Eravamo sul pontile di Punta Navaccia in attesa del battello che ci conducesse ad Isola Maggiore, le nostre famiglie, la mia e quella di un mio caro amico, Mario allora diciottenne un anno più di me, si erano accordate per fare una gita ed un picnic ai piedi del Castello Guglielmi. 
Papà Renato e Giulio, il padre di Mario, stavano facendo i biglietti mentre le nostre mamme parlavano di ricamo vedendosi già immerse nella visita al museo degli storici merletti manufatti nell'isola. Dalle due ceste di vimini contenenti tutto il vettovagliamento necessario per la scampagnata, fuoriusciva un profumo di porchetta calda, tipica del gustoso maiale di queste zone, non resistetti, vedevamo in lontananza la sagoma del battello, avrebbe impiegato una decina di minuti prima di attraccare ed io, colto da un crampo di fame e catturato da quell'effluvio irresistibile, aprii la cesta e ne presi un panino, lo divorai in quattro bocconi, ed altrettanto fece il mio amico Mario mentre i nostri genitori neppure se ne accorsero. Le mamme a conversare sui vari tipi di merletto e di punti ricamo, mentre i papà parlavano di calcio; Giulio era un tifoso Rossonero come me e Mario, mentre papà Renato non era mai stato un appassionato di calcio, la sua vera passione era il ciclismo, però sapeva anche parlarne dato che rappresentava uno dei temi giornalieri nell'agenzia di stampa ove operava, e così quando si trovava a conversare sull'argomento non nascondeva la sua profonda simpatia per la Fiorentina.

Il battello in arrivo, Agilla, era nuovo di zecca ed ospitava all'incirca un centinaio di passeggeri quasi il doppio del suo predecessore ormai datato e fermo in darsena. Stava appunto attraccando quando vidi arrivare di corsa due ragazze, non credevo ai miei occhi, era Milvia con Graziella, una sua amichetta.
Milvia la conoscevo da un annetto, ma la vedevo solo in occasione dei ponti delle festività e durante le vacanze qui sul Trasimeno dove per molti anni i miei, avendo i genitori qui residenti, solevano trascorrere buona parte dell'estate fuggendo dall'afa della capitale. Mi ero preso una scuffia tale per questa ragazzetta allora quattordicenne che ancora ne avverto al solo ricordo piacevoli sensazioni, ma anche purtroppo delle noiose fitte allo stomaco. Forse Milvia aveva saputo da qualcuno della nostra gita e, innamorata anche lei, si era precipitata inventando una scusa a sua madre, complice, mentre suo padre non avrebbe dovuto sapere nulla... ma quella gita... ahimè... si rivelò purtroppo...galeotta!

Dopo 15 minuti di navigazione il battello attraccò al pontile di Isola Maggiore, la seconda in grandezza delle tre isole del lago Trasimeno, la più vasta è la Polvese mentre la più piccola è la Minore, completamente boschiva e disabitata. L'isola Maggiore è racchiusa in un perimetro di 2 km ed ha una superficie di 24 ettari e conta ad oggi solo 15 residenti. Somiglia ad una collina che si erge in mezzo al lago, la sua sommità è di 309mt. L'abitato, in prevalenza case di pescatori, si trova a partire dal molo nella zona occidentale dell'isola. Nel suo interno si può osservare un labirinto di sentieri che dipartono tra la fitta vegetazione fatta di ulivi, lecci, pini, cipressi, pioppi oltre ad altre varietà della macchia mediterranea.
La sua storia iniziò nel IX sec. d.C. quando l'Imperatore Ludovico il Pio concesse al Papa Pasquale I la città di Perugia con le tre isole del Trasimeno. Nel 1211 San Francesco vi si ritirò in solitudine durante la Quaresima, e a ricordare quell'evento furono eretti nel 1328 una Chiesa ed un Convento dedicati al Santo. Alla fine del XVII sec. l'isola contò il massimo dei suoi abitanti mai registrato, ben 600.
All'inizio dell'800 per volere del Papa Pio VII l'Isola
Maggiore passò sotto la giurisdizione di Castiglion del Lago. Infine gli isolani, allora in 200, decisero di annettere il proprio territo al comune di Tuoro sul Trasimeno, correva il 1875 e solo 12 anni dopo il marchese Giacinto Guglielmi di Civitavecchia acquistò la Chiesa con annesso il Convento Francescano, per trasformarlo in un castello privato che rimarrà di proprietà di quel casato fino al 1975.
Il Castello Guglielmi ospitò durante il secondo conflitto mondiale alcuni ebrei sotto la protezione del Marchese che ne evitò la cattura da parte di un drappello di soldati al servizio di Hitler, sguinzagliato nell'isola alla ricerca di partigiani nascosti. Gli ebrei si rifugiarono per tre giorni nella fitta boscaglia eludendo i tedeschi, e poi con l'aiuto di alcuni pescatori riuscirono con un barcone a raggiungere la riva Sud del lago nei pressi della località Sant'Arcangelo, dove una squadra di soldati britannici li condurrà in salvo.

