Chi mi conosce bene, ma bene davvero, è perfettamente a conoscenza di un piccolo retroscena legato al mio vivere la Serie A settimana dopo settimana: l’estrema simpatia, quasi ossessiva in determinati casi, verso le squadre di medio-bassa classifica. Una passione insolita, senza alcun dubbio, ma dalla duplice utilità per il sottoscritto: una fortuna professionale, in quanto mi ha permesso di entrare in contatto, nel periodo in cui ho lavorato come giornalista, con i procuratori di quei giocatori che avrebbero avuto tanto da raccontare se solo avessero riscontrato un ascolto sincero e non disinteressato; una fortuna per l’io spettatore, poiché mi ha permesso di cogliere elementi che solitamente, nei contesti spesso caotici che vedono impegnati i top club, tendono a passare inosservati. In rappresentanza di questo secondo aspetto, oggi andrò ad evidenziare una prestazione particolarmente positiva occorsa, per restare in tema, proprio in uno di quei match che difficilmente definiremmo di cartello. Inusuale è il fatto che, contrariamente a quanto si possa pensare, il tutto non riguardi un calciatore. Ma procediamo con ordine e compiamo quattro passi indietro, ognuno equivalente ad una specifica giornata di campionato. 

Allo Stadio Dall’Ara va di scena Bologna-Genoa, anticipo pomeridiano valido per il 26° turno di Serie A, nonché potenziale sfida-salvezza tra le squadre coinvolte. L’incontro si dimostra essere serrato ed incerto, fino al momento in cui Mattia Destro, prima con una rete da rapace d’area e poi con un assist vincente, decide di divenire il vero e proprio mattatore della serata per i padroni di casa. Già, ma non l’unico. Complice la tensione generale data dalla relativa importanza della partita, infatti, in pochissimi si sono accorti di un secondo grande protagonista di giornata, presente costantemente sotto gli occhi di tutti: si tratta del direttore di gara del match, tale Antonio Giua, al debutto in qualità di arbitro nella massima competizione italiana. Il semplice fatto che abbia debuttato, che ci crediate o meno, rappresenta di per se un evento storico, in quanto il neo-promosso fischietto è in assoluto il primo arbitro proveniente dalla Sardegna a raggiungere la massima serie. “Il traguardo straordinario di Antonio rappresenta un grande orgoglio per Calangianus e per l’intera isola”, queste le parole di Fabio Albieri, sindaco dell’omonimo paesino sardo del quale lo stesso direttore di gara è originario. Una storia affascinante, certo, ma la domanda resta: cosa gli ha permesso di distinguersi immediatamente? Credetemi, la risposta è tra le più paradossali che potreste trovare.

L’esordio brillante di Antonio Giua, semplicemente, è frutto di uno stile d’arbitraggio universalmente definibile all’inglese: concentrazione, personalità e tempismo, quindi, affiancati ad un equilibrato grado di severità e ad un esiguo numero di interruzioni del gioco. Insomma, senza troppi giri di parole, la modalità della quale gran parte degli arbitri italiani dovrebbe servirsi per riuscire a gestire al meglio la superficialità ed i sempre più frequenti mal di pancia dei giocatori in campo. Eppure, puntualmente, tutto ciò rappresenta una pura novità per il nostro panorama calcistico. Ecco il paradosso. Una novità, dicevo, ma non per lo stesso arbitro, abituatosi a dirigere secondo i suddetti parametri fin dai propri trascorsi in Lega Pro, al punto da essere omaggiato con il premio “Luca Colosimo” per le ottime prestazioni offerte. La sua gavetta assume una connotazione strabiliante notando come, appena la scorsa estate, il fischietto sardo abbia beneficiato del salto di categoria in Serie B, riuscendo successivamente a conquistare la massima competizione a meno di un anno dall’approdo nella serie cadetta. Un predestinato a tutti gli effetti, stando alle lungimiranti dichiarazioni di Marcello Nicchi, presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, che circa un anno fa sentenziò: “Tra due anni, Antonio Giua arbitrerà in Serie A”. Tappe bruciate è dir poco.

Da grandi poteri, tuttavia, derivano grandi responsabilità. Archiviato il debutto molto più che soddisfacente, sarà necessario continuare a tenere alta l’asticella relativa alla qualità delle prestazioni, essenzialmente per due motivi: il primo, probabilmente il più importante, legato al divenire monito per tutta la classe arbitrale italiana, sia per i colleghi più esperti, rei di aver perso smalto nel corso degli ultimi anni, sia per i futuri colleghi più giovani; il secondo, di natura personale, legato alla nomina di fischietto internazionale, in modo tale da potersi esprimere (eventualmente) positivamente anche dinanzi a platee decisamente più ampie e variegate. Tempo al tempo, dunque, con la speranza che la Serie A possa aver trovato un nuovo, inaspettato punto di riferimento in campo.