arretra il baricentro e punta sul catenaccio, concedendo non poco alla formazione tedesca, ma riuscendo comunque a concludere il primo tempo in vantaggio. Nel secondo tempo, un cambio inaspettato: esce Mazzola, entra Rivera. Mazzola la prende molto male, soprattutto perché gli Azzurri avevano impostato la partita sulla difensiva e Rivera era più offensivo di Mazzola. Il più attivo in tutto il secondo tempo è il tedesco Grabowski, che, dopo aver preso una traversa, vede svanito il gol da un miracoloso intervento in rovesciata di Rosato. La Germania non riesce a segnare e il tempo scorre: è il 90’. L’arbitro dà 3 minuti di recupero, che per molti, Nando Martellini in primis, sembra eccessivo. E la Germania trova il gol, proprio quando la partita sembra chiusa: al 92’ Schnellinger con una spaccata spiazza Albertosi: è 1-1. Nel dopopartita Schnellinger dichiarerà “tutti pensavano che la partita fosse finita, ero in quella zona del campo per andare negli spogliatoi, e invece ho fatto gol”. Un gol pesantissimo da digerire, che manda la partita ai supplementari. I tedeschi sono galvanizzati e trovano il gol grazie a Muller che approfitta di uno svarione di Poletti, entrato al 91’ al posto di uno sfinito Rosato. Ma l’Italia non si perde d’animo e quattro minuti dopo trova il 2-2 con gol di Burgnich. L’allora terzino nerazzurro era uno che non varcava mai la soglia della metà campo. Ciò sta a dire che in quella partita può succedere di tutto. E infatti, prima che scada il primo tempo supplementare, l’Italia trova il gol con Riva. Sembra finalmente che la partita si sia messa per il verso giusto. Ma tutto cambia al 110’, quando i tedeschi stanno per battere un calcio d’angolo. Rivera rassicura tutti: “Ci vado io sul primo palo”. Arriva uno spiovente in area e Muller colpisce di testa proprio verso il primo palo. La palla passa a un centimetro da Rivera ma lui resta immobile: è 3-3. Rivera è disperato, Bertini lo prende a male parole e lui dice che “per rimediare a questo errore posso solo fare gol”. Detto fatto. Passano appena 40 secondi. L’Italia si porta in avanti con Facchetti che lancia Domenghini sulla fascia. Il pallone è in area e vaga tra Held e Beckenbauer. Ma da dietro arriva lui, Gianni Rivera, che colpisce il pallone di piatto destro e, spiazzando Maier, trova il gol decisivo del 4-3. L’Italia esplode di gioia. La Germania ormai è sfinita e non riesce più a portarsi in avanti. L’arbitro fischia la fine. L’Italia, dopo 32 anni, torna in finale della Coppa del Mondo. L’intero Paese è in festa. Per la prima volta gli italiani scendono in piazza, sventolano la bandiera tricolore e strombazzano in giro per la città con clacson e trombette. E’ storia. La rivalità con la Germania era sentitissima all’epoca. L’Italia e la Germania avevano due scuole e filosofie opposte: i tedeschi avevano un sistema di gioco ben impostato e strategico. Dall’altra parte, invece, c’era un calcio più improvvisato, che puntava sull’imprevedibilità e sul contropiede. E’ impossibile descrivere quella partita in poche righe. Oggi lo Stadio Azteca ospita una targa commemorativa di quella partita. “El Partido del Siglo”, “La Partita del Secolo”, quella che ha visto un’Italia rinascere, non solo calcisticamente. Un’Italia che dopo la paura era ripartita da zero, che era partita dal nulla, e che, grazie alle mani degli italiani, in quegli anni tornò ad essere grande. Andrea Pontone