Tutti i gitanti appena sbarcati dal battello percorsero Via Guglielmi, l'arteria principale del Borgo tutta pavimentata con storici mattonati di color rossastro disposti a pettine. Poco più avanti ci sono i resti di due Chiese risalenti al XV sec. in stile neo-barocco, la Chiesa del Buon Gesù e quella della Buona Morte, poi sconsacrata (il nome derivava dall'annessione di un piccolo Cimitero). Tra le due Chiese si trova "Il museo del merletto".  La sua storia si riconduce agli inizi del '900, quando la marchesa Elena Guglielmi, avendo del personale di servizio di origine irlandese, fondò con il loro primo contributo una scuola laboratorio di merletto a punto Irlanda, eseguito ad uncinetto ad imitazione dell'autentico merletto irlandese, a tutt'oggi un tipo di ricamo molto ricercato dalle intenditrici.

E mentre le nostre mamme visitavano con molto interesse il museo del Ricamo ed i nostri papà entravano nell'attiguo museo della Pesca, Mario assieme a sua sorella Paola, io con la fidanzatina Milvia, mentre la sua amica Graziella aveva fatto amicizia con un ragazzo olandese in gita turistica assieme ai suoi compagni di classe, mano nella mano percorrevamo il floreale viale d'ingresso al Castello Guglielmi. Il Marchese, che poi divenne senatore, acquistò dalla congregazione dei Frati Minori di San Francesco la Chiesa, il Monastero con annessa una  torre medioevale nel 1887 per la somma di 3.200 £ e negli anni successivi fece incorporare il tutto in un nuovo complesso costituto principalmente da un Castello in stile gotico ed accostabile al Castello Miramare di Trieste, per molti decenni venne denominato Castello Isabella in onore della sua nobile signora.
Nell'anno 1904 terminarono i lavori ed il Castello venne inaugurato con una fastosa cerimonia e rimarrà di proprietà dei Guglielmi fino al 1975, poi seguì il suo abbandono e degrado. Iniziarono diverse, ma disattese aste di vendita, ed infine nel 2010 una ditta di restauri se l'aggiudicò a prezzo di saldo, ma solo un anno dopo dichiarerà fallimento, e ad oggi il bel Castello Guglielmi può essere ammirato solo dall'esterno.

Superati i giardini ed un chiostro all'interno del Castello tutti i visitatori si erano soffermati sull'atrio e sui saloni d'ingresso al piano terra per ammirare arazzi, armature, antichi quadri d'arte e ritratti di antenati, mentre io e Milvia, sempre mano nella mano, salivamo l'imperiale scala che conduceva al salone delle feste ricco di stucchi, decori, volte affrescate sui soffitti con lampadari di Murano e mentre i nostri sguardi roteavano come in una giostra, d'improvviso si trovarono calamitati, l'un l'altro, fino ad avere una unica congiunzione, dalla vista alle braccia, dalle mani alle gambe, in pochi secondi ci ritrovammo in un contorto, inesperto intreccio, quando, come l'attimo in cui l'aereo in fase di atteraggio tocca terra....ecco ...le ruote del carrello baciare l'asfalto ...sgommare sulla pista....e tutti i passeggeri ad applaudire!!... mentre le nostre labbra, come quelle ruote sulla pista, si erano incollate con una sensazione paradisiaca, una mistura intraducibile di sapori e profumi....quando.... un refolo di vento tagliò le nostre guance avvinghiate ed accaldate...e quello spiffero accompagnato da un doppio schioccare dei palmi della mano ci raggelò.....
"...Beh!!!...giovanotti...ma cosa state facendo?!?...ma non vi vergognate!?!...dove sono i vostri genitori?!?....per ora ...fuori di qui!!!"
Così tuonò  la custode del Castello certa Sig.ra Delfa, una donna grassoccia, sulla sessantina... semplicemente odiosa!
Io e Milvia fuggimmo dalla vergogna ognuno per fatti suoi... ci ritrovammo alle 17 sul battello nella via del ritorno, ma ci sentivamo come Paolo e Francesca, i due amanti posti da Dante nel V Canto dell'Inferno tra i lussuriosi che trovarono la morte per mano di Gianciotto marito di Francesca.  
Ecco, io e Milvia seduti a poppa di quel battello nella via del ritorno da quella infausta gita ci guardavamo con un perfetto mutismo, avendo compreso che quel galeotto incontro nel Castello Guglielmi rappresentava per noi, quel giorno, come l'aver rivissuto qualche secolo prima, la vicenda del Castello di Gradara con i due celebri concubini protagonisti della storia... cambierà solo l'epilogo, allora ci fu un duplice omicidio, ora la Sig.ra Delfa nei panni di Gianciotto compirà con un semplice rimprovero, sempre un doppio omicidio, se pur solo "sentimentale", ponendo così la parola fine all'appena sbocciato nostro innocente e platonico amore.

