Per salvare il calcio da quella oscenità per ultraricchi chiamata Superlega, non si può tornare al calcio “di prima”. Perché il calcio “di prima” è quello degli stipendi milionari a chiunque, delle partite “sequestrate” dalle pay tv, dei prezzi dei biglietti inaccessibili per larghe fette di popolazione, eccetera.
Il calcio “di prima” non va tirato in ballo per evitare che alcuni dei più ricchi in Europa devastino, non si sa perché, per qualcuno, “inevitabilmente”, visto che di inevitabile esiste solo la morte, ciò che resta del gioco più bello del mondo, strappandolo una volta per tutte dalle mani del popolo.

Che cosa si vuole fare, insomma? Riproporre, in faccia ai ricconi che vogliono staccarsi da un progetto moribondo che loro stessi hanno creato, quello stesso progetto moribondo? Perché, se questa è l’alternativa, tanto vale lasciarli fare e dire addio per sempre alle nostre viscere pallonare. Sarebbe molto più dignitoso che aggrapparsi alla morale di calciatori strapagati che giocano, perché noi colpevolmente li guardiamo, per tanti tifosi senza lavoro, senza prospettive, con i figli che crescono con la speranza di fare carriera in un qualche mondo dorato alimentato, calcio compreso, da quei poteri politici ed economici che blaterano di lotta al razzismo mentre affamano la società e il popolo, da macchine del libero mercato quali sono. E chi se ne frega se il precario fa carte false per andare a guardare dal vivo Messi o Cristiano Ronaldo: le istituzioni devono evitare che esista il precario e che Messi e Cristiano Ronaldo (e tutti gli altri) prendano soldi a palate, facendo in modo che non si perpetui il mito di un capitalismo che, quando non ha più alcun freno, porta soltanto catastrofi su larga scala.