... ricordiamo, per chiarezza, che tutti gli account AMARCORD non partecipano alla classifica mensile, ma possono essere eventualmente scelti dalla redazione per il trofeo settimanale Jolly 


Blog: La nuova saga tra ironia e risate: Ragazzi di vita di Bari vecchia (II)
... qui per l'episodio I

Dall'autore di "CASA JUVE", sulle vicende bianconere, ecco una nuova saga che promette di tenere tutti incollati allo schermo tra ironia e risate

Nicò… Nicolaaaa… Nicò… NICOLAAA! Uscendo sul balcone in mutande;
Nicola: “Eou, Antò, ma com’ sì‘mmatt? A chess’or’ t’ mitt’ a fare voci?”
Antonio: “E c’ dovìm’ fa, p’cchiamart’? Ti dobbiamo mandare i piccioni? No… tant’ p’ssapè…”
Nicola: “ma qua’ piccion’!” Poi, tornando gentile, come sempre: “Non so se l’hai notato, ma ci stanno pure i citofoni. Pure a Bari sono arrivati…”. Ij, sincero, m’accredev’ ca jer’n’ peffijur’, p’ccè - mo m’sond’accadè l’pall’p’tterr - in tanti anni nan l’sovvist usare mangh ‘na vot’ (io, sono sincero, credevo che fossero per figura, perché - mi caschino le palle per terra - in tanti anni non li ho mai visti usare manco una volta. n.d.r.).
In quel momento arriva, piuttosto trafelata, la sorella di Nicola, che si avvicina al portone, e, avendo dimenticato le chiavi a casa, citofona.
Mamma di Nicola: “Chi è?”
Sorella di Nicola: “Ou mà, apri per favore, chè ho lasciato a casa le chiavi.” Taaaac… Pausa: La sorella entra, e la porta si richiude:” t’t’nnnn” Manco a farlo apposta, pochi secondi dopo, arriva un amico di Gigi, vicino di pianerottolo di Nicola. Anche lui citofona.
Mamma di Gigi: “Chi è?”
Amico di Gigi: “so’ Franco, signò, potete dire a Gigi di scendere?”
Mamma di Gigi: “che, vuoi salire?”
Amico di Gigi: “no, grazie, signo’, siamo già in ritardo…”
Mamma di Gigi: ”va bene, mò gli dico di sbrigarsi”
Antonio, irritatissimo per la scena a cui ha appena assistito, che se non fosse per la presenza assolutamente impossibile da prevedere di Antonio - lì e adesso – darebbe adito - per la perfezione con cui si è svolta - al sospetto che sia stata preparata apposta per fargli uno scherzo. Rivolto a Nicola: con un ringhio:” Vid‘ c’ t’ muv’ a scendr. Trmòn’! (vedi di muoverti a scendere, trimone! n.d.r.)”.
Nicola: “Ma dove dobbiamo andare… io devo ancora vestirmi… “(effettivamente, al lettore più attento non sarà sfuggito che tutta questa lunga discussione sta avvenendo con Nicola che continua a rimanere sul balcone con indosso i soli slip, il tutto nell’indifferenza generale, a Bari la libertà dei costumi, nell’abbigliamento, come in tante altre cose è evidentemente troppo più avanti… n.d.r.).
Antonio: “SCENDI E BASTA!” “vafammocc a chi te stramurt!” Nicola dopo pochi minuti raggiunge Antonio
Antonio: ”Girolamo dice che è venuto a Baar’ uno dei più famosi tatuatori del mondo.”
Nicola: “Come si chiama?”
Antonio: “Ma c’ccazz t’n’frec’attè! Chest vogghij sapè”. Poi, tornando calmo: “Girolamo dice che lo chiamano il tatuatore dei VIP. Dice che si è piazzato con un gazebo in corso Càvur. Dice che sta la fila di gente così, che si vuole tatuare. Me ne voglio fare uno pur’ij, ca quand’ lo vede Fascetti capisce ca jè mmeghj’ ca m’ fa sc’ shuquà titolare, c’nò, va a f’r nesh maal’.
Mi sono già preparato la frase che mi voglio far tatuare. Per non andare facendo fijur’ da ignorante, mi sono fatto aiutare da mia cugina, che è l’unica della famiglia che ha la terza media. Apre un foglio A4 che, piegato più e più volte come l’aveva piegato lui, era diventato un rettangolino di massimo 4 centimetri per tre “Fash et ti, fam m’ shu qua” “ o f’r ne sh’ ma l’as sà!” (Fascetti, fammi giocà, o finisce male assà n.d.r.). “C’è pure la rima! Tiè!”, e fa il gesto delle corna, per controbattere eventuali forze del maligno generate dall’invidia.