Quella notte non dormii e la stessa cosa fu per Milvia, me lo disse all'indomani dopo la Messa, era Domenica, ma tutto il paese aveva già saputo del nostro bacio segreto nel salone delle Feste nel Castello Guglielmi.
L'onta fu tale che io e Milvia, dietro i continui rimbrotti dei due parentadi, becera eredità di un radicato, incongruente costume ormai medioevale, e dopo un'ennesima furente lite tra i nostri genitori, fummo costretti, nostro malgrado, a non frequentarci più.
Soffrimmo per qualche mese tutti e due, scambiandoci di nascosto una segreta corrispondenza, avendo trovato due confidenti cui far recapitare le nostre lettere, così detti ruffiani, che successivamente le avrebbero girate a noi due.
Ma non durò molto, dopo qualche mese il mio ruffiano a Roma cambiò residenza e Milvia pensò, non ottenendo più risposte da parte mia, che non nutrissi più interesse per lei. Molti mesi appresso, quando venne a sapere la verità, ne rimase di sasso piangendo amaramente, ma ormai si era fatta un altro filarino, e del resto anche io dopo quella scoppola rimasi per qualche tempo interdetto, ma poi cedetti trovando negli ambienti scolastici una bella romanina. E la vita per ciascuno di noi continuò!
Ma per Milvia purtroppo il destino fu ingeneroso, privandola della vita a soli 55 anni a causa di un male incurabile. Ma io amo ricordarla con i suoi capelli rossi al vento sul ponte di quel battello Agilla, tra le verdi acque del lago Trasimeno, prima che arrivassimo al Castello Guglielmi, amara tomba dei nostri ferventi sentimenti!

Dimenticata quella Domenica, il mercoledì successivo di quel 22 Maggio 1963 la TV avrebbe trasmesso in diretta alle ore 15 la telecronaca della finale di Coppa Campioni, dallo stadio Wembley di Londra, tra il Milan ed il Benfica. A casa del mio amico Mario c'era già il televisore, mentre i miei nonni lo avrebbero acquistato solo per il successivo Natale.
Quel mercoledì Giulio, il padre di Mario, di professione falegname, doveva consegnare una enorme libreria con scrivania presso uno studio notarile di Perugia e quindi sarebbe rientrato solo per cena. Io e Mario esultammo, casa e salone con TV sarebbero state tutte a nostra completa disposizione e da ragazzi volevamo provare l'ebbrezza tipica dei grandi, gustandoci il nostro Milan con sigaretta in una mano e bicchierino di grappa nell'altra. Ma sorse un problema, le sigarette erano sparite dalla circolazione a casa di Mario dal giorno in cui suo padre Giulio si era accorto dell'ennesimo ammanco delle sue Nazionali. Inoltre, l'ingenuo Mario era stato colto in flagrante dalla madre mentre usciva dal tabacchino con 5 sigarette in una bustina...
"  ...Mario non dirmi che sono per il babbo...lui le compra a pacchetti!!... E lei Sig. tabaccaio... non sa che non si possono vendere sigarettte ai minori!?!... la prossima volta avvertirò i Carabinieri!!" 
Che carattere la mamma di Mario... era la Sig.ra Amelia, impiegata negli uffici comunali del paese, ma al di là del suo carattere arcigno era una brava donna e benvoluta da tutti.

Casualmente la mattina di quel mercoledì, di ritorno dalla sala giochi dell'Oratorio nella discesa vicino alle scuole all'angolo di un vicoletto notammo Ciancambilla, il beone del paese, nonostante fosse mattina era già ciucco, bottiglia di vino da una parte e sigaretta... ma no, ma non era una sigaretta... sembrava un arbusto di liquirizia e Mario a lui: "...Cianca...ma che fumete? (cosa fumate?)"
"...ehhh...le sigarette e'n chere (sono care)...i quatrini son pochi....o van pe'l vino...o van pe'r fumè..!!" 
"...Beh ...e allora!?..che roba è!?...e dove la si trova!?" 
"...ma 'nne vorrete tanta - e tolse dalla saccoccia sdrucita della sua giacca una manciata di quegli zeppetti - ...freghi (in dialetto= ragazzi)...son vitalbe...vite (andate) su a la Croce ...e ne facete 'na sporteta!! (una cassetta)".
Ringraziammo e ce ne andammo, per quel pomeriggio di sigarette ne avevamo, l'indomani saremmo invece andati alla Croce, un monumento a Croce ferrea alto 6/7 mt e posto sulla sommità di una collina sovrastante il paese di Tuoro, fu eretta con un obolo di tutti i reduci della prima guerra mondiale per ringraziare l'Altissimo di essere tornati sani e salvi a casa. Nella sottostante boscaglia, tra varie piante cresce copiosamente la vitalba, una pianta arbustiva che deriva dalla vite bianca, presente su tutto il territorio della penisola fino a circa 1300 mt di altitudine tra boschi di latifoglie e macchie temperate, il suo nome latino è "Clematis vitalba" e quello che ci disse Ciancambilla risponde a verità, in tempi remoti si fumava, ora è usata in erboristeria per combattere artrite e reumatismi. Quando la fumammo avvertimmo un sapore tra l'amarognolo come il rabarbaro ed il più aromatico ginepro, comunque lo zeppetto di vitalba, molto simile alla sigaretta e per giunta gratis, quando era acceso ci faceva sentir grandi e questo a noi per il momento ci andava più che bene.

