Quando penso a Roberto Baggio penso alla mia adolescenza, alla mia crescita e ai miei cambiamenti. Penso alla passione viscerale che avevo per il calcio, quando quel 10 indossò per la prima volta la maglia della Juventus, nell'estate del 1990, e a come quella passione si sia fatta meno rumorosa ed entusiasta, ma sia comunque rimasta lì, impossibile da intaccare.

Perchè gli anni passano, si cresce, si hanno interessi diversi, si conosce il mondo femminile, ma l'amore per il calcio pur cambiando consistenza e forma, rimane indelebile.
Ecco, quando io penso al calcio penso a Roberto Baggio. Perchè lui è stato Il Campione, il Simbolo del calcio italiano in quella prima metà di anni '90. Quando ne sentii parlare aveva la maglia della Fiorentina, e formava una grande coppia d'attacco con il compianto Borgonovo. Poi quest'ultimo passa al Milan e Baggio resta da solo a deliziare Firenze con gol da antologia come quello segnato al Napoli. In quella stagione 1989-90, tra il Milan degli olandesi, l'Inter dei tedeschi, il Napoli di Maradona e Careca, Baggio riesce ad essere protagonista pur giocando in una squadra che di fatto rischia di retrocedere, nonostante arrivi a giocarsi la finale di Coppa Uefa, poi persa, contro la Juventus. Già, la Juventus... La mia squadra del cuore, la rivale storica della Fiorentina.

Nell'estate del '90, quella dei Mondiali in cui Baggio sale in cattedra con il gol capolavoro alla Cecoslovacchia, succede un evento che mette a soqquadro Firenze. Ricordo le immagini da guerriglia urbana che scatenano i tifosi viola, arrabbiatissimi perchè i Pontello hanno ceduto Baggio proprio agli odiati bianconeri. Venticinque miliardi, me lo ricordo ancora, la cifra che lo porta via da Firenze, e lo farà diventare idolo mio e di altri migliaia di juventini.
Cinque anni impossibili da dimenticare.
Baggio mi accompagna dalla quinta elementare al primo superiore. Baggio segna, incanta ed entusiasma. La primavera del '93 è il periodo della sua consacrazione. Ricordo i gol che segna al Psg in semifinale di Coppa Uefa, e la doppietta al Borussia nella finale in Germania. E'il primo trofeo vinto da Baggio nella sua carriera, forse quello che sente piu suo, perchè vinto da protagonista assoluto.

L'anno dopo ci sono i Mondiali di Usa '94. Baggio è semplicemente l'Italia. Facile immaginare cosa accade e cosa si dice dopo la sua uscita nella gara con la Norvegia. Dopo 23 minuti Pagliuca si fa espellere e Sacchi per far entrare Marchegiani richiama in panchina proprio il Divin Codino. "E' matto questo", lo dice Roberto e altri mille Roberto in Italia, oltre a me e altri milioni. Eppure quella partita la vinciamo grazie a Baggio, Dino, che segna il gol decisivo.
Restiamo aggrappati al Mondiale. Ma Baggio ancora non c'è. Dopo aver steccato l'esordio con l'Eire,la sostituzione con i norvegesi, il nostro delude anche col Messico, nell'ultima partita del girone. Passiamo per il rotto della cuffia agli ottavi, ma con la Nigeria giochiamo male e siamo sotto di un gol.
Ero disperato. Mi immaginavo i giocatori di ritorno a casa, accolti coi pomodori e la ferocia dei tifosi; guardavo Baggio e speravo che s'inventasse qualcosa. Niente. Poi all'89esimo Mussi scende a destra vince un rimpallo e la mette dentro per Lui, che dal dischetto fa partire un destro chirurgico che termina in rete!! Inizia da qui il Mondiale di Roberto Baggio, del nostro Divin Codino. Ai supplementari segna il rigore del definitivo 2-1.
Ai quarti segna nel finale il gol della vittoria contro la Spagna, mentre la semifinale la vince da solo con una doppietta da cineteca che stende la Bulgaria.
Tutto bello, tutto a colori.
Ma questa è la storia di Baggio, un Campione, non per forza un vincente. Di quel Mondiale molta gente non ricorda quel gol che ci ha tirato giu dall'aereo agli ottavi, o le altre 4 reti che ci trascinano in finale. Molta gente, forse troppa, ricorda quell'ultimo rigore tirato alto da Roberto, che ci condanna alla sconfitta con il Brasile. Se l'avesse segnato però non è detto che avrebbe evitato la disfatta, dal momento che i brasiliani avevano a disposizione l'ultimo di quella maledetta lotteria.

