Emirati Arabi, Qatar, Indonesia, Tailandia, Cina. Il calcio europeo nell'ultimo decennio si è reso terra di conquista per nuovi tycoon provenienti dal medio oriente e dal sud-est asiatico. Una sorta di capovolgimento storico, dove il claudicante Occidente calcistico chiede ed ottiene iniezioni di liquidità da conquistatori arrivati da lontano. I nuovi colonizzatori, ammaliati dall'appeal mediatico dei campionati del vecchio continente, non esitano a sborsare cifre folli per rilevare prima, e rinforzare poi, nobili decadute del pallone. GLI APRIPISTA INGLESI In principio furono i dollari dell'oligarca russo Abramovich, che rilevò il Chelsea Fc nel 2003. Dopo anni di galleggiamento anonimo nel campionato inglese, campagne acquisti faraoniche permisero ai Blues di vincere quattro Premier in pochi anni e addirittura una Champions nel 2012. L'Inghilterra, sarà per un'innata apertura culturale o per un'eredità della dorata epoca del Commonwealth, si mostrò da subito fertile terra di conquista per i petroldollari. In anni recenti si è assistito all'ingresso nel calcio europeo di personaggi come gli sceicchi Mansour, che ha rilevato un Manchester City in crisi d'identità, Al Thani, proprietario del piccolo Malaga e Al Khelaifi, cugino di Mansour, che ha acquisito il Paris Saint Germain tramite il fondo Qatar Investment Authority. Una pioggia di dollari che ha irrimediabilmente modificato le gerarchie europee del pallone. ITALIA NUOVA TERRA PROMESSA? Nel bel paese la tendenza ad accogliere soldi esteri è novità recente. Diffidenza e legami famigliari-societari rendono i nostri club di difficile attrazione, senza contare lo scarso richiamo che le obsolete infrastrutture italiane generano nell'immaginario degli investitori. Il primo avvento nel nostro calcio si ebbe con l'acquisizione della AS Roma da parte della cordata americana guidata da James Pallotta, seguito dall'arrivo di Thohir all'Inter e di Joey Saputo a Bologna. A tutto questo va aggiunto l'indecifrabile ingresso di Mr Bee Taechaubol nell'Ac Milan, non ancora perfezionato e avvolto in un alone di mistero. Il calcio italiano si è mosso in questa direzione solo dopo aver compreso la scarsa competitività in ambito europeo. Crisi economica e fair play finanziario hanno creato un cocktail indigesto per i vertici del pallone, e gli investimenti, richiesti a gran voce dalle tifoserie, si sono dimostrati sempre più inadeguati. Moratti, artefice di spese imponenti a cavallo degli anni 2000, ha deciso senza nemmeno troppo rancore di cedere il passo a investimenti sud-asiatici; Berlusconi, nonostante gli imperi di proprietà, inizia a strizzare l'occhio a cordate asiatiche: da anni vacilla nella gestione del mercato rossonero, rimbalzando tra acquisti di top player a fine carriera e impellenti necessità di bilancio. Un'analisi sommaria e intrisa di leggerezza sosterrebbe come questi investimenti siano utili e provvidenziali al calcio nostrano. Ma i dubbi sorgono spontanei. Cosa potrebbe succedere quando questa nuova generazione di tycoon e sceicchi deciderà di porre fine alla spesa nel centro commerciale calcistico europeo? Quando l'economia, nel vortice dei suoi cicli storici, capirà che quei soldi, quei petroldollari sono il risultato di enormi iniquità sociali? L'Italia ha davvero bisogno di una montagna di denaro da investire in campioni affermati oppure sarebbe preferibile rigenerare l'intero sistema partendo dalle strutture e dai settori giovanili? Bisognerebbe capire che l'esempio migliore in Italia arriva dalla Juventus, una famiglia storica, con dirigenti qualificati, che, con passione e programmazione, insegue un progetto sano e utile per il panorama nazionale. E i risultati arrivano, anche in Europa. E' SOLO PASSIONE? E' difficile credere che questi ingressi spettacolari nell'elite calcistica di personaggi con poca confidenza sportiva siano mossi da sola passione. Troppi soldi sborsati facilmente, troppi rischi fiscali da affrontare. Certo, le tifoserie azzerano ogni sorta di barriera culturale accogliendo a braccia spalancate i nuovi investitori. Più soldi, più campioni. Allora cosa si nasconde dietro questo improvviso amore per il pallone? Al-Thani ha già messo in vendita il Malaga, gli promisero nuovi hotel a Marbella e controllo del porto della città. Nulla di tutto questo si è avverato e lui medita di andarsene. Gli sceicchi di Psg e Manchester City battagliano da anni con Platini per giustificare il loro menefreghismo sul fair play finanziario. Il calcio è un'industria con un fatturato abnorme e i magnati mondiali se lo vogliono comprare. Ci sono guerre a suon di miliardi per accaparrarsi i diritti tv in tutti i continenti e nel 2022 il Mondiale si giocherà nell'improbabile Qatar. La passione sta per essere soppiantata dagli interessi economici. Il calcio rischia davvero di diventare ostaggio del business da lui stesso creato. Gabriele Zangarini