Serie A, Stagione 2018/2019. Durante la conferenza stampa immediatamente successiva alla partita Spal-Juventus, in cui i padroni di casa si sono imposti in rimonta per 2-1 sulla capolista, l'allora tecnico bianconero Massimiliano Allegri, incalzato dai giornalisti sull'accesa lotta al titolo che coinvolge gli storici rivali del Napoli, decide di descrivere la situazione legata alla classifica in questo modo: "Vi intendete di ippica? Nelle corse dei cavalli, per vincere, basta mettere il musetto avanti, non serve vincere necessariamente di 100 metri. Fotofinish, corto muso: chi perde di corto muso è secondo, chi vince di corto muso è primo. Noi abbiamo 84 punti: se il Napoli non vince tutte le prossime partite, bastano ed avanzano". La Stagione, nonostante la debacle in trasferta a Ferrara, si concluderà con la vittoria dell'ottavo Scudetto di fila per la Juventus, con un distacco sulla seconda classificata Napoli di 11 punti. Una differenza non irresistibile, ma nemmeno un corto muso.

Ora, non serve essere intenditori di ippica per capire come, nonostante la brutalità concettuale che le accompagni, le parole dell'allenatore livornese siano corrette: seppur di un solo punto o centimetro, nel calcio così come nell'ippica, il vincitore è matematicamente incontestabile. Con buona pace degli esteti della disciplina e di chi, supereroisticamente, si ostina a credere che, nel calcio, giustizia (s)oggettiva e risultato finale viaggino costantemente e necessariamente di pari passo. Insomma, parliamoci chiaro: chi non crede che, ad oggi, debba essere l'Atalanta delle meraviglie di Gian Piero Gasperini a trovarsi, calcisticamente parlando, sul tetto d'Italia? Spumeggiante nel gioco, fenomenale nella tenuta atletica, capace di tenere incollati alla TV non solo i propri tifosi, ma anche quelli di altre compagini. Eppure, non sufficientemente costante e matematicamente meno impeccabile, al punto da aver perso la corsa al secondo posto, in favore dell'Inter, proprio durante lo scontro diretto con la corazzata nerazzurra nell'ultima giornata della Stagione. Morale della favola? Nono Scudetto di fila per la Juventus, il primo della gestione Maurizio Sarri. Una gestione, tuttavia, piuttosto controversa e poco apprezzata in casa bianconera, eventualmente capace di smentire, anche solo in via parziale, la premessa iniziale sulla scarsa importanza del distacco per punti.

Serie A, Stagione 2019/2020. La classifica finale vede la Juventus vincitrice con 83 punti, alla quale fa seguito l'Inter con 82 punti: se chiunque, compreso Max Allegri, cercasse l'esempio per eccellenza di corto muso in ambito calcistico, si imbatterebbe nello scenario di quest'anno. Il discorso potrebbe chiudersi tranquillamente qui, ponendo una pietra tombale su qualsiasi discussione futura, se non fosse per un dettaglio che, per quanto mi riguarda, dettaglio non è: questo corto muso nasconde un gigantesco campanello d'allarme per tutto l'ambiente bianconero. Innanzitutto, un dato ampio e generico: considerando la Serie A in cui vige il metodo dei 3 punti assegnati ad ogni vittoria, bisogna compiere un salto indietro di 18 anni per ricercare l'ultima volta in cui la Juventus ha vinto il Campionato servendosi del distacco minimo, ovvero durante la Stagione 2001/2002 in cui ha prevalso sulla seconda classificata Roma. Una statistica relativamente preoccupante, che non può non destare l'attenzione di un club abituato a fare da schiacciasassi incontrastato in ambito nazionale. Per quanto mi piaccia scovare dati di questo genere, tuttavia, ho maturato una forte convinzione: in questo caso specifico, seppur allarmanti, credo che non rappresentino l'elemento più allarmante in assoluto. Dunque, cosa dovrebbe preoccupare maggiormente l'ambiente Juventus dopo un outcome di questo tipo? Per quanto mi riguarda, la risposta alla domanda è da ricercare in una delle più grandi ossessioni bianconere degli ultimi mesi, uno degli argomenti che più ha tenuto banco nel corso delle conferenze stampa delle Stagioni recenti: il gioco.

