C'era una volta, in Italia, l'allenatore. Figure mitiche e discusse, da Sacchi a Herrera, fino ad arrivare ad Ancellotti. Grandi strateghi, persone presentabili, non geni letterari ma almeno individui non ordinari e scontati. Diverse idee, ma spesso vincenti. "Idee" appunto, questa è la parola chiave, poichè in Italia sembra ormai aver perso di peso tra chi si esalta per meriti discutibili e chi si fa "profeta" di concezioni calcistiche vecchie e solo rispolverate. Ciò che le nuove generazioni italiane hanno sopratutto dimenticato è l'umiltà. Viziati e arroganti i nuovi allenatori sono artefici di versioni calcistiche spesso non pienamente convincenti, al di là dei risultati e sopratutto sono profeti di conferenze stampa becere, approssimative, incentrate sul luogo comune, sul fanatismo tattico, sul nemico arbitrale e la giustificazione da perdente al fallimento. Il tutto condito da un linguaggio superficiale, fatto di grugniti, gorgoglii lunghi e pesanti alla ricerca della parola perduta che poi è sempre la più scontata possibile, frutto anche di un inadeguatezza culturale al ruolo vestito. Se il nostro calcio sta finendo confinato nel qualunquismo, ove già il nostro paese, a livello politico, naviga è a causa di calciatori forse non più all'altezza e meno soldi da investire ma anche e, sopratutto, a causa di un inadeguata classe tattica, di allenatori non più strateghi ne tecnici ma che hanno fatto di "furbismo" e "agonismo plateale" i loro cavalli di battaglia. Se è vero che tecnicii come Guidolin o Ventura sono stati negli anni capaci di piccoli o grandi miracoli tattici c'è anche da notare come ciò sia avvenuto solo in piccole piazze, senza pressioni e con serenità. Osservando gli allenatori che si sono susseguiti sulle panchine delle squadre con più blasone in italia viene naturale chiedersi quale sia il meno provinciale. Un accozzaglia di profeti del gugnito, superbi, che non sanno ammettere la sconfitta ma sanno solo inveire contro "l'altro" colpevole del "proprio" fallimento. Sarà anche vero, il Milan oggi non potrebbe andare a prendere un Van Basten o l'inter non potrebbe permettersi un Ronaldo e la juventus uno Zidane, ed è proprio qui che dovrebbe venir fuori la capacità di un allenatore, "capace" per l'appunto di fare di necessità virtù inventandosi ruoli e giocatori, moduli e tattiche. La verità è probabilmente più radicata e sta nella preparazione tattico-tecnica degli allenatori. È venuta a mancare ciò, lo si vede anche dal loro modo di parlare, fitto di luoghi comuni e parole scontate. Ciò è da riscontrarsi anche nella mancanza di un percorso, oggi un allenatore finisce spesso per saltare o almeno fa in maniera approssimativa, quasi tutte le tappe tipiche di un evoluzione tecnica. Se ciò in un allenatore fenomenale è irrelevante quando invece parliamo di un allenatore mediocre o buono questo assume un peso che è impossibile non notare. Che tutti gli allenatori che siedono sulle panchine più importanti ora si sentano dei fenomeni, in maniera quasi ironica, è scontato. Basta seguire le loro parole prima e dopo la partita, figlie di un narcisimo immotivato e di una retorica di una bassezza popolare divenuta quasi spontanea. Sempre pronti a prendersi i meriti così come a dare agli altri le colpe. Togliendosi verbalmente sassolini dalle scarpe quando invece dovrebbero lasciare il campo a parlare di ciò. Può accadere che un allenatore risponda a un commento o a una situazione ma non che basi tutta la sua figura su ciò. La frase "per fortuna che c'è qualcuno che diceva ..." è la morte di ogni intelligenza tecnico-tattica. Così l'Italia naviga nel qualunquismo sportivo e in attesa di tempi migliori (sperando che il tutto non finisca per diventare un utopia come già avviene per la politica o per la libertà) "c'era una volta l'allenatore" e speriamo che torni.