I recenti eventi che hanno portato al rinvio e al trasferimento all’estero della finale della Coppa Libertadores sono stati scioccanti ma non sorprendenti. Il gas lacrimogeno, la polizia in tenuta antisommossa, i giocatori feriti hanno ricordato che non è possibile separare completamente la passione dalla violenza nello sport, è una sua parte essenziale.

Ecco cosa ha detto ai media Alejandro Domínguez, presidente della CONMEBOL, dopo quello che è successo. “Quello che abbiamo passato nel weekend non è il calcio. È una malattia che deve essere spazzata via.” Le due più grandi squadre di calcio in Argentina, Boca Juniors e River Plate, dovevano e devono ancora disputare la finale della Coppa Libertadores, il campionato tra club per tutto il Sud America, come la nostra Champions League. Boca e River sono acerrimi rivali, ed entrambe risiedono a Buenos Aires; le tensioni ad ogni incontro sono sempre molto accese e non accennano ad attenuarsi. Nella gara di andata, giocata nello stadio di casa del Boca La Bombonera l'11 novembre, le squadre hanno pareggiato 2-2.

Prima della gara di ritorno, che doveva disputarsi sabato scorso, l'autobus della squadra del Boca stava attraversando Buenos Aires in direzione El Monumental, lo stadio del River. Durante il suo percorso ha imboccato l'Avenida Monroe – una delle strade principali del barrio di Belgrano, nonché un famoso ritrovo per i fan del River – ritrovandosi tra centinaia di tifosi con le maglie del River. La folla ha attaccato lanciando pietre e bottiglie che hanno frantumato i finestrini dell’autobus, i cui vetri si sono riversati sui giocatori di Boca. I poliziotti di scorta che seguivano il mezzo hanno sparato proiettili di gomma e spray al peperoncino per disperdere la folla e far cessare il caos creatosi con conseguenze però anche per i giocatori.

La violenza non ha posto nel calcio", ha detto Domínguez ai media. "La passione non dovrebbe eguagliare la violenza”. Quando i giocatori di Boca hanno raggiunto finalmente El Monumental, subito hanno fatto richiesta di rinvio della partita. Il capitano del Boca, Pablo Pérez, ha subito la lesione della cornea dai vetri rotti. Altri avevano tagli e tutti erano stati intossicati dallo spray al peperoncino. La CONMEBOL, l'organo di governo per il calcio in Sud America, disse che si poteva e doveva giocare. Infatti il match stava ricevendo una grande attenzione internazionale, il presidente della FIFA era in città per assistere allo spettacolo e l’emittente Fox aveva pagato molti soldi per i diritti di trasmissione. Anche se due giocatori erano stati portati all'ospedale – Pérez e Gonzalo Lamardo – i medici della CONMEBOL, dopo averli visitati, dichiararono di non aver trovato nulla che giustificasse l'annullamento dell'incontro.

Il Boca ha protestato perché molti giocatori non erano nelle migliori condizioni per giocare – sia fisiche che psicologiche dopo quanto avvento – ed anche i dirigenti del River erano pronti a posticipare la partita. La CONMEBOL ha ritardato il calcio d’inizio ma si è rifiutato di rinviare la partita. Ha continuato a ritardare l’inizio della sfida una seconda volta, poi una terza. La folla è diventata sempre più irrequieta. Fuori, i fan senza biglietto hanno fatto irruzione nello stadio scontrandosi con la polizia. Infine, pochi minuti prima del quarto orario d'inizio annunciato, i funzionari della CONMEBOL hanno dichiarato che la partita si sarebbe giocata domenica. Successivamente è stato posticipata di nuovo, indefinitamente, in attesa di un incontro presso la sede di CONMEBOL in Paraguay. La decisione definitiva – forse – ha optato per andare a giocare all’estero, presso lo stadio Santiago Bernabéu di Madrid. Se ciò si verificasse, il Bernabéu entrerebbe definitivamente nella storia per essere l'unico stadio al mondo in cui si siano disputate le finali di tutti i tornei continentali e mondiali, per nazionali e per club. I due club hanno annunciato ricorso contro questa decisione che scontenta un po’ tutti.

La violenza non ha posto nel calcio”. Questo è il genere di cose che la gente dice sempre dopo che la violenza è scoppiata dimostrando proprio il contrario, e mi sembra che chiunque lo dica stia mentendo o manchi il punto principale. Ovviamente la violenza ha un posto nel calcio. Ha un posto - un posto profondo, fondamentale, inestirpabile - in ogni sport. La vicinanza alle radici della violenza non è l'unica cosa che lo sport ci offre, ma è una parte così importante dell'impresa che senza di essa, non sono sicuro di cosa guarderemo, o se lo vorremmo guardare. “La passione non deve eguagliare la violenza” è una dichiarazione priva di significato in questo contesto, perché la passione nello sport è mescolata alla violenza all’origine. Quando lasci entrare l'uno, fai entrare l'altro. Siamo una specie che desidera ardentemente distruggere tutto quello che crea.

