Quattro partite, quattro vittorie, un ritrovato entusiasmo patriottico, un gioco che poco convince. In realtà la nostra Nazionale, nel corso della sua pur prestigiosa storia, di bel gioco ne ha offerto solo a sprazzi, tanto che gli attenti tifosi mantengono impresso negli occhi e conservano nel cuore tra i ricordi più belli di una vita l'urlo "tarzaniano" di Tardelli, i "praticoni" gol di un graziato Pablito e la fiabesca interpretazione dell'improbabile Grosso. Acqua passata, a cui si vanno ad aggiungere Mondiali in cui abbiamo sfigurato, altri in cui siamo passati per fessi, altri ancora non supportati dallo stellone che aiuta gli audaci. Ora si ricomincia con una Federazione fresca di maquillage e con un tecnico che fa della grinta e dell'abnegazione lavorativa il suo credo calcistico. I primi dubbi si materializzano in ordine alla FIGC che si identifica con un programma propagandistico e per larga parte scontato (certo sempre meglio di chi un programma non lo ha proprio presentato...) e si va a caratterizzare attraverso pittoresche dichiarazioni, sgrammaticate conferenze, improbabili atteggiamenti ed attività kamikaze esercitate con becera leggerezza e pericolosa convinzione dai folcloristici personaggi che ne compongono gli organi direttivi. Una federazione debole, di sabbiosa consistenza che viene poco considerata a livello internazionale e che continua ad essere foriera di lotte intestine ben lungi da accordi e soluzioni (diritti televisivi, decreto stadi, tifo violento, gestione seconde squadre). Ma veniamo al manto erboso: Conte (già destreggiatosi tra una condanna di sportiva omertà ed una retribuzione sottostimata a quella della Vecchia Signora) sta cercando di modellare una nazionale a sua immagine e somiglianza, combattente e mai doma che identifica la vittoria quale risultato del senso di appartenenza, del lavoro fisico e della compattezza di un gruppo in continua evoluzione. Come accennato è proprio il bel gioco a soccombere sotto questa concezione, in parte debolmente giustificato dall'alibi del mancato rinnovamento generazionale di una difesa monotematica e da un grigiore tecnico qualitativo che contraddistingue il settore avanzato della squadra, sempre alla ricerca della coppia perfetta in attacco. Meglio il centrocampo (guarda caso dove Conte macinava chilometri e improperi) dove spicca il buon Pirlo, maestro di un'orchestra con tanti fiati e pochi violini. Fin qui, dunque, uno scenario dolceamaro che i calciatori meritocraticamente prescelti e convocati dal mister avranno l'arduo compito di trasformare almeno in una succulenta fetta di pane e Nutella che ingolosisca i pretenziosi tifosi italiani più delle polemiche tra Roma e Juve, dell'annosa questione sulla moviola in campo, del beffardo drone sociopolitico in Serbia. Intanto navighiamo a vista...buon vento ! Roberto Perotti