Oggi, allo stadio Paradiso, c’è una grande esibizione. Tre angeli – come quelli che il regista Wim Wenders ha fatto volteggiare nel Cielo sopra Berlino – daranno vita a uno show di palleggi, rovesciate e cannonate da spaccare i legni della  porta. Pelè e Maradona hanno intuito che stava per arrivare Gigi, perché hanno avvertito un rombo di tuono nel cielo. C’è dunque grande frenesia, tra gli abitanti di questo esclusivo resort celeste. Un signore, massiccio, con un perenne sigaro tra le labbra, ha preso posto in primissima fila. Un tavolinetto con una bottiglia di Barbaresco poggiata sopra - un vino suggeritogli dal suo amico Nereo – e borbotta continuamente, con un forte accento del pavese profondo, “ Roba de matt…qui bisogna portarsi le sedie da casa come nelle chiese di campagna”. Poi, qualcuno accanto a lui, gli dice: ” Tasi Gioan …ti avevi detto che il Gigi con un piede solo non sarebbe andato lontano…la solita previsione sbagliata…come quella sull’altro Gioan, il Rivera…pensa ti che roba! Il Gioan pavese fa finta di non capire e si rifugia nel suo autistico mormorio.

ELEGIA DI UN CANNONIERE
Quando si raggiunge una certa età- e io ci sono arrivato – la vita non è più regolata dall’anagrafe. Si…ci sono gli acciacchi, molti rimorsi, tanti rimpianti, le cose che potean essere e non sono state come scrisse un malinconico poeta. Diventiamo ‘epoche’! Ci portiamo dietro un fardello di emozioni vissute, di momenti esaltanti, di gioia incontenibile. E’ a lui,  Gigi Riva da Leggiuno, uomo di lago con il cuore legato a un’isola circondata dal mare, gli dobbiamo molto di questo caleidoscopio di emozioni  che, spesso, nei momenti di vaga tristezza, gira vorticosamente nella nostra mente.
Stamattina, rileggendo la sua ultima intervista, mi è venuto in mente il film di Wenders. Ha raccontato  infatti, che il suo cielo  era quello tra Pula e Villasimius – in Sardegna – dove ci andava in macchina di notte, per passeggiare e ascoltare la musica.Le canzoni di De Andrè. Fa venire in mente l’arte di Paul Klee, pittore dell’astrattismo, che scopri relazioni magiche tra forme, luoghi, colori della natura e della mente. Non a caso fu uno degli ispiratori del bel film di Wenders. Ora, prima di proseguire, una doverosa premessa. Noi vogliamo tratteggiare il ricordo di Gigi attraverso ricordi e, appunto come dicevo prima, soprattutto emozioni. Non siamo archivisti, né contabili- Oggi va di moda, in ambito calcistico, il resoconto notarile…nel 1960 giocava con la squadra Tal dei Tali e segnò X goal…assist, passaggi, possesso palla…non m’interessa. Sono altri gli aspetti che voglio evidenziare.

IL MITO
Una decina di anni fa, un caro amico sardo, per farmi capire bene qual era il legame, della sua isola, con questo giocatore nato in un piccolo paese, al confine con la Svizzera mi raccontò un episodio. Era andato in un campetto, dove si disputava un incontro tra giovanissimi calciatori dilettanti . Tutti e 22 i giocatori indossavano la maglia numero 11 di Riva. Per spiegare un mito non occorre dunque ricorrere all’archivistica. L’episodio vale più di cento tabelle. Il mito, ovviamente, ha una data di nascita: 12 aprile 1970. Il Cagliari è campione d’Italia. Non si ripeterà più, ma il fatto rimane impresso, dal fuoco della memoria, nel cuore di un’intera isola che, in quell’impresa calcistica, trovò il suo riscatto. La rivalsa nei confronti delle potenze calcistiche del Nord costrette a inchinarsi di fronte alla travolgente marcia dell’11 sardo. A proposito, di formazione, c’è un altro aspetto che mi ha colpito. Recitare i nomi dell’11 sardo era diventato  un moto spontaneo come quando si recita  una  preghiera. La sapevano tutti a Cagliari, come l’Ave Maria e il Padre Nostro e la biascicavano velocemente anche quelli che di calcio non sapevano nulla: albertosi martiradonna,mancini,cera, niccolai, tomasini,nenè, brugnera, greatti,rivaaa. Provateci. Spesso mi capita di scrivere che la Storia e il Calcio sono sulla stessa pagina del Libro. Qui è la Storia di un’isola, della sua gente, un popolo fiero e orgoglioso, che innalza come un vessillo, di fronte al mondo, un sogno diventato realtà. Non siamo più un luogo di confino come punizione – dicevano i sardi, siamo la terra con una squadra vincente che è al centro del calcio italiano.  Terra di punizione. Vero. Nel 1972, mio fratello, si presentò in ritardo alla visita di Leva. Per rammentargli che la puntualità fa parte dei doveri di un cittadino lo mandarono a Macomer per i tre mesi di CAR . A quei tempi, non tutta a Sardegna, era Costa Smeralda.