Nicola: “Ou Antò, addirittura in eptasillabi! Non è che poi qualcuno se ne accorge che non è farina del tuo sacco?”
Antonio: “Nicò, se è per questo, qualsiasi cosa scritta s’ capisch’ ca nan jet’ farina del mio sacc’, p’ccè, e qua puoi chiamare testimone a chi vuoi, se è vero o se mi invento frottole per vantarmi, in tutt’ la vii’ta mej’, nan s’ò mai japert’ ‘nu libbr’ca foss’ jun’ d’ numm’r’”
Nicola: “scusa, al massimo puoi trovare uno che testimoni che tu abbia fatto qualcosa” (accorgendosi di aver usato - senza volerlo - il congiuntivo correttamente per ben due volte in rapida successione, esponendosi automaticamente al sospetto di voler ostentare superiorità, con la mano fa un cenno verso Antonio, che già nel frattempo si era rabbuiato, per chiedergli scusa, e per rassicurarlo che no, assolutamente non sentiva di essergli superiore per via dei congiuntivi azzeccati!). Prevenuta l'incazzatura di Antonio, Nicola continua il discorso filosofico: “invece, uno, per testimoniare che tu, in vita tua, non abbia mai fatto una certa cosa, una certa azione o pensiero, dovrebbe essere uno che sia vissuto accanto a te 24 ore su 24. Un tuo fratello siamese, anzi, di più: qualcuno che abbia potuto conoscere da sempre anche i tuoi pensieri”. Ad un certo punto Nicola si accorge che Antonio lo sta guardando con uno sguardo, che nei primissimi istanti - forse - era anche stato di compassione, o di noia, ma che rapidamente si è già trasformato in fastidio, e che, a brevissimo, promette di sfociare, se non si fa nulla per correre ai ripari, in aggressività.
Nicola: ”Lasciamo perdere…”
Antonio: “Ca je ‘mmeghj’…” Si mettono in macchina per raggiungere corso Càvur. Arrivati, parcheggiano in divieto di sosta, con due ruote sulla strada e due sul marciapiede, contromano. 
Nicola: “Ma scusa Antò, se la metti qua non ti fanno la multa?”
Antonio: irritato da cotanta finta inconsapevolezza dell’enorme, incolmabile scollamento tra le favole su legalità e civismo, propinate dalle maestre delle elementari - le quali spesso erano poi le prime a non rispettarle - e realtà, che delle regole della civile convivenza, eufemisticamente parlando, ci si pulizzava il didietro. “Ma t’ vo’ fa l’cazzr’ toj?” e poi sempre Antonio: “Quanta voot’ te l’agghj ‘arr’pet’r’ca ste’ zzì n’m’ (quante volte te lo devo ripetere che sta mio zio n.d.r.) che è vigile urbano e che delle multe che arrivano in caserma almeno jiuna su doij la strappa”.
Poi, per un attimo, preso da un pensiero utopistico talmente enorme, e quindi lontano dalla realtà, da risultare conseguentemente lecito da pensare: “See, fiju’r’t’, c’ tutt’ pajass’r’ le multe, o, c’ tutt’ nan farebb’r’ le cos’ amminchia (Sì, figurati se tutti pagassero le multe, o se tutti non facessero le cose a capocchia n.d.r.) sarebbe un at’ mondo: stràat’ senza buche, ‘spitali con dottor’ ca sap’n’ addo stà la milza e addo stà il fecato, e non i soliti paraculati; dipendenti del comune che lavorerebbero, gente in coda che rispetterebbero l’ordine di arrivo”.
Poi si accorge che ancora un po’ e qualcuno l’avrebbe scambiato per Martin Luther King, e quindi si ferma subito e, come per scusarsi: “devo mangiare di meno la sera, che poi mi vengono gli incubi.”
Poi, giusto per dare subito dimostrazione di essersi ripreso bene: “permess, permess, siamo giocatori del Bari, permess, fate passare…”.
Poi, quando la storia dei calciatori del Bari non regge più, sostanzialmente perché, essendo in squadra nella primavera nessuno li riconosce: c’è la signora, qui, che non deve farsi fare il tatuaggio, sta solo pochi minuti: è venuta solo abb’dè c’ ten’g’n’ nu bbell disegno di aquila per il nipote.
Noi accompagniamo la signora per consigliarla, siamo due ornitologi, non dobbiamo fare tatuaggi, usciamo subito pure noi… La lunga fila di persone in coda sotto il sole cocente mugugna, ma acconsente…
Una volta dentro al gazebo, allungano i 50 euro pattuiti con la signora, che non ha nessun nipote in procinto di tatuarsi. Antonio alla signora: “teh, signo’! Vatti a fare un quartino di vinello, ché le 9, r’rrènn e sch’r’zànn, sòppassat da parecchij”.
