... ricordiamo, per chiarezza, che tutti gli account AMARCORD non partecipano alla classifica mensile, ma possono essere eventualmente scelti dalla redazione per il trofeo settimanale Jolly 

Prefazione Nella scrittura di questo racconto ho percepito, più che mai forte e chiaro, che molta della comicità delle situazioni è godibile ai massimi livelli solo se esse sono riportate, quasi recitate, “in lingua originale”. In questo caso, come le riporterebbe un barese vero. L'esperienza di Camilleri con i romanzi di Montalbano in questo senso è decisamente incoraggiante: anche chi, come me, di termini siculi sapeva pochissimo, con un po' di pazienza ha saputo crearsi un piccolo vocabolario di termini dialettali che, grazie al contesto nel quale venivano espressi, sebbene non conosciuti, venivano comunque dedotti e riutilizzati qualche frase più giù, e poi sempre in contesti più complicati. Insomma, davvero un capolavoro di didattica e di apprendimento inconsapevole di una lingua. Il barese non è il siciliano (lo so, il siciliano non esiste, ma se fate i puntigliosi così, già adesso, allora stiamo freschi). Ed io non sono Camilleri. Sono solo un materano che riesce a malapena a imitare, italianizzandolo un po', il barese. Ma temo di non poter contare, come nel caso di Camilleri, su una base già buona di termini noti, o con una familiarità con i suoni altrettanto diffusa. Estremizzando, le strade percorribili sono due: italianizzare per essere sicuri che nulla sfugga (nulla tranne la comicità stessa, i cui tempi non possono essere modificati a piacimento, in nome di una maggiore comprensibilità, senza conseguenze). O lasciare la lingua originale, ma inserendo, con un uso massiccio di parentesi, i sottotitoli: infarcire il testo di mille approfondimenti che appesantiscono e annoiano. La scelta che ho fatto è di un approccio graduale: affidarmi molto (ma pian pianino sempre di meno) a spiegazioni, che affiancheranno un barese italianizzato solo un pochino, e che conto, poco alla volta, di poter usare quasi senza più avere a fianco le amate, ma anche odiate parentesi, che da un lato salvano la comprensione, ma dall'altro appesantiscono troppo la lettura. Fatemi un in bocca al lupo e partiamo!

RAGAZZI di VITA di BARI VECCHIA (I)

Mamma Carmelina - Antoniooo! Antoniooo! Antò! Ou, ma’… ce vvu? Mamma Carmelina - Com’ ce vvu? E’ pronto a tavola! Vedi che po’ viene Girolamo (cugino di Antonio n.d.r.). Cur’ je ccapac’ ca s’ mang’ pur’la part’ toj (quello è capace che si mangia pure la parte tua). Vedi che Rimani digiuno! Po’so' fatt’ toj. Io te l’ho detto! (Poi sono fatti tuoi) - Ou, mà! So fatt ‘na scommessa co’ Sabino, se lascio mò si piglia tutta la moneta ca teng’. Mamma Carmelina - E scus’, tand p'ssapè, c’ moneta tiin tu? (Tanto per sapere, che soldi hai tu? Che provenienza (sicuramente illecita) hanno? n.d.r.). - Nooo, nieeente, ho dato una mano a don Liborio a scaricare, e m'ha dato qualcosa… Mamma Carmelina - See, vabbù và. E mmò ci credo.!

Mamma Carmelina ancora parlava quando Antonio, mandando la palla troppo alta, aveva centrato in pieno la vetrata dell’abside gotico del Duomo, quella fatta tutta di vetri colorati che si incastrano in una specie di puzzle. Opera architettonica pluricentenaria, di valore incalcolabile. La vetrata cade giù fragorosamente, e Sabino, che si trovava sotto, miracolosamente riesce a scappare senza farsi neanche un graffio.