MI PAREVA L’AFRICA
Nel 1963, il Cagliari sborsò una  bella cifra per prelevarlo dal Legnano, che giocava in Serie C e portarlo nell’isola. 37 milioni, allora, non erano proprio bruscolini. Gigi, 19 anni, non fece salti di gioia quando lo seppe. Raccontò ,dopo, che all’epoca la Sardegna gli pareva l’Africa. Lo zio, tra l’altro, figlio di una generazione che dell’isola aveva un concetto punitivo, rincarava la dose dicendogli: “ Se ti trasferiscono lì, qualcosa di male devi avere pur fatto”.Il Cagliari era in Serie B, ma anche grazie ai suoi bolidi tornò in A . Preludio alla stagione incredibile del 1969/70. Nel frattempo il leggiunese , schivo, di poche parole –molto simile ai sardi in questo – era entrato nel cuore di tutti gli isolani e, diciamolo, soprattutto in quello delle giovani isolane che, in questo ragazzo, alto, robusto, con gli occhi malinconici,che com’è noto fanno sempre breccia nei cuori femminili, avevano riposto qualche sogno, anche un tantinello  proibito. La scultorea figura fisica di Gigi divenne, in quegli anni, post 68, un’icona del corpo. I media individuarono in lui l’Adone di quegli anni. Foto e statue cominciarono ad apparire nei locali pubblici di tutta l’isola.
Fino a qualche anno fa, nel bar Marius di Cagliari, covo storico della tifoseria sarda, c’era una statua di cera a grandezza naturale. Dicevamo dei media. Gigi Riva forniva materiale immenso per la costruzione di paginate intere e ci marciava anche la TV. Ovviamente fu  l’estrosa fantasia di Gianni Brera a coniare  il soprannome che, nel tempo, divenne un marchio : Rombo di tuono. La Sardegna, in quegli anni, non era solo l’isola del bel mare incontaminato, del Cagliari di Gigi, ma anche la terra del banditismo. Protagonista assoluto di questa fu Graziano Mesina, primula sarda di un genere assai diverso,  che, manco a dirlo, era tifosissimo dei rossoblu. Ricercato, latitante si camuffava e travestiva per recarsi allo stadio a vedere le partite. Sapeva che le grandi squadre del Nord volevano ingaggiare Riva senza badare a spese. Gianni Agnelli, per portarlo alla Juve, era pronto a pagarlo un miliardo. Lui rifiutò. Mesina, gli inviò diversi messaggi, con i quali gli intimava di non lasciare l’isola. Lui non rispose mai e un giorno se lo ritrovò in macchina. E gli rammentò che non doveva lasciare il Cagliari. Riva gli disse che questo lo aveva già deciso da solo e che, con il suo carattere, se avesse voluto andarsene lo avrebbe fatto senza chiedergli il  permesso. Mesina, chiaramente, era il tipo di persona che apprezzava i caratteri forti e fieri. Di Gigi si è detto anche, in un bel libro, che ha sospinto l’isola verso l’età moderna.” Acculturava i pastori costretti ad acquistarle radioline a transistor per seguire le imprese del Cagliari”.