Poi sempre lui: “Signo’, se ti posso dare un consiglio, je mmegghj ca jess da reto, capac ca d’annannz c’ stè quaccheduno ca s’ncazz…” La signora afferra i 50 e esce, come Antonio prudenzialmente suggeriva, da dietro.
Antonio e Nicola erano riusciti in pochi minuti a saltare praticamente tutta la coda. E si ritrovavano dentro il gazebo con gradevolissima aria condizionata, con solo un cliente prima di loro. Mark, il tatuatore dei VIP, era andato a prendere un’altra boccetta d’inchiostro, visto che quello rimasto rischiava di non bastare. Il cliente aveva chiesto di farsi tatuare sulla schiena una frase d’amore dedicata alla sua ragazza.
Il ragazzo era ora steso su un lettino pancia in giù; ma prima di stendersi aveva scritto su un foglio la frase che voleva tatuarsi, già pregustando la gioia stampata sul volto della sua ragazza, di fronte ad una prova d’amore così impegnativa.
Antonio ha un’”intuizione”: senza che nessuno se ne accorga prende il foglio e legge: “Rossana ti amo”. Nicola, conoscendo da sempre Antonio, riesce quasi sempre ad anticiparne i pensieri. Per questo motivo cerca immediatamente di impossessarsi del foglio, e di far desistere Antonio dal fare uno scherzo che aveva già intuito nei minimi dettagli: prendere un altro foglio e scrivere un’altra frase.
Antonio si divincola dalla presa, dando a Nicola, che stava cercando di immobilizzarlo, una gomitata fortissima, a rischio di frattura costole. Il tutto si svolge senza che venga detta una sola parola. Una volta liberatosi dalla presa di Nicola, Antonio prede un altro foglio e scrive: “Rosanna ti amo”. Il ragazzo, steso, con gli occhi chiusi e la musica nelle cuffiette, non si accorge di nulla. Mark torna con una nuova boccetta d’inchiostro. Nicola a quel punto desiste: avvisare Mark equivarrebbe ad accusare Antonio, unico altro presente nel gazebo. Mark, fa un respiro profondo, e senza indugio, comincia la sua opera.
Da grande artista, come viene da tutti descritto, dopo un tempo infinito, come infiniti sono i dettagli che di cesello vengono, uno ad uno, pazientemente considerati, dal cilindro fa capolino l’ennesima opera d’arte. Una volta finito, stremato, ma soddisfatto, fa alzare il ragazzo e appoggia sul tavolo i ferri del mestiere, non badando al foglio, che con destrezza, allenata da mille borseggi nei bus, viene di nuovo scambiato da Antonio con quello originale. Nicola avrebbe voluto scappare, per non dover assistere a scene che promettevano di essere alquanto movimentate. Il ragazzo si stava ancora complimentando col maestro per la sua bravura, quando si accorge che c’è qualcosa che non va, ma attribuisce questa sensazione al fatto di dover usare lo specchio per vedere l’opera del maestro. Ragionando con calma, però, si rende sempre più conto che il nome tatuato non è Rossana, bensì Rosanna. Il ragazzo fa appena in tempo a dire: “era Rossana, non Rosanna!”, poi viene colto da malore, gli gira la testa e quindi lo fanno sedere.
Nonostante i tentativi di Nicola di farlo desistere, Antonio non resiste alla tentazione di aggiungere il carico da 90: “Madooo, e mò? Come devi fare?” poi, rivolto verso Mark, che tanto bene non sembra stare neanche lui: “Madooo, che guaio c’hai cumbnaaat!”.
Mark, noto nel jet set come il tatuatore dei VIP, dopo un errore del genere, già immagina un futuro fatto di trasferelli applicati sul visino e sulle manine dei bambini, di bolle giganti, fatte con abbondanti dosi di acqua saponata, e di animazione, col teatrino dei burattini, delle festicciole di compleanno. Per quanto ci pensi e ci ripensi, non riesce a spiegarsi cosa sia potuto succedere, come abbia potuto commettere un errore così grave.
Antonio
, rimanendo serio, facendo uno sforzo da ernia, prova a cercare una possibile soluzione: “e se ci metti una X bella spessa sopra alla ‘n’ di troppo, e se inserisci la seconda ‘s’ sopra a una ’V’ fatta apposta per inserire lettere mancanti? Magari Rosanna..., ah no, scusa..., volevo dire Rossana manco se ne accorge...”. Il ragazzo non reagisce, è preso dallo sconforto.
Antonio: “Magari riesci a convincere la tua ragazza a cambiare nome, c’ho un cugino di secondo grado all’anagrafe che il favore ce lo può fare”. Il ragazzo manco risponde, scuote solo la testa per la disperazione.