Attenzione, signori lettori, massima attenzione: il gioco, non il bel gioco. Ricordate tutta l'epopea giornalistica basata sul confronto tra la concretezza della Juventus di Max Allegri e la forte matrice estetica del Napoli di Maurizio Sarri? Ecco, sappiate che non mi riferisco a ciò, almeno non direttamente. Se la Vecchia Signora, fino allo scorso anno, poteva vantare una certa concretezza nelle proprie prestazioni (gioco), a discapito di una spettacolarità altalenante (bel gioco), in quest'annata entrambe le componenti sono venute a mancare spesso, tanto in ambito nazionale quanto in ambito internazionale, mostrando una squadra a tratti irriconoscibile. Paradossale, considerando come quello stesso tecnico capace di incantare l'Europa intera con il proprio bel gioco nella piazza partenopea, non sia stato capace di regalare un semplice gioco convincente, privo di qualsiasi artifizio estetico, in casa bianconera. Anticipo una serie di appunti che potrebbero essere eventualmente mossi: - la pandemia ha influenzato pesantemente lo svolgimento della competizione, riscrivendo involontariamente calendari, preparazioni atletiche e regole del gioco; - si tratta del primo anno del tecnico toscano sulla panchina bianconera e, come in ogni inizio di ciclo lavorativo che si rispetti, serve tempo per immergersi in una nuova realtà; - per converso, si tratta del primo anno di lavoro con un nuovo allenatore per la squadra, la quale necessita di tempo per assimilare schemi, movimenti ed ordini del tutto inediti. Tutto lecito, tutto giusto, se non fosse che la Juventus è costruita, nelle intenzioni della società, non solo per vincere sempre, ma anche per farlo surclassando la concorrenza.

La tentazione di porre a confronto il primo anno di Max Allegri ed il primo anno di Maurizio Sarri, per provare a sottolineare ulteriormente la discesa di rendimento della squadra bianconera, è molto forte, ma sarebbe inutile: si discuterebbe di due mondi fin troppo diversi per essere parte di un paragone da questo punto di vista, sarebbe ingiusto nei confronti del neo-tecnico bianconero. Eppure, un minimo di analisi va fatta: cosa è successo alla Juventus? Personalmente, non trovo risposte soddisfacenti. D'istinto, mi viene da sottolineare il calo importante del reparto difensivo bianconero: alle 30 reti incassate lo scorso anno, si oppongono le 43 reti subite quest'anno. Un dato che lascia un po' il tempo che trova, per motivi già espressi in precedenza, ma che risulta essere strettamente correlato al difficile ambientamento di Matthijs De Ligt nel calcio italiano, alle condizioni costantemente precarie del leader Giorgio Chiellini e ad una serie di prestazioni in chiaroscuro di presunte seconde scelte come Alex Sandro, Daniele Rugani e Merih Demiral. Un calo più macroscopico, tuttavia, l'ho riscontrato nel centrocampo bianconero: nonostante l'ottimo exploit di Rodrigo Bentancur, rivitalizzato dall'arrivo dell'allenatore toscano, si è assistito ad una minore costanza di rendimento del metronomo Miralem Pjanic, nonché ad un difficilissimo inserimento nel calcio italiano dei rinforzi estivi Aaron Ramsey ed Adrien Rabiot, apparsi lenti e spaesati sul prato verde; nota particolarmente negativa è stato Sami Khedira che, ottenuto il rinnovo fino al 2021, ha fatto registrare più presenze in infermeria che in campo, scatenando l'ira dei tifosi bianconeri, stufi della sua recidiva lungodegenza e pronti a dirgli addio. Non voglio addentrarmi in un'analisi particolarmente specifica e tecnica: l'immagine di Paulo Dybala, spesso e volentieri costretto a ripartire palla al piede dalla propria metà campo pur di imbastire un'azione offensiva convincente, anche quando l'avversario non si presentava come particolarmente blasonato, basta a farmi sentire puzza di bruciato. Credo, infine, che la Juventus abbia sofferto, in alcuni frangenti, l'assenza di una punta di ruolo al centro dell'area avversaria: Gonzalo Higuain è ufficialmente la controfigura di sé, Cristiano Ronaldo tende ad allargarsi con il proprio gioco, la stessa Joya è un fantasista, nonostante numerosi e squisiti guizzi da attaccante puro.

Insomma, non è difficile capire come questa analisi abbia scrostato solo la punta di un iceberg che, col tempo, rischia seriamente di collassare su se stesso. La superficialità tecnica delle argomentazioni proposte, ci tengo a sottolinearlo, è voluta: non mi reputo abbastanza conoscitore delle dinamiche tecniche del calcio e, soprattutto, non mi reputo abbastanza folle da lanciarmi in un settore che proprio non mi compete, di cui sento di sapere troppo poco. L'obiettivo di questo ammasso di pensieri e parole, piuttosto, è un altro: il Teorema del Corto Muso di Max Allegri, per quanto matematicamente infallibile, non tiene conto delle possibili insidie legate al rendimento a luno termine di una squadra, insidie ben capaci di compromettere la vittoria finale di una competizione sportiva. E per quanto si presenti universalmente applicabile, tanto nel calcio quanto nell'ippica, paradossalmente il Teorema vacilla proprio al cospetto della sua JuventusUn club in cui vincere non è importante, ma è l'unica cosa che conta.