Sono sempre i ‘’forti’’ a passare alla storia, quelli diversi, che si distinguono. I prescelti. Si’ proprio prescelti, perché fenomeni si nasce, non si diventa. Lo suggerisce bene anche Luciano Ligabue: ‘’una vita da mediano chè natura non ti ha dato né lo spunto della punta né del dieci, che peccato!’’. Come se ‘’ la vita da mediano’’ fosse una seconda scelta, un’opzione obbligata, un compromesso, una punizione. Complice una società in cui conta chi ha fama e non chi ha fame, per molti quella del numero 4 è una figura sicuramente di secondo piano, relegata a compiti marginali e per antonomasia ‘’sporchi’’. Non è un caso che nessun bambino appassionato di calcio abbia mai sognato di fare il mediano. Chiedere per credere. Alla domanda <> all’uscita della scuola comunale di Battiati le risposte si fanno monotone e prevedibili: Maradona, Pelè, Van Basten, Ibrahimovic, Messi, Ronaldo. Come sorprendersi? Sono loro i ‘’forti’’, i beniamini dei ragazzi. E di astri luminosi come quelli citati ne nascono raramente. Ma se nel mondo i 7 miliardi di persone esistenti fossero tutte uguali tra di loro, immaginate la noia? E lo stesso vale anche per il calcio che, come il mondo, è bello perché è vario. In cosa consisterebbe la magia di questo sport se tutte le squadre fossero composte da tanti Maradona e Pelè, o Messi e Ronaldo? Indiscutibilmente, in questo mondo utopistico, non mancherebbe lo spettacolo, ma il mondo del calcio, lo sport del popolo, sarebbe allora una casta chiusa ai più. E invece è questo il pregio del ‘’soccer’’: essere una medaglia a doppia faccia in cui qualità e quantità formano, insieme, un connubio ineguagliabile. E cosi è data ai gregari (dal latino: uomo del gregge), agli uomini comuni, indistinti, che si confondono nella massa, la possibilità di reinventarsi, la chance di sopperire alla mancanza dell’estro geniale e del magico tocco del fenomeno, facendo proprie virtù meno nobili: Caparbietà. Cattiveria agonistica. Spirito di sacrificio. Atletismo. Irruenza. Dinamismo. Concretezza. Il mediano è un grigio che dà colore alla squadra. E se in campo le ‘’prime donne’’ pennellano giocate improvvise dando spettacolo, questi dipinge invece i tratti guida di un modello di comportamento, uno stile di vita incolore ma tutt’altro che mediocre. Come un bravo pittore tratteggia i contorni delle sue figure prima di colorarle, così il mediano regge l’ossatura della squadra sui cui i suoi compagni costruiscono il gioco. Il celeberrimo Steve Jobs fu una mente eccelsa, ma senza l’aiuto costante e manovale dei diversi operai che lo assistettero difficilmente avrebbe realizzato ciò per cui oggi è ricordato. Allo stesso modo la figura operaia, un numero 4, è moneta sonante per l’economia di una squadra nel calcio. Se è vero che la foresta pluviale è il polmone della Terra, il mediano è quello del suo team. Un insieme di muscoli, di fiato e di determinazione inesauribili che rompe con aggressività la costruzione di gioco avversaria ruggendo e ringhiando senza sosta. Venga pure catalogato come giocatore ‘’sporco’’, come mastino, come ‘’ secondario “ ma, pur non essendo al centro dell’attenzione, il gregario è costantemente al centro del gioco. Poi, guarda caso, il ruolo del mediano non tramonta mai. Il calcio si è radicalmente evoluto nel corso del tempo, si evolve e continuerà ad evolversi assecondando le esigenze degli spettatori. Quello contemporaneo, ad esempio, è un tipo di calcio fortemente improntato all’attacco che punta a valorizzare lo spettacolo e ad esaltare il genio dei numeri 10. Un calcio in cui le ali di centrocampo diventano attaccanti, i centrocampisti dotati tecnicamente avanzano sulla trequarti, gli attaccanti si trasformano in falsi 9. In tutto ciò, però, resta immutata la statuaria la figura del mediano, unico vero perno capace di regalare equilibrio al suo allenatore, copertura e aiuto ai suoi compagni e grande attaccamento alla maglia ai suoi tifosi. Un gladiatore. A questo proposito, senza bisogno di citare i grandi del passato come Oriali, Benetti, Rjkaard, basti pensare al milanista Nigel de Jong. Comunemente considerato un ‘’tosaerba’’, è stato di recente osannato dai tifosi rossoneri per il forte spirito di sacrificio e altruismo atletico mostrato in campo: senza dubbio privo di un bagaglio tecnico degno di nota, è però una diga insormontabile, un muro contro cui il più delle volte gli avversai sono costretti a impattare. Essendo ‘’sempre lì, lì’ nel mezzo a recuperar palloni’’ rappresenta inevitabilmente l’aspetto più crudo, più gretto del calcio, forse anche quello più umano: un Ettore tra tanti Achille. Questo a dimostrazione del fatto che se fenomeni si nasce, Mediani si diventa. Purtroppo, però, delle grandi vittorie si è soliti consacrare alla storia solo i giocatori più decisivi, quelli che ad una prima occhiata superficiale vengono notati in quanto determinanti. E cosi il super Brasile campione della Coppa Rimet nel ’58,’62,’70 viene pragmaticamente riassunto nell’essenza di Vavà, Garrincha e Pelè su tutti. Quando, guardando in maniera più profonda, sarebbe indegno non esaltare parimenti un calciatore del calibro di Zito. Dal punto di vista qualitativo indifferente, da quello quantitativo… imperioso! . Con Zito in campo, il Brasile giocava in 12, non in 11. Forse fu anche questo a rendere possibile l’impresa iridata ma, nonostante fosse una stella luminosissima sarà per sempre adombrata da ben maggiori supernove. Sono questi i mediani, i polmoni dei numeri 10. Specchi grazie ai quali è riflessa la luce delle superstar. E come afferma Gianni Rodari nella ‘’Filastrocca del gregario’’, il mediano << ai campioni di mestiere deve far da cameriere, e sul piatto, senza gloria, serve loro la vittoria>>. Giovanni Lombardo.