L’ALLENATORE FILOSOFO
Quella dello scudetto fu una stagione incredibile. La compagine era fatta da un gruppo molto coeso, molto compatto. Erano convinti di potercela fare.
«Non ne parlavamo - ha raccontato Riva -, noi giocavamo tranquilli. Ma pur rendendoci conto che stavamo andando veramente forte, continuavamo a fare finta di niente, era il nostro modo di vivere quel momento».Ora, parliamoci chiaro, è vero che i pupi erano in gamba, ma il puparo era un tipo che sapeva muovere bene i fili. L’allenatore era Manlio Scopigno, razza friulana, arguto, ironico, dotato di acume tattico. Lo avevano soprannominato il filosofo. Faceva giocare i rossoblù con un modulo di calcio totale. Aveva trovato per Pierluigi Cera la posizione di libero moderno che giocava davanti alla difesa piuttosto che alle spalle. In porta c’era Ricky Albertosi, all’ala destra Domenghini, in attacco il raffinato Nenè, preso dalla Juventus. Scopigno era uno di quegli allenatori che agli ordini preferiscono il dialogo. Piuttosto che imporre, meglio responsabilizzare. A questo proposito, Albertosi ha raccontato che il mister lo lasciava andare all’Ippodromo purché arrivasse puntuale in ritiro. Pierluigi Cera, capitano della squadra, ha rammentato un episodio preciso che tratteggia benissimo l’uomo -Scopigno. «Eravamo in ritiro per una partita di Coppa Italia e in sette o otto, in barba alle regole, ci eravamo dati appuntamento in una camera per giocare a poker. Fumavamo tutti e giocavamo a carte sui letti. C'era anche qualche bottiglia che non ci doveva essere. Ad un tratto si apre la porta: è Scopigno. Oddio, penso, ora ci ammazza! Entrò, nel fumo e nel silenzio di noialtri che aspettavamo la bufera, prese una sedia, si sedette vicino a noi e disse tirando fuori un pacchetto di sigarette "Do fastidio se fumo?" In mezz'ora eravamo tutti a letto ed il giorno dopo vincemmo 3-0».

GIOCATORE SPETTACOLARE
Non scopriamo l’acqua calda se diciamo che la fisicità era il punto di forza di Gigi Riva. Sulla potenza dei suoi tiri c’è un florilegio di aneddoti. Durante un allenamento, a Roma, una sua cannonata ruppe un braccio a un bambino che si trovava dietro la porta. La velocità di tiro pare fosse stata calcolata in 120 km all’ora. Albertosi, durante gli allenamenti, spesso se la svignava per evitare di parare le bordate di Gigi nel corso della tradizionale partitella in famiglia.  Ma, era anche un calciatore spettacolare . Era plastico con le rovesciate, imperioso nei colpi di testa. Realizzò una rete, con la nazionale, contro la Germania Est talmente iconica che divenne poi parte della sigla di coda della Domenica Sportiva. Arrivò un cross da sinistra in area si lanciò in tuffo colpendo forte di testa con il corpo in posizione orizzontale. In azzurro, il suo nome rimane legato a quella semifinale, in Messico. Con Rivera, nella rarefatta atmosfera dello Stadio Azteca, scrissero una pagina di storia calcistica. Nei tempi supplementari, di quella partita diventata, per molti di noi, parte della nostra vita segnò un goal che il giornalista Mario Gismondi definì “ il gol più bello della più bella partita dello sport più bello del mondo.”C’è un meraviglioso cortometraggio, diretto da Vito Biolchini,in cui i goal di Riva vengono mostrati con la colonna sonora di Jim Hendrix. Adesso, se chiudo gli occhi, vedo ,come nella dissolvenza di un film, Maradona  e Pelè che lanciano Riva verso la porta e stavolta la colonna sonora è una canzone di De Andrè il cantante preferito da Gigi che canta Via del Campo. Gioan  si alza barcollante dalla sedia e solleva il calice per brindare a una celestiale cannonata di Rombo di tuono.
Addio Gigi, grazie e ti sia lieve la terra.