La serie A è un campionato per vecchi. Lo dimostrano i dati emersi dal "Report sul calcio 2015" presentato a Coverciano. Il nostro campionato è il più anziano d'Europa, con un'età media di 27,3 anni e si rivela ultimo nel numero di calciatori provenienti dai vivai di appartenenza, solo l'8,4 %. A questi due elementi va aggiunto l'esorbitante numero di stranieri presenti, oltre il 54%. Lo scenario è preoccupante e il campionato italiano, una volta ritenuto il più difficile d'Europa, non è più un punto di riferimento nella geografia continentale del pallone. Come mai? INVASIONE STRANIERA Le cause di questa crisi d'identità del pallone nazionale sono innumerevoli e spesso ben identificabili. Raramente però le società italiane mostrano onestà intellettuale tale da poter programmare una rivoluzione. La vecchia logica economica del profitto e del risultato ha pervaso anche l'ambiente calcistico. Il ragazzo italiano di 14 anni è un costo importante da affrontare per le società: costa il cartellino, ma è forte anche l'investimento da affrontare fuori dal campo (alloggio, scuola, spese generali di mantenimento). Il tutto per un elemento ancora in verde età, la cui esplosione in termini calcistici, e conseguentemente economici, è ancora da verificare. Per questo motivo i club di Serie A e B preferiscono puntare su ragazzi di qualche anno in più, già formati e provenienti da paesi più poveri del Sudamerica, Centroamerica e Africa. MENO TATTICA E PIU' TECNICA Altro aspetto da considerare è l'eterno dualismo tra preparazione tecnica e tattica a livello giovanile. "Bisogna tornare ad insegnare più tecnica che tattica" sosteneva Fabio Capello, artefice di quel capolavoro tattico che fu il Milan di inizio anni 90. La velocità del gioco negli ultimi anni è aumentata sensibilmente, a questi ritmi la tecnica è fondamentale. I nostri settori giovanili invece spesso prediligono insegnamenti tattici, rendendo il calcio italiano un'esasperata espressione di metodo e strategia e, quasi mai, fucina di talenti dalla tecnica strappa applausi. Si predilige la fisicità, la forza atletica, la capacità di coprire più zone del campo, senza pensare che la Spagna, da anni nazione guida, è un ensemble di giocolieri senza alcun strapotere fisico. CHE STRADE INTRAPRENDERE PER LA CRESCITA DEI GIOVANI? In Europa diverse leghe hanno ormai intrapreso la strada delle "squadre B" (o "squadre riserve"), formazioni appartenenti alle società della serie maggiore ma militanti in categorie minori. Molte grandi squadre europee ne sono dotate, principalmente in Germania, Inghilterra, Francia e Spagna. In Italia se n'è parlato, soprattutto con la candidatura di Albertini alla guida della Lega Calcio, al momento però sembra che il progetto sia stato accantonato. Eppure sarebbe una soluzione ottimale per permettere il "salto" ai giovani provenienti dal settore giovanile; una sorta di struttura cuscinetto per evitare di bruciare le giovani promesse lanciandole senza esperienza nei grandi palcoscenici. In questo modo sarebbe loro concesso più tempo per confrontarsi con campionati intermedi, aventi difficoltà tecnico-tattiche superiori rispetto ai campionati Primavera. Una simile "rivoluzione" però toglierebbe spazio a molte società che da decenni orbitano nelle categorie minori, generando probabilmente altri fattori d'instabilità all'interno del sistema calcistico italiano, già bistratto da scandali e problematiche di vario genere. In Italia la soluzione più lungimirante e percorribile resta investire energicamente sui settori giovanili, sulla scia di un'esperienza ben riuscita, quella tedesca. SEGUIRE L'ESEMPIO TEDESCO. Nel 2001 l'orgoglio teutonico fu colpito dal flop degli europei in Belgio e Olanda. Da quel momento la DFB, la Lega Calcio tedesca, pose le basi per una rivoluzione totale, nel nome del bene comune chiamato "nazionale". Divenne d'obbligo per tutte le società di Bundesliga 1 e Bundesliga 2 avere squadre giovanili per ogni categoria a partire dai 12 anni; inoltre per ogni squadra dall'under 16 in su almeno 12 giocatori dovevano essere convocabili nelle rappresentazioni di categoria. Le società diedero vita ad una corsa all'investimento, sostenute anche da un fondo comune istituito dalla Lega tedesca per aiutare le realtà economicamente meno potenti. Risultato? Una Nazionale forte, vincitrice dell'ultimo Mondiale, meravigliosamente multietnica e con un'età media bassissima, che la porterà ad essere probabilmente la protagonista principale dei prossimi dieci anni. L'Italia deve essere in grado di recepire tutte le innovazioni apportate nei maggiori campionati europei, in modo da proporre una propria "via" al rinnovamento. Le nuove regole imposte dalla Figc sul tetto massimo di 25 giocatori oltre i 21 anni sono un buon punto di partenza, ma non bastano; c'è da potenziare il controllo federale sui settori giovanili in modo da valutare capillarmente e costantemente la crescita dei ragazzi. La Serie A deve tornare ad essere una culla per nuovi talenti. Gabriele Zangarini