“Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa”. Con lo specifico intento di chiarire il significato de La Trahison Des Images, celeberrimo dipinto raffigurante l’immagine di una comunissima pipa, il pittore surrealista René Magritte si servì di queste stesse parole, tra il 1928 ed il 1929, per stimolare l’interesse comune verso una riflessione sulla complessità del linguaggio umano e per sottolineare, di fatto, come il legame tra immagine e realtà non sia necessariamente indissolubile. Un punto di vista molto più che affascinante analizzato in chiave moderna che, tuttavia, allora venne accolto con estremo scetticismo e con una massiccia dose di diffidenza. Questo perché, a prescindere da qualsiasi epoca storica di riferimento, risulta sempre piuttosto complesso provare a sradicare determinate convinzioni e convenzioni di massa che, col trascorrere del tempo, tendono inevitabilmente a cementificarsi. Verità su verità, certo, ma un interrogativo lo percepisco ancor prima che possiate porlo: cosa c’entra questa specifica visione dell’arte, così come di tutto ciò che ci circonda, col mondo del calcio? Con la disciplina sportiva in sé, nulla. Con una delle storie raccontate dalla nostra Serie A, invece, le analogie si sprecano.
E se vi dicessi che il protagonista di questa storia, reduce da un periodo tutt’altro che roseo e fortunato della propria carriera, rappresenta la trasposizione perfetta della tanto discussa pipa dell’artista belga? D’altronde, da pipa a Pipita, il passo è breve. No, non mi sono bevuto il cervello. Vorrei semplicemente parlare della recente involuzione fittizia, concretizzatasi al Milan, di Gonzalo Higuain.

Arrivato in quel di Milanello con la valigia carica di belle speranze, nonché con il delicato compito di risollevare un reparto offensivo rossonero sempre più sterile, il centravanti argentino, dopo soli 6 mesi di permanenza, ha deciso di accettare la corte sfacciata del Chelsea e di chiudere definitivamente il proprio capitolo italiano. Prima di addentrarci nelle motivazioni che hanno portato alla prematura dipartita del giocatore, spazio ai numeri impietosi raccolti dall’attaccante durante la breve esperienza al Milan15 presenze in campionato, dalle quali hanno avuto origine 6 reti, e 5 presenze in Europa League, dalle quali poter ricordare 2 reti, per un bottino complessivo di appena 8 reti in 22 presenze ufficiali (contando anche la partecipazione a Coppa Italia e Supercoppa). Una vera e propria miseria considerando il reale valore del calciatore e, soprattutto, la tendenza dello stesso a superare agilmente la doppia cifra di marcature manifestata sia con la maglia del Napoli che con la casacca della Juventus. Un cortocircuito che ha del clamoroso, senza alcun dubbio, ma che deve per forza di cose spingere a due riflessioni ben precise: una palese, l’altra non proprio lampante.

La prima, più semplice da intuire, è strettamente legata al contesto. E’ sotto gli occhi di tutti come il Milan, nonostante la gestione a tratti miracolosa del tecnico Gennaro Gattuso, non rappresenti più un porto sicuro per gli eventuali nuovi arrivi in fase di mercato: confusione a livello dirigenziale, modesta disponibilità economica, continue sanzioni provenienti dalla UEFA, evidenti limiti tecnici nella rosa attuale, tutte queste criticità si convertono facilmente in eccessiva pressione ed impossibilità di esprimersi al massimo delle proprie capacità. Condizioni capaci di mettere al tappeto potenzialmente chiunque, capaci di mietere anche vittime illustri come lo stesso Gonzalo Higuain. Proviamo ad immedesimarci in lui, solo per un istante: quanto può essere frustrante notare l’estrema fatica della squadra, eccezion fatta per le invenzioni grondanti classe di Suso, nel servirci con precisione in area avversaria? Quanto può essere frustrante sapere che, nella maggior parte dei casi, dovremo essere noi ad abbandonare la posizione di centravanti, ad arretrare anche oltre la nostra stessa trequarti, pur di ottenere un pallone giocabile? A me, se fossi un attaccante, girerebbero non poco. Io, se fossi un attaccante, non nasconderei il fatto di essere demoralizzato e/o impigrito da una situazione così stagnante. Io, se fossi un attaccante, potrei addirittura pensare all’addio, perché non è così che mi piacerebbe spendere gli ultimi anni di carriera al top.

La seconda riflessione, quella meno intuitiva, rappresenta il cuore del problema ed è strettamente legata al carattere del giocatore. O, ancora meglio, a quella che è la nostra percezione del ruolo che lo stesso calciatore sarebbe chiamato a ricoprire.
Da buon tifoso rossonero, appreso il malcontento del Pipita ed analizzato il proprio rendimento, mi sono chiesto: e se si trattasse di un grosso errore di concetto? Quando è stata imbastita la trattativa-lampo con la Juventus in estate, la consapevolezza del Milan era quella di provare ad ingaggiare un bomber prolifico o di provare ad assicurarsi un apparente nuovo leader? E se tutti noi, nel tempo, non avessimo fatto altro che costruirci un’idea dell’argentino lontana dalla realtà, proprio come nel caso della pipa-non pipa di René Magritte? Che Gonzalo Higuainsia un gran centravanti è indubbio; che abbia una corazza caratteriale e/o emotiva tale da farsi carico dei tanti, troppi problemi presenti in casa Milan, invece, è tutt’altro che scontato. Per quanto in passato possa essere emerso l’esatto opposto di questa teoria, sia con l’esperienza al Napoli che con quella alla Juventus, in tanti sembrano aver trascurato un dettaglio che dettaglio non è: prima di vestire rossonero, l’attaccante non si è mai ritrovato realmente distante dalla propria comfort-zone.
Durante la fase partenopea, l’argentino ha rappresentato la vera punta di diamante di una squadra che, senza troppi patemi d’animo, ha giocato con e per lui, permettendogli di raggiungere quota 36 reti nella stagione 2015/2016. Durante la fase bianconera, seppur elemento dall’indiscussa qualità, l’ex Real Madrid si è ritrovato circondato da campioni che, inevitabilmente, gli hanno reso vita e rendimento facile. Condizione che, in rossonero, non è riuscito nemmeno a sfiorare lontanamente.

La conclusione, per quanto mi riguarda, è una: Gonzalo Higuain, al Milan, ha fallito. Ma è stato un fallimento tanto oggettivo del giocatore, riconducibile dunque allo scarso apporto di reti ed a svariate prestazioni sotto la media, quanto soggettivo di chi lo ha osservato ed eventualmente frainteso, assegnandogli idealmente compiti e responsabilità morali assolutamente fuori portata. Metterci la faccia, soprattutto in contesti delicati come quello rossonero, non è mai semplice. Chiedere a Leonardo Bonucci. Che questa storia, dunque, possa fungere da lezione per tutti gli appassionati ed i tifosi del caso: un nome altisonante non è necessariamente sinonimo di leadership. Nel frattempo, ai più imparziali verso la suddetta vicenda, non resta che prodigarsi in un augurio collettivo all’indirizzo del bomber argentino in vista dell’imminente nuova esperienza in Premier League. Sperando, ovviamente, che possa tramutarsi immediatamente in un’esperienza più prolifica e più soddisfacente. Perché, quello degli ultimi mesi, non è l’attaccante che abbiamo imparato ad apprezzare. Perché, per dirla alla René Magritte“Ceci n’est pas un Pipita”.