È strano come certe storie possono cominciare da poco, come da un pallone bucato. Nato negli anni ’50 da una famiglia di umili origini la sua storia di calciatore comincia da bambino. Nonostante la povertà, il babbo operaio, in occasione della sua prima comunione, volle regalargli un pallone. Quella notte ci andò anche a dormire assieme e, poi il giorno seguente chiamò tutti gli amici per giocarci… peccato che dopo qualche tiro la palla finì sotto le ruote di un bus e scoppiò. Ma il piccolo Felice non si perse d’animo, lo riempì di paglia e stracci e iniziò a giocarci da solo lanciandolo contro il muro per poi riprenderlo al volo. Per ore, tutti i giorni. E così diventò un portiere.

Sto parlando di Felice Pulici da Sovico, che avrebbe compiuto 73 anni sabato prossimo, il 22 dicembre. È di queste ore la notizia della sua tragica scomparsa. Fu il portiere della Lazio di Tommaso Maestrelli, campione d'Italia nel campionato 1973/74, e successivamente allenatore e dirigente sportivo. Una leggenda per i tifosi biancocelesti, d’altronde come si potrebbe dimenticare la vittoria del primo – e storico – scudetto ed una squadra fantastica che comprendeva anche Chinaglia. Ma è stato anche tanto altro, dottore in legge (difenderà la Lazio durante Calciopoli) e paladino dei sordomuti.

D’estate, non potendosi permettere di andare in villeggiatura, trascorreva tutta la giornata all’oratorio dove giocava a pallone con porte improvvisate. Ma era la casa il suo campo di gioco preferito. Imparò a tuffarsi nel corridoio di casa, oppure usava i materassi dei letti come trampolino. Amava il ruolo del portiere ed il suo idolo era Gilmar del Brasile ai Mondiali del ‘58. Tagliava le vecchie federe per legarle sopra un maglione verde su cui scriveva Brasil... e sognava. In Italia, il suo portiere preferito era Ghezzi, che per il suo modo spericolato di stare fra i pali gli fece guadagnare il soprannome di kamikaze.

Aveva il diploma di geometra ed il suo sogno era di andare a Novara all’Istituto Geografico De Agostini per occuparmi di strade e topografia. A Novara ci andò, ma per giocare in serie C dove vinse il campionato. Poi arrivò la chiamata della Lazio. Per due stagioni fu il portiere meno battuto della serie A. Il primo anno perse il titolo a soli cinque minuti dalla fine, ma il 12 maggio 1974, dopo un rigore di Chinaglia, vinse il primo scudetto nella storia della Lazio. Era all’apice della carriera ma con la Nazionale maggiore non ebbe mai un gran feeling, si perse i Mondiali del ’74 in Germania.

La sua partita più bella fu senza dubbio un derby contro la Roma di Nils Liedholm. Era il 28 novembre ’76 e quel giorno parò l’impossibile, parò anche l’aria. I 70 mila dello stadio Olimpico ammirarono i voli e le prodezze in serie del portiere di Sovico. La Roma buttò al vento la stracittadina dopo averla dominato. Negli spogliatoi, i complimenti furono tutti per Felice Pulici, l’insuperabile, il muro biancoceleste capace di serrare a doppia mandata la porta laziale. Liedholm lo definì “magnifico e da nazionale”. Elogi che finirono per commuovere il buon Felice, scoppiato in lacrime mentre dedicata la vittoria al suo grande maestro, Tommaso Maestrelli, l’allenatore dello scudetto laziale, ricoverato per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute e costretto ad ascoltare il derby alla radio. Dirà il portiere, commosso e singhiozzante, che se aveva parato l’impossibile era perché aveva volato con le sue ali. I titoli dei quotidiani del giorno dopo erano tutti per lui e per la sua grandissima prestazione. Quella domenica sera di fine novembre Maestrelli cadde in coma, morendo quattro giorni dopo.

Dopo i cinque anni meravigliosi con la maglia della Lazio, scese in serie B, al Monza. Era un grande Monza, con un presidente eccezionale, Giovanni Cappelletti, e sfiorarono la Serie A. Finita la carriera di giocatore, ritorna alla Lazio per allenare le giovanili e poi cominciare la carriera da dirigente sportivo. Ha creato la prima scuola calcio professionistica da cui uscirono Nesta e Di Vaio. Si laureò in Diritto romano, per poi specializzarsi in diritto sportivo, seguendo da dirigente tutte le cause di disciplinari della Lazio. Nel 2002 fece una scelta controcorrente. Decise di studiare per tre anni la lingua dei segni e poi entrò nella Federazione Sport Sordi Italia, di cui sarà anche commissario straordinario. Una scelta altruistica e di cuore che solo una persona con una grande nobiltà d’animo avrebbe potuto fare.

Era un fervente cattolico e appassionato di Sant’Agostino. “Dov’è il cielo di questo cielo?” era la citazione delle Confessioni che preferiva. La cosa che lo rendeva felice era parare, e non prendere gol possibilmente, e per lui aveva anche un significato più profondo, vedeva la porta come la sua casa, dove aveva imparato a giocare, quindi il suo compito era quello di difendere la sua casa.