La questione non è se la “malattia” della violenza nello sport possa essere “spazzata via”. Non può esserlo, e le persone che gestiscono le cose non vogliono nemmeno che lo sia, perché lo spettatore di lungo periodo – che è quello che genera anche un profitto – è così com'è proprio per la sua ardente passione. Potrei riassumere il concetto con una di quelle bizzarre battute che tanto successo hanno su Twitter. Lo sport è capace di infiammare le emozioni di un gran numero di persone a tal punto che vorrebbero lanciare sassi su una serie di nemici scelti arbitrariamente. Su questa passione si lucra, quindi non può essere annullata. Poi ci stupiamo ed indigniamo quando succedono queste cose?

Urlare per un gol, ridere ed esaltarsi durante un parapiglia tra giocatori (o allenatori), dare un pugno nel muro dopo una sconfitta (proprio come succede anche ai protagonisti, vedasi Di Francesco), vestire i colori della propria squadra: immagino che tutti abbiamo fatto queste cose. Abbiamo pagato per farlo, e di certo non abbiamo speso dei soldi (per vedere le partite, per comprare la maglia del nostro campione preferito) perché siamo anime così gentili e amanti della pace, ma perché stare vicino alla soglia della violenza è sorprendente. Il muro che separa la realtà dalla follia diventa sottile e traslucido, dandoti per alcune ore un'euforia che ti fa entrare in uno stato di esaltazione in cui affogare tutto lo stress e la frustrazione accumulata durante la settimana. Questo è il motivo per cui l'idea di sportività, per quanto sia stata sfruttata all’infinito da ipocriti patriarchi e commentatori televisivi ingessati, è un concetto così bello e chiaro: perché ci dice, in effetti, che questo è ciò che è la natura umana, e non possiamo sopravvivere senza accedere ad alcune parti pericolose di essa, ma possiamo costruire un codice, una sorta di gioco all'interno del gioco, che ci permette di farlo senza distruggere noi stessi.

La domanda, quindi, è come possiamo evitare che la violenza – il sottofondo onnipresente dello sport – diventi protagonista in primo piano. Non come eliminiamo questo male estraneo, in altre parole, ma come gestiamo questa forza con la quale siamo in una relazione intestina e continua.
Come manteniamo a bada quella sensazione che deliberatamente vuole trasformarci nell'azione cui vorremmo essere? Le cose noiose e poco emozionanti sono vitali qui: regole e procedure, chiarezza, coerenza, politiche, norme, liste. Per questo motivo, il comportamento della CONMEBOL sulla finale della Coppa Libertadores mi sembra peggiore rispetto all'esercizio dell'avidità di basso livello che è andata in scena. Un comportamento ipocrita ed incoerente, prima hanno cercato a tutti i costi di far giocare e poi il presidente ha fatto le dichiarazioni sopra citate. Inoltre interpretando erroneamente il loro rapporto con la violenza, i dirigenti di calcio hanno quasi certamente contribuito a perpetuarlo. L'atmosfera di incertezza creata dalla loro indecisione è proprio quella in cui la violenza del calcio tende a prosperare. E così è stato anche in questo caso. Tutto questo in nome del profitto e dello show must go on.

In settimana, dopo essersi incontrati in Paraguay, la CONMEBOL ha annunciato che la finale sarà completata il 9 dicembre, a Madrid, fuori dall'Argentina. Formalmente i tifosi di entrambe le squadre possono assistere al match, anche se appare evidente che non tutti possono sostenere i costi di una trasferta transoceanica. Ancora una volta entra in gioco l’ipocrisia, perché non è stato impedito agli ultras di partecipare alla partita, ma nei fatti è tutto il contrario. Queste persone, che non sono in grado di organizzare un piano di sicurezza e far giocare la partita lì dove si sarebbe dovuta giocare, sono il vero problema del calcio. Hanno la competenza per sostenere certi incarichi? Se i fan più accaniti di Boca e River non possono partecipare all’evento, probabilmente non si avrà una replica del caos di sabato. Almeno ciò manterrà i giocatori al sicuro.
Ma levare gli esseri umani dall'equazione non è in realtà la strada per cercare di comprendere la natura umana. E non risolverà mai il problema di fondo, la violenza è insita nel calcio e ci vuole gente abile per gestirla e non farla emergere in tutta la sua follia.