Che Gasperini abbia un pessimo ricordo dell’Inter non è affatto mistero. Parere personale, ha anche il dente avvelenato, per quanto lui stesso affermi, nella recente intervista riportata su Calciomercato, che chi è felice non cerca vendetta. Stimo Gasperini, è sicuramente un uomo di valore nel calcio (nella vita non so, non lo conosco personalmente), nonostante parli spesso della mia squadra del cuore in maniera negativa. Penso che abbia ragione su diversi argomenti: non è giusto investire su un allenatore, le cui idee sono chiare, chiarissime, per poi rinnegarlo dopo poche partite. Penso che un esonero così macchierebbe la reputazione di chiunque, ne abbattirebbe il morale e che sia ingiusto. Pertanto capisco l’astio personale di Gasperini nei confronti della società che – non solo non lo ha protetto – ma l’ha rinnegato tanto facilmente, arrecandogli un danno soprattutto personale. Ritengo che abbia ragione quando afferma che la sua Inter era una squadra al tramonto, su cui non vi era programmazione, budget e società per tenerla in piedi ai livelli a cui eravamo abituati nel periodo prima del triplete. Vero anche che Moratti lo ingaggiò senza mai appoggiare pienamente il suo progetto. E, giustamente, Gasperini sottolinea la diversità tra quell’Inter e la squadra di oggi, in crescita e che investe. Sebbene stia cavalcando l’onda, che non sarà eterna, credo che Gasperini sia, tutto sommato, un buon allenatore, difesa a 3 o no. Nella sue analisi però, non mette mai in discussione un elemento, fondamentale e parte integrante di quell’Inter. Gasperini stesso. Infatti è sempre l'Inter che non ha creduto in lui, che non lo ha appoggiato nelle scelte, un’Inter che era al tramonto e senza prospettiva. E ancora, la società lo ha de-valorizzato, è stata ingiusta perché non ha creduto in lui, non è stata lungimirante perché oggi la difesa a 3 viene usata anche da Chelsea, Juventus, Barcellona, etc. Lui, in tutto questo, alla stregua dei più grandi martiri, è esente da colpe in tutte le sue interviste. I grandi allenatori si caricano le responsabilità sulle spalle, mangiano l'ansia e la digeriscono così da non scaricarla sulla squadra e nelle interviste ai giornalisti. Portano serenità per mantenere la concentrazione alta. Sono carismatici, elastici e NON muoiono con le proprie idee, ma le modificano giorno dopo giorno a seconda dell’occorrenza. Lui stesso, infatti, dice che se muore, vuole morire coerente, io dico che la rigidità è un handicap, sia nel calcio che nel business, che nella vita. D'altronde lui stesso afferma di avere problemi a reggere lo stress, di voler morire con le proprie idee e di non voler più accettare ruoli da manager in società che non puntano 100% sui di lui e sposano il suo progetto. La domanda è, pur ammettendo che tu sia un buon allenatore, sei il professionista giusto per una società come l’Inter? Ai posteri larga sentenza