Mamma Carmelina: Madooo! E mmò, come dobbiamo fare? madò che guaio ch’ai cumbnaaat! Antonio, bello tracotante: ou, addo sta scritto che il danno l'ho fatto io? In quel momento arriva Nicola, che vede i vetri per terra, poi alza lo sguardo e vede che il vetro colorato dell’abside non c'è più, e fa subito 2+2 Antonio, rivolgendosi a Sabino: Ou Sabì, secondo me non ti sei visto tanto bene. Io mi sono visto che è stato Nicola, non è che ti sei visto pure tu, che è stato Nicola? Sabino: ca come: non lo sò visto pure io, a ccuss’, che tirava la palla e rompeva il vetro? Ma come cazz ti fa la capa, Nicò! Mò devi pagare tutto, che ti credi? Mò so ccazzi tuoi!

Ah, che bei tempi, quando la legge della strada regnava sovrana! Quanti bei ricordi, quando Antonio e Nicola erano a Bari vecchia, e tutti i giorni, e tutte le sere, e tutte le notti ne combinavano una diversa. Poi, ad un certo punto, Antonio andò a giocare nel Bari, e con quel gol all'Inter si fece conoscere da tutto il mondo. Nicola, più grandicello, bravo pure lui, per carità, fece una carriera più tranquilla. Anche lui attaccante all'Inter, certo, ma mai arrivato ai livelli di bravura di Antonio. Nonostante ciò, Nicola è sempre stato una persona equilibrata, serena e sorridente, con una umanità ed umiltà riconosciute ed apprezzate da tutti. Non gli pesava non essere mai riuscito a raggiungere certi traguardi. Era contento così.

Antonio:  Ou Nicò, ti ricordi quella volta là, che romperesti il vetro colorato della chiesa? Nicola: Antò… ancora con questa storia? Ma dai che te lo ricordi benissimo che l'avevi rotto tu e poi mi avete accusato, tu e Sabino, e ho dovuto lavorare tre mesi, tutta un’estate, per racimolare tutti i soldi per riparare la vetrata. E ringrazio ancora adesso don Gino, che mi fece lo sconto! Antonio: Ou, se tu sei fesso che ci posso fare io? Potevi dire che era stato Sabino, la nostra parola contro la sua, lo potevi frecare come ti pareva. Nicola abbozza, ormai è acqua passata. Della vetrata dell’abside e della carognata che Antonio e Sabino gli avevano fatto, non interessa più a nessuno. Sempre Antonio: Ou, e ti ricordi quella volta che arrivò Girolamo, con la Vespa senza più la carena, che ci aveva piazzato dentro il motore 125 del Fantic Strada che si erano arrbbat la sera prima. Per provarla, andammo subito a fare uno scippo a una vecchia. Ou, questa, la bborsa, mica la ammollava, l’murt d’ chi l’è stramurt! La sera dopo la vedemmo al telegiornale regionale, che l'avevano fatta con una mummia. Ahahahahah

Quel motore, sai quante volte l’abbiamo usato, con Girolamo? M’arrcord ‘na vòt che eravamo andati al mare a Castellaneta Marina. Eravamo una decina d’cr’stièen, (di cristiani n.d.r.) o forse anche più. All’andata, m’arrcord che prendemmo in prestito (rubammo n.d.r.) un paio di macchine e ci andammo a mettere all’ultimo lido, dove c’erano quelli che andavano con la barca a vela. Là, trovammo uno che affittava i pedalò. Facemmo una colletta e ne affittammo uno per tutta la giornata.