Ma il calcio è questo, la storia di Roberto Baggio è questa. Tanti sacrifici, come quelli affrontati agli albori della sua carriera, con quel ginocchio che si rompe quando 18 enne doveva ancora esordire in serie A, in un amichevole estiva a Rimini. Quasi come se gli Dèi del calcio lo volessero avvisare che per lui, dotato di un talento fuori dal comune, la strada sarebbe stata però sempre in salita, che dietro a momenti di gioia se ne nascondevano altri di delusioni, di amarezze, dalle quali avrebbe dovuto rialzarsi continuamente.

Dopo quel Mondiale, Baggio fatica a tornare al 100% e quando lo fa si infortunia a Padova e sta fuori qualche mese. Lo sostituisce Del Piero, che ad appena 20 anni farà vedere di avere i numeri per raccogliere l'eredità del Divin Codino. Baggio torna a febbraio, e contribuisce con 8 gol alla conquista del suo primo Scudetto. Ma non lo fa da protagonista com'era sempre stato. Non è più la Juventus di Baggio. Non è più indispensabile, ora. Ci sono altri campioni e un Del Piero che scalpita per prenderne il posto. Nell'estate del '95 finisce la storia d'amore tra Baggio e la Juventus. Io ho 15 anni all'epoca, e mi trovo spiazzato. Il mio Idolo che va al Milan, una Juventus tutta nuova. La vedo vincere in Italia e in Europa.
I trionfi indelebili in Champion's League, gli Scudetti. Eppure mi manca qualcosa. E lo capisco quando guardo il poster a grandezza naturale che resta imperterrito appeso alla porta da quel settembre 1990. Le vittorie sono belle, ma non sono tutto. Possono esserlo per le società che si mettono in tasca i soldi, per i tifosi che vanno dove tira il vento. Ma per chi ama il calcio e lo vive assimilando e facendo sue le emozioni che dà, è impossibile dimenticare Roberto Baggio. Lui è rimasto un Idolo negli anni. Cambiava casacca e io tacitamente tifavo per lui. Ricordo i 3 anni bui al Milan.
La resurrezione a Bologna. Un Mondiale del '98 che si spense in 3 centimetri troppo in là dopo un suo tiro meraviglioso che poteva sbloccare quel maledetto quarto di finale con la Francia. In una partita in cui tra il malumore nazionale, Del Piero partì titolare a scapito di Baggio che stava nettamente meglio, a livello sia atletico che mentale. Ma questo è. Dopo il sole la pioggia o addirittura il temporale.
La storia di Baggio non conosce giornate miti o nuvolose. E allora dopo Bologna i Mondiali persi. Il ritorno a livelli internazionali degni del suo nome, e poi l'Inter. Ma a Milano il tempo è troppo nero per Baggio, la squadra và male e lui ne risente. Poi, con l'avvento di Lippi, va ancora peggio. Nonostante i suoi rapporti col tecnico viareggino siano pessimi, Baggio si fa sempre trovare pronto, con quell'umiltà che appartiene alle sue grandi qualità. Lascia l'Inter con una doppietta splendida nello spareggio contro il Parma per accedere alla Coppa Uefa.

Dopo il temporale Baggio si riprende il sole. Lo fa con una scelta clamorosa, quella di accasarsi col Brescia. L'intento è quello di quattro anni prima: giocare il Mondiale del 2002. In provincia Baggio si esalta. Ma pochi mesi prima del Mondiale si infortuna. Ormai ha la scorza dura e non si scoraggia, anzi. Ritorna in tempo e in forma per rispondere a un eventuale chiamata. Che non c'è.


Chiuderà a 37 anni, senza rimpianti. Perchè al calcio Baggio ha dato tutto.La passione, le ginocchia, la lacrime, lo spettacolo. Un Campione che ha vinto poco ma che è nel cuore di tutti gli amanti del calcio. Una presa in giro a chi dice che l'importante è solo vincere. No, non lo è. L'importante, per chi ama il calcio, è avere avuto la fortuna di emozionarsi con Roberto Baggio.