Sempre Antonio, al massimo del divertimento: “non è che conosci una Rosanna che ti piace? Potresti chieder a lei di mettersi con te. Con questo popò di dichiarazione d’amore potrebbe pure dirti di sì”.
Il ragazzo, finalmente riprende energie e sbotta furibondo: “Ma porca la miseriaccia zozza lurida! Cazzarolaaa! Ma quale ‘X’, ma quale ‘V’” Poi, rivolto a Mark: ti rovino, ti faccio togliere la licenza. Neanche in Nuova Zelanda, dagli aborigeni, ti faccio esercitare più la professione!
Poi, rivolto ad Antonio e a Nicola: “voi due, dovete venire con me a testimoniare dai carabinieri.” Ad Antonio, quando viene pronunciata la parola Carabinieri - quale che sia il contesto ed il motivo - viene istantaneamente la psoriasi. Nicola parla quindi anche a nome di Antonio, che nel frattempo ha già cominciato a grattarsi dappertutto: ”se è proprio necessario… volentieri”.
Il ragazzo: “fornitemi per favore le vostre generalità, così, quando sarà il momento di testimoniare il giudice saprà come rintracciarvi”.
Nicola “Io mi chiamo… - si guarda intorno in cerca di ispirazione - …Tribale Piccolo…, e il mio amico si chiama… Gufo Reale…“

Antonio: “Ou Nicò, ti ricordi quella volta là, che scambiammo il nome della ragazza sul foglio dove c’era scritta la frase da tatuare. Ahahahah, ma quanta risate che ci facemmo, eh Nicò? Ahahahah, ancora adesso mi viene da ridere, che neanche io so come cappero feci a non ridere mentre facevamo lo scherzo, per tutto il tempo.
Nicola: “Scambiammo? Scambiasti tu, da grandissimo incosciente quale tu sei! Per fortuna, poi seppi che il ragazzo aveva convinto la sua ragazza che non c’era nessuna Rosanna, che aveva sbagliato Mark, il tatuatore”.
Sempre Nicola: “Quella volta l’hai combinata grossa, proprio, Antò! Sì, è vero, al ragazzo alla fine è andata bene, ma Mark l’hai rovinato. Il danno di immagine fu devastante! Fu costretto veramente a dedicarsi ai trasferelli, alle bolle di sapone e al teatro dei burattini delle feste di compleanno.
Antonio: “Ahahahah, basta, basta, non ce la faccio! Mi scompiscio... Cur’ faceva l’artista, lavorava con le star di Hollywood, pareva a b’dè Michelangelo da Vinci, pareva. Cottutt quelle arie della minchia che si dava. Dopo lo scherzo che gli abbiamo fatto, mo' si occupa di teatro: il teatrino dei pupi, ahahah. Mo' muoio, ahahahahah. Alla fine, scusa, non è come a Scherzi a parte?
Nicola: “Sì, peccato che lì lo scherzo dura 5, 10 minuti, non vent’anni!
Antonio: “ahahahah, non dire più niente, statt ciutt, fammi riprendere! Che mi fai venire un ictus per quanto mi fai ridere, ahahahah”. E continua così per un po’. Poi, tornando serio, sempre Antonio: “Comunque hai ragione, con gli scherzi non bisogna esagerare. La settimana scorsa, ad esempio c’era mio cugino Girolamo, che tu lo conosci bene, jemmatt’, ma non ha mai fatto (troppo) male a nessuno. Non gli funzionava più la TV satellitare. Prova che ti riprova, alla fine chiama il tecnico. Quello prova a vedere se è un problema della TV, ma niente: deve salire a dare un’occhiata alla parabola. Prende dal furgone una scala di quelle telescopiche, belle leggere che si allungano un sacco, con un meccanismo a manovella. La prende, l’appoggia contro il muro del palazzo e sale. Girolamo, c’ffasc’? Prende il motore del Fantic Strada 125, che ci eravamo arrubbati qualche settimana prima e lo attacca al meccanismo della scala. Quello, su, non si accorge di niente. Ad un certo punto, però, deve scendere. Cosa fa, sto pazzo di Girolamo? Prende e accende il motore, così, senza avvisare, senza dire niente. Morale della favola: la scala prende e comincia a allungarsi o ad accorciarsi a seconda della marcia che inseriva Girolamo, poi a un certo punto ha dato gas al massimo, la scala si è allungata al massimo delle sue possibilità, il tecnico se l'è visto volare via, che ancora adesso lo stanno cercando... ahahahah. Sarà finito sopra al tetto di qualche altra casa, e starà approvando a scendere a mani nude com’aMmanolo, della pubblicità che si arrampica. Ahahahah.
Comunque, devo ammettere che Girolamo ogni tanto fa scherzi che sembra che non gliene freca niente.
Jè matt, c’è poco da fare. Jè’matt!