Sempre Antonio: Ou Nicò, quel pazzo di mio cugino, senti che fece! Prese il motore del Fantic 125, e lo fissò ai pedali del pedalò. E aspe’, che deve ancora venire il bello! Mi ricordo che c’era Sabino che stava pedalando. Eravamo una decina sopra a sto cazz’ di pedalò, e pedalava solo lui! Sabino le faceva chesse cos’… gli piacevano le sfide. Girolamo, così, di punto in bianco… senza avvisare, senza dire niente a nessuno, prese e accese il motore. I pedali cominciarono ad andare da soli, e tanto andavano forte, che Sabino fece appena in tempo a sfilare da là immezzo i piedi, ché se non li toglieva, ancor’ mò stavamo ddè a trovarli. Quello era mio cugino: un pazzo criminale. Non gliene frecava di niente. Andava con l’acceleratore fisso a palla. Le pale del pedalò ruotavano che il pedalò viaggiava a mezz’aria. Praticamente andava senza toccarla proprio l’acqua, galleggiava su un cuscinetto d’aria, come gli aliscafi. Erano almeno una decina di minuti buoni che Girolamo andava girando, co’ ‘sto pedalò volante. La gente che scappava di qua e di là. Le barche a vela parcheggiate vicino alla spiaggia che si cappottavano, una appress’ all’altra, che parevano i birilli del bowling. Ahahahah, quanta risat’ ca c’ stavamo affa’. Ou non esagero, le barche, come ai birilli! Poi arrivò la motovedetta. Ou Nicò, pensa un po’, la motovedetta! Da Taranto la fecero arrivare! Ma quanta risat’ ca c’ facimm’. A me, ancora adesso, quando ci penso, mi faccio delle risate… Ahahahah. Quelli (della motovedetta n.d.r.) appena arrivati scesero, che ci volevano prendere per portarci a Taranto. E allora, vvvia! Fuggi fuggi generale. Mi ricordo che ci dividemmo in tanti piccoli gruppetti di massimo due o tre persone e riuscimmo tutti ad arrivare a casa senza problemi. Quel motore di Fantic Strada 125 arrbbat da Girolamo, tra scippi e giornate passate al mare, ce lo siamo goduto assa’.

Antonio: Ou Nicò, s’è fatta ora di mangiare, che ne dici se ci andiamo a fare una bella ricreata di panza alla Nuova Smarrita, in piazza Càvur (Il Barese con la B maiuscola Cavour, lo pronuncia così) a Torino, che sono settimane che il proprietario mi prega in ginocchio di andare a fare una comparsata. Nicola: Antò, a me sta bene tutto, abbasta solo che non mi fai andare al creatore prima del tempo. Che l'ultima volta, la morte ce la siamo vista in faccia. Antonio: Quanto sei diventato cacasotto, Nicò! Ti ricordi quella volta che allentammo i bulloni delle ruote davanti della Ferrari a Ronaldinho? Oh, alla prima frenata forte, le ruote davanti rimasero lì, e la macchina si fece un volo contro il muro che ancora sto ridendo adesso ahahahah. Ou, quando lo tirammo fuori dalla macchina, piangeva com’a‘nna creatura. Non ho mai capito se per la macchina o per il cacamento sotto. Mi ricordo solo che piangeva come a un bambino. Ahahahah. Nicola: A me però hanno pure raccontato che quando gli dissero che eri stato tu ad allentare i bulloni s’incazzò, e pure parecchio! Poi lo convinsero a lasciar perdere, che tanto con te era come lavare la capa al ciuccio (il proverbio recita: a lavare la capa al ciuccio si perde acqua e sapone n.d.r.). Antonio, risentito: Ou! In chessenso? Scus. Nicola: In che senso… Antò… che ti devo dire… in senso buono! Antonio, sempre più risentito: Ou! In senso buono, in chessenso? Nicola, esasperato da così tanta cocciutaggine: Eeeeeh Antò, facciamo così: la prossima volta che incontri a Ronaldinho, glielo chiedi direttamente a lui in che senso è, in senso buono. Va bbù? Antonio, che capisce che la corda la stava trirando troppo: Vabbù, và. Hai visto che a fare due chiacchiere, manco te ne accorgi, e già sei arrivato dopo dovevi andare? Poi, rivolgendosi al parcheggiatore della Nuova Smarrita: Ou, m’arraccmann, trattala bene, ti sei capito? Poi entrano nel ristorante e ad accoglierli arriva il proprietario, che sceglie per loro il posto più appartato e tranquillo. - Ou, Pinuccio, hai visto chi ti so pportato? M’arraccmann: non mi far fare brutte figure! Per ordinare non stiamo a perdere tempo, porta i piatti del giorno che quelli sono buoni sicuro.

Dopo pochi minuti arriva tutto l'armamentario che precede l'arrivo di escargot, ostriche e frutti di mare in generale. A far parte dell'armamentario c'è anche una scodella piena d'acqua, che viene messa a tavola per consentire ai commensali di sciacquarsi sommariamente le dita dopo aver mangiato pietanze per le quali era previsto l'utilizzo diretto delle mani.

