La Juventus non è una grande del calcio europeo. E a nulla serve esporre trofei d’oltre confine conquistati mille anni fa, perché un passato glorioso, seppur a singhiozzo, non è garanzia di futuro glorioso. Lo stesso va detto per le finali raggiunte, o per aver spesso brillato nelle semifinali, eccetera. A proposito, ripetiamo l’ovvio matematico: l’ultima Champions League, la Juventus l’ha vinta nel 1996. E ora, aggiungiamo altro ovvio matematico: l’ultimo trofeo continentale, la Vecchia Signora lo ha vinto sempre nel 1996, pochi mesi dopo aver alzato al cielo di Roma la Coppa dalle grandi orecchie, contro il Paris Saint Germain, in finale andata e ritorno a Parigi e, in via eccezionale, a Palermo, piazzando in bacheca una Supercoppa Europea. Parliamo, anche qui va ripetuto ciò che è incontestabile, di venticinque anni fa.
Nel 2023, dunque tra due anni, saranno tre decadi senza neanche la ‘sorella minore’ della ormai antichissima Coppa dei Campioni poi diventata Champions League, ossia l’Europa League, che tanti anni fa si chiamava Coppa Uefa e che, non ce ne voglia chi la gioca oggi, era molto, molto più dura da vincere (allo Stadium, la finale sarebbe stata forse più semplice, ma gli operai di mister Conte dovevano fare il record di punti in un campionato senza storia...).
Ecco perché la Juventus in versione europea è rimasta sostanzialmente una sorta di grande incompiuta, ma con l’aggravante di averle quasi sempre buscate in finale, cioè quando l’obbligo di vincere in un solo incontro sostituisce gli eventuali calcoli che solo chi è rimasto provinciale tende a fare nelle doppie sfide dagli ottavi in poi. Ed ecco perché ha senso, ma fino a un certo punto, occuparsi della presunta incapacità di Andrea Pirlo (che da giocatore, col Milan, ti ha sconfitto dove contava e che con te ha chiuso la carriera in lacrime dopo tre supposte dal Barcellona) di brillare sulla panchina bianconera, della scelta di affidarsi a Sarri dopo aver mandato via Allegri - che forse per la prima volta in cinque anni (di tanti trofei nella mediocre Italia e di sette sberle prese in due finalissime di Champions), avrebbe preteso di gestire una rivoluzione tecnica - della voglia, poi diventata realtà, di allontanare Sarri alla fine del primo, dei tre previsti, complicatissimo anno a Torino, di acquisti psichedelici come Rabiot e Arthur, di mancati acquisti (con tanto di figuraccia e di inchiesta a corredo) come Suarez, della virata su un mai cresciuto Morata, per tacere di tanti altri assurdi errori in annate in cui la Serie A comunque la portavi a casa grazie al mix tra le tue qualità e l’incapacità delle presunte avversarie di arrivare al tuo livello, incapacità che coprivano, eccome, le tue lacune ora esplose.
Ha senso, dicevamo, ma fino a un certo punto. Ciò che manca all’analisi è sempre lo stesso elemento: l’incapacità storica della proprietà, ergo delle società che si sono succedute, di fare il definitivo salto di qualità in Europa, acquistando sempre il meglio ed evitando di cedere il meglio che hai già in casa.
A proposito: dalle parti di Andrea Agnelli sono consapevoli del fatto che, se e quando si tornerà allo Stadium, senza vittorie gli spettatori saranno pochissimi?