Alle 15 precise io e Mario eravamo sprofondati nelle poltrone del salotto di casa sua, due vitalbe accese e la bottiglia di grappa artigianale presa dal mobiletto bar, mentre la voce del telecronista Nicolò Carosio scandiva le formazioni delle due squadre; cominciò dai portoghesi con la metà dei suoi calciatori titolari della nazionale, ed ecco gli schieramenti Benfica: Costa, Pereira, Domiciano, Raoul, Fernando, Humberto, Coluna, Santana, Eusebio, Torres, Simoes Allenatore Fernando Riera. Milan: Ghezzi, David, Trebbi, Benitez, Maldini, Trapattoni, Dino Sani, Rivera, Pivatelli, Altafini, Mora  Allenatore Nereo Rocco.
Eravamo reduci di un fresco scudetto cucito sul petto, ma il Milan di allora non aveva ancora in Europa la nomea calcistica del già affermato Benfica. 
Ma al 19' del primo tempo le nostre vitalbe si spensero, i bicchierini di grappa rimasero mezzi pieni sul tavolinetto, aveva segnato Eusebio e la musica per tutto il primo tempo non cambiò, la prevalenza per volume di gioco ed occasioni fu di netta marca lusitana.
Ma nella ripresa la musica cambiò e al 13' Altafini pareggiò per poi dopo soli altri 12 minuti raddoppiare... e lì scoppiò il delirio di tutti i tifosi milanisti che avevano raggiunto lo stadio di Wembley, al termine della gara vinta dai Rossoneri per 2 a 1, anche il composto cronista Nicolò Carosio sottolineerà che il Milan arrivò non solo alla conquista della sua prima Coppa Campioni ma anche ad essere la prima squadra italiana a vincere un trofeo Europeo.
Lo spettacolo finale con l'allenatore Nereo Rocco, (il Paron), il Direttore tecnico Gipo Viani, il Presidente Andrea Rizzoli con tutta la squadra da Gianni Rivera a Ghezzi, un eroe con le sue parate salva risultato, a papà Cesare Maldini, Trapattoni, Dino Sani e tutti i ragazzi di quella grande impresa rimarranno indelebilmente impresse nelle nostre menti.
Molto meno impressa rimase invece nella memoria di Giulio, di ritorno da quella consegna a Perugia, la bottiglia praticamente vuota di grappa e poi vide il posacenere con una diecina di zeppetti sbruciacchiati e ...
"...Ragazzi ...ma che avete fumato!?!" 
"...No, no...papà era solo perchè ha vinto la Coppa il Milan....e allora...beh...lo vedi...abbiamo fumato e bevuto...scusa...scusa ma non lo dire alla mamma!!"
"...Nooo, Mario..e tu ..Massimo, potresti essere mio figlio...ma quando mai!!!...e perché dovrei farlo...anzi...sapete che vi dico?... che da bravi milanisti bisogna festeggiare....la mamma ha preparato un torcolo (dolce del posto)...e vado in cantina a prendere una bottiglia di vinello rosso ...quello di Montegualandro ....vi va ragazzi?!?"
"Certo papà!" "Sicuro Signor Giulio!"
Pochi minuti dopo rientrò Amelia, la mamma di Mario, era andata in campagna da un suo cugino ed aveva riportato una cesta di pannocchie di mais; Giulio accese il camino e dopo una mezz'oretta ce le gustammo ben bene con quel buon vinello rosso... una serata indimenticabile... ci voleva proprio.....!!"
"...Eh sì Massimo... soprattutto per te!"  Ma nessuno aveva fiatato!... E allora quella voce gentile e sommessa... da dove sarebbe mai provenuta?!? ... Forse, anzi...sono certo che qualche attento mio lettore lo abbia giustamente già dedotto!
Un caro abbraccio.

Massimo 48 Amarcord