Antonio: e cce 'je mò chest? (E che è mò questa?) in tono canzonatorio: Pinuccio, mica teniamo il cane, che ci hai portato la ciotolina. Pinuccio sorride pensando che Antonio stia scherzando. Dopo pochi minuti, però, vedendo Antonio bere in due o tre avide sorsate il contenuto della ciotolina, perché “l'acqua in bottiglia ancora non arrivava e lui aveva sete”, deve velocemente ricredersi.

Antonio: Ou Pinù… ma chess’aqua sa di limone dei detersivi, ma che bibita è chess. Last al limone? Ahahahahah Pinuccio deve faticare del bello e del buono per convincersi che quello che i suoi occhi hanno appena visto, non è frutto di allucinazioni, ma è davvero accaduto. Tornando velocemente nelle cucine, e dando un'occhiata alla composizione riportata sulla confezione del prodotto, di cui la ciotolina era stata riempita, emerge un contenuto di sapone e antibatterici vari in percentuali senza dubbio incompatibili con l’ingestione senza conseguenze da parte di un essere umano. La probabilità che nel giro di 5, 10 minuti al massimo, Antonio cominci a patire dolori addominali di gravità tutta ancora da scoprire è molto alta. Unica cosa che potrebbe salvarlo sarebbe un’immediata lavanda gastrica, da praticare direttamente lì nel ristorante. Pinuccio è in un bagno di sudore. Inginocchiato, con in mano la poltiglia di quella che era un’immaginetta della Madonna di Pompei, recita 3 serie ravvicinate da 5 ripetizioni di Pater Noster, Agnus Dei e Ave Regina, e spera di trovare ispirazione divina: deve decidere in pochi minuti se rovinare per sempre il nome della sua prestigiosissima attività di ristoratore, praticando lui stesso, immediatamente, una lavanda gastrica, salvando da probabili danni permanenti Antonio ma di fatto ammettendo una propria responsabilità, oppure far finta di niente, cominciare a servire le prime portate come se niente fosse e aspettare che Antonio cominci a patire dolori addominali, in conseguenza dei quali chiamare o meno un'ambulanza sperando che il malore venga attribuito a qualcosa che Antonio possa aver ingerito prima di arrivare lì al ristorante. Non sa decidersi.

Lo fa per lui Antonio stesso: Ou Pinù, poi mi devi dire che bibita è, chess, che metti nelle ciotoline, ca je di luss (che è di lusso n.d.r.). Ti prepara la bocca ad assaporare i frutti di mare in una maniera fantastica. Mò che vado la prossima volta al mio ristorante a Genova, che non cito il nome perché non voglio sembrare che faccio pubblicità, lo devo dire al Metro. O è più di competenza dello Sceff? Pinù, tu che dici? Esprimiti, ca pare che ti è venuta una emi-paresi facciale. Mi fai venire in mente a mio suocero, che l’altra sera gli è venuto l’ictus. Ahahahahah. Ou, gli abbiamo fatto lo scherzo, coi miei figli, che si è spaventato forte, che ancora adesso rido. ahahahahah. Ou, se lo sò pportato per vedere se si poteva fare qualcosa, ma niente ancora. Le risate che siamo fatti… non ti puoi immaginare ahahahahah.

Pinuccio nel frattempo si è ripreso, e ogni minuto che passa senza che Antonio dia segno di star male, è un anno di vita che viene restituito “al legittimo proprietario”. Tra ostriche, mangiate nel pieno rispetto della tradizione, e altri mitili, tra cui le immancabili cozze tarantine, impareggiabilmente gustose, e tutta un’altra serie infinita di deliziosi frutti di mare, una leggera pesantezza di stomaco sarebbe stata più che comprensibile, ma i due Bari vecchia ne hanno viste (e mangiate) troppe per essere messi in difficoltà per così poco.

Stanno per andar via quando Antonio si ricorda: ou Pinù, ciao ciao, ciao ciao… e l’aperitivo per “aprire” lo stomaco, a base di limone, non me lo dici? A Pinuccio scappa, detto a bassa voce, col sorriso, in senso buono, un mavaff…