Sul treno per Amsterdam, anzi, sul carro bestiame per Amsterdam, la maggioranza degli juventini con cui mi trovavo era convinta di aver già in tasca la vittoria contro il Real Madrid. Io, al contrario, sentivo la stessa puzza di fregatura dell'anno passato, "regalo" non richiesto e neppure gradito, firmato anche da alcuni nostri ex che per vendicarsi hanno indossato la maglia del Borussia Dortmund. Della "coltellata", in fuorigioco, che ci rifilò Mijatović l'anno dopo, porto ancora la cicatrice nella memoria (e ovviamente non è l'unica): mi alzo di scatto all'arrembaggio di Roberto Carlos, quindi, in pochi ma interminabili istanti da mani nei capelli, Iuliano ne combina una delle sue, Montero non può fare a meno di essere se stesso nei momenti che contano davvero e Peruzzi non compie il miracolo, non stavolta. E ancora, Inzaghi, che col Milan la butterà dentro persino di schiena, ridicolizzato da Hierro, Del Piero, dopo aver dipinto meraviglie, svanisce nel suo nulla dorato come altre volte in carriera, Redondo sublime cervello, Davids non è Seedorf e addolcisce al tramonto della gara un pallone osceno per Bodo Illgner anziché straziargli i guanti e le mani. Senza dimenticare il bandierone spagnolo srotolato nella curva dei Blancos e la maledetta "We are the champions" (sia lodato Freddie Mercury in ogni caso) sparata a tutto volume nello stadio.
Sono ricordi che, una volta incollati alla capoccia, restano lì per l'eternità.

Era il 1998, la prima volta all'estero, da minorenne, e la prima volta di fronte a uno spettacolo calcistico di altissimo livello. Nel 2003, in sella al motorino, sulla strada verso l'agenzia di viaggi, rifletto di colpo sotto il casco: no, non vado. Che vada mio fratello, se vuole. Stavolta, io non vado. Se la perdiamo, non voglio essere presente. Preferisco schiattare nella mia splendida città che ogni tanto viene annientata da un terremoto ed è costretta a rialzarsi e a diventare più bella di prima. Il trauma, insomma, aveva stravinto. Anche perché tra il 1998 e il 2003 Zidane si era accasato coi Reali di Madrid e alla Juventus più o meno tutti si erano vantati di aver ricostruito la squadra grazie ai quattrini della vendita di Zizou. Piccolo dettaglio, la Champions se la cucca lui con un gol da Dio qual è sempre stato, ma vuoi mettere il bilancio e i conti in ordine? E amen, ciarlavano i tecnocrati col fumogeno in mano, se ad Old Trafford Sheva ti mangia l'anima con gli occhi e spiazza uno dei giganti acquistati con i denari garantiti da Zizzo, se Berlusconi gongola sulla balconata, se Nedved avrebbe dovuto dialogare con lo Zizzo di cui sopra e non beccarsi un'ammonizione sanguinosa da avversario e se ad alzarti in faccia la Coppa c'è pure l'allenatore con cui hai buttato al vento, non soltanto per demeriti suoi, due campionati in Italia e una assurda semifinale di Champions. Tagliamo corto: la Champions, almeno fino al 2021, non è mai stata la casa della Juventus, che ha sempre pagato un affitto salatissimo per poi essere buttata fuori dal padrone di casa di turno. Chiedersi perché sarebbe probabilmente sciocco, ma al bar dello sport le sciocchezze sono concesse. E allora, eccolo il perché: la mentalità operaia, nella Coppa dei Campioni/Champions League, non aumenta, ma fa crollare, le possibilità di vincerla. In quelle sere, colpi di culo a parte (Magath e Ricken, se ci riprovano in allenamento a telecamere spente, colpiscono finestre e uccelli) che a te non capitano mai, la tuta da operaio non può bastare. Quelle sono le notti in cui la maggioranza dei calciatori deve essere composta da gangster in smoking. Dani Alves, Xavi, Iniesta, Busquets, Messi, Suarez, Neymar, Ronaldinho, Eto'o, i già menzionati Seedorf e Zidane, Panucci, Salgado, Figo, Raul, Morientes, Cristiano Ronaldo, Kroos, Casemiro, Modric, Benzema, Ramos, solo per restare a Barcellona e Real Madrid ed evitando di nominare Lewandowski e Robben (Coman no, meglio non citarlo), oppure Drogba, il Pirlo del Milan, Nesta, Maldini, Rui Costa, sono quella roba lì, appunto gangster in smoking. E fanno parte di quel mondo in cui i campioni si tende a tenerli fino a spremerli e non a venderli nel loro (presunto) momento migliore. Un mondo per 80 mila persone ad assistere alla presentazione di CR7, che in Coppa, da solo, è molto, molto più grande della tua storia; un mondo per tifosi che chiedono, anzi, pretendono, la Champions anche quando sbagli il mercato.
Del resto, ai piani alti non c'è gente che si occupa di costruire case popolari e di salvare il welfare, ma di "animali" feroci del feroce libero mercato.
Dunque, l'unico modo per azzannare quella dannata Coppa è costruire squadroni pure in panchina. Evitando, magari, di spingerli in Serie B.