In un mondo oramai dilaniato dalla imperversante crisi economica, anche il gioco del calcio si trova a fare i conti con una sempre più grave situazione finanziaria. Già da qualche decennio questo sport non può più essere considerato alla stregua di una mera attività ludica ma ne viene universalmente riconosciuto un indissolubile legame con il mondo dell'economia, con la conseguenza che possa essere etichettato come vero e prorio sinonimo di business. L'ambito economico, tutt'altro che avulso dal calcio stesso, ha senza dubbio fatto da volano all'intero movimento, contribuendo a proiettarlo nell'Olimpo degli eventi più seguiti al mondo. Posizione che lo pone inesorabilmente come bersaglio di pericolose speculazioni. Le società sportive, ai giorni nostri, sono vere e proprie imprese capaci di generare una movimentazione di denaro seconda soltanto a poche grandi realtà aziendali. Il binomio calcio-economia ha però contrbuito, a maggior ragione nel nostro Paese, a dare vita a forti distorsioni. Nei floridi anni novanta le spese folli di alcuni scellerati presidenti hanno avuto come conseguenza non solo il fallimento delle relative società ma anche (e soprattutto) la generale perdita di credibilità che ancora oggi aleggia attorno al mondo del pallone. I celeberrimi crac Parmalat e Cirio sono stati esempi emblematici, avendo coinvolto imprenditori legati direttamente al mondo pallonaro. Sarebbe ora opportuno chiedersi se un regime di Fair Play Finanziario avrebbe potuto evitare situazioni di tale portata. In una realtà sportiva europea sempre più in difficoltà dal punto di vista economico, si è reso necessario l'intervento del maggior organo di controllo in ambito calcistico. L'obiettivo principe del Fair Play Finanziario introddotto dal Comitato Esecutivo Uefa è da scorgersi proprio nell'evitare che le società spendano più di quanto guadagnino. Per poter tagliare tale traguardo l'intento del Presidente Uefa Platini è quello di ridurre progressivamente le perdite economiche dei clubs giungendo, nel non troppo lontano 2018, ad un pressochè totale pareggio di bilancio, essenziale per evitare che la mano sanzionatoria di Nyon si abbatta sulle stesse società calcistiche europee. Tutto ciò con il fine ultimo di attenuare le pesanti disparità economiche in essere tra le compagini dei diversi campionati del Vecchio continente. Disparità accresciutesi ulteriormente negli ultimi anni anche in seguito allo sbarco sul pianeta calcio di oligarchi, emiri e sceicchi che con i loro rubli e petroldollari hanno disallineato in maniera ancor più pesante il livello delle competizioni europee. Se negli anni passati i presidenti erano mossi da una tanto pericolosa quanto autentica passione nei confronti del proprio giocattolo calcistico, ciò è difficile da affermare con riferimento ai nuovi colonizzatori del pallone. Eclatante è infatti l'esempio di squadre che hanno rapidamente raggiunto l'apice della propria storia sportiva per poi essere troppo frettolosamente risucchiate nel limbo della mediocrità susseguente ad un drastico taglio dei finanziamenti da parte dei proprietari; sedotte ed abbandonate con un cinismo disarmante. Anche il nostro Paese, teatro di una crisi calcistica a 360 gradi che abbraccia tanto l'ambito economico quanto quello dei risultati, è tenuto ad adeguarsi ai criteri del Fair Play Finanziario. É però fondamentale che nell'intera Unione Europea si proceda ad una implementazione delle regole del FPF che vada a toccare tutti gli aspetti economici, finanziari e fiscali collegati al mondo del calcio, facendo si che vengano adottati provvedimenti tesi alla totale uniformazione legislativa, non permettendo quindi che possano rimanere in vita marcate differenze ad esempio tra i sistemi fiscali dei diversi Stati. Tali differenze bollerebbero inevitabilmente come vano ogni sforzo della Uefa di creare un mondo del calcio più equo ed economicamente stabile. Per ottempereare ai rigidi dettami Uefa, la quasi totalità delle società coinvolte si trova di fronte ad un bivio: ridurre i costi o cercare di incrementare i ricavi? Il dubbio amletico che non permette di dormire sonni tranquilli a presidenti e managers si fonda sulle modalità attraverso le quali riuscire a rispettare la normativa sul Fair Play Finanziario. Analizzando i bilanci delle società calcistiche è facile notare come il costo maggiore che incide sui conti economici delle società stesse sia rappresentato dagli ingaggi dei giocatori. Partendo dall'imprescindibile presupposto che la riduzione dei costi (e quindi un taglio netto agli emolumenti degli atleti) è da considerarsi il primo passo da compiere per il raggiungimento di un bilancio in linea con i dettami di Nyon, è al contempo indubbio che un parallelo incremento dei troppo poveri ricavi delle società italiane rappresenti un obiettivo altrettanto pregnante. Un'oculata modalità di riduzione del costo aziendale legato alle risorse umane potrebbe essere nella fattispecie rappresentata dall'introduzione, accanto alla normale retribuzione dell'atleta, di premi e benefits legati direttamente ai risultati sportivi ottenuti sul campo. D'altro canto un incremento dei ricavi risulta assolutamente necessario per i club italiani, alla luce anche delle statistiche che inquadrano le società italiche tra le meno virtuose per quanto concerne gli introiti derivanti dall'attività di marketing. A tal proposito è opportuno analizzare e cercare di emulare il giovane modello tedesco della Bundesliga, esempio lampante di ottimizzazione economica ove, anche grazie alla rassegna mondiale ospitata nel 2006, la gran parte delle società è titolare di impianti di gioco moderni e funzionali, in grado di garantire un ritorno monetario non indifferente a livello di incassi da botteghino, merchandising e servizi accessori. Non possiamo dimenticare inoltre che una delle maggiori fonti di ricavi per le società nostrane deriva dalla vendita dei diritti televisivi. Da troppi anni le stesse società sono schiave di questo lauto quanto controverso guadagno che le pone in contrasto tra loro stesse visti i criteri di ripartizione adottati che accrescono le già troppo nette disparità economiche in essere tra i clubs. Il sistema-calcio italiano, essendo divenato fenomeno a tutto tondo capace di attrarre gli interessi di una molteplicità di soggetti, non è rimasto immune nemmeno da ingerenze politiche che ne hanno spesso compromesso il destino indirizzandone in maniera diretta le sorti. É essenziale, pena la ulteriore perdita di credibilità di entrambi gli ambienti, che venga tracciata una netta linea di distinzione che segni un totale smarcamento tra l'ambiente politico e quello calcistico, troppo poco spesso destinario di provvediementi di comprovata utilità e, al contario, troppe volte oggetto di attività legislativa creata ad hoc, come nel caso del decreto salva-calcio del 2002, per tentare di riparare gli ingranaggi di un meccansimo ormai guasto. In un'ottica di una pressochè totale ridefinizione delle norme che governano il mondo del pallone, ben vengano provvedimenti come il Fair Play Finanziario atti a riscrivere le regole in materia economica. É però importante non distogliere troppo lo sguardo dalla vera essenza del gioco più bello del mondo, rappresentata da ciò che avviene sul rettangolo di gioco, con la consapevolezza che ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio. LORENZO RENIERO