Per la prima volta in cui abbiamo sentito parlare di tessera del tifoso fu nel lontano 2009, da quando l’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni decise di introdurla per questione di sicurezza negli stadi.
La tessera, uno strumento di identificazione dei tifosi dei vari club e della Nazionale, fu da subito apertamente criticata e contestata da larga parte del mondo Ultras sia perché la sua sottoscrizione era vista come una sorta di schedatura da parte delle varie Questure sparse per l’Italia, sia perché l’escamotage del collegamento con le banche ne facevano uno strumento finanziario da sottoscrivere obbligatoriamente per andare allo stadio. Da quel momento il tifoso non era più un semplice appassionato di calcio che poteva andare liberamente allo stadio quando e se ne avesse voglia, bensì diveniva catalogato alla stregua di un criminale, o di un drogato, ma non di qualche sostanza stupefacente, ma di pallone.

Una cosa vergognosa che infatti non ha avuto successo e non ha portato quei benefici di cui il Governo di allora raccontava, contribuendo invece a svuotare ulteriormente gli stadi e allontanare anche coloro che, pur non facendo parte del mondo ultras, ne condividevano le critiche alla tessera del tifoso.
Sono passati 10 anni e la tessera è diventata sempre più inutile ed inutilizzata, con diverse società che hanno deciso di optare per strumenti alternativi come i voucher e away card per andare incontro alle esigenze dei tifosi e agevolare il loro rientro in stadi sempre più svuotati di colore e calore. Doveva essere uno strumento di fidelizzazione ma a ben vedere lo è stato di disaffezione. Nonostante ciò però la tessera del tifoso è ancora esistente e, si ripropone puntualmente ogni volta che si tratta di parlare di sicurezza negli stadi, dove peraltro – va detto – in Italia, di grossi incidenti ormai non vi è praticamente più traccia. All’estero invece spesso si sentono di varie problematiche come i recenti fatti di cronaca – i pesanti scontri dentro e fuori lo stadio per la gara di Champions League tra AEK Atene e Ajax, con addirittura una molotov lanciata tra gli spalti, o gli incedenti prima della partita River-Boca che hanno portato al rinvio – stanno a testimoniare.

A tirare fuori il discorso sono stati il presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli e il capo della Polizia Franco Gabrielli. Il primo ha spiegato che la Lega Pro deve essere il punto cardine del superamento della tessera del tifoso cooperando in sinergia con l’Osservatorio sulle Manifestazioni Sportive (CASMS), per una responsabilizzazione della società in modo da costruire qualcosa di positivo. Il secondo gli ha fatto eco dicendo che il superamento della tessera del tifoso è l'auspicio, dato che la condivisione vale molto più della repressione. La repressione deve essere l'extrema ratio, l'elemento eccezionale. Però tutto ciò è stato imposto in seguito a comportamenti non corretti, a volte criminali; quindi l’auspicio deve essere quello di approdare in una dimensione in cui le persone possano andare tranquillamente negli stadi. Inoltre è necessario un percorso culturale di emancipazione da una mentalità che vede lo stadio come una zona franca, un luogo dove si rimane impuniti e si può sfogare la propria rabbia e la propria frustrazione attraverso episodi di violenza.

In cosa consista questo annunciato superamento però non è ancora dato sapersi, anche se gli indizi – visto anche il recente decreto sicurezza firmato Salvini – non promettono nulla di buono. Sono di lunedì le dichiarazioni del presidente federale Gravina con le quali forniva il definitivo sdoganamento della possibilità di sospendere le partite in caso di cori razzisti o offensivi. E basta leggere tra le righe di questo o altri discorsi degli addetti ai lavori, per capire che il superamento della tessera del tifoso non porterà altro che nuove repressioni nei confronti dei tifosi in generale e degli ultras in particolare. Fermo restando il mio totale sostegno a qualsiasi mezzo affinché si superi il razzismo, negli stadi come altrove, quello che mi desta qualche perplessità è più che altro per i cori offensivi e/o di discriminazione territoriale.

È di ieri il comunicato della Curva Nord Atalantina riguardo gli “sfottò”. In vista del posticipo di lunedì tra Atalanta e Napoli, la Curva Nord ha preso posizione nei confronti delle ultime polemiche sui cori per la discriminazione territoriale che potrebbero fermare la partita. Esorcizzando il pericolo razzismo, i supporter nerazzurri, hanno spiegato ed hanno rimarcato che per loro è solo una questione di sfottò calcistici, appunto. Lo slogan “Noi non siamo napoletani” non può essere strumentalizzato per reprimere una delle componenti più basilari ed elementari del calcio: le prese in giro tra tifoserie. Gente incapace di organizzare campionati professionisti e con dirigenti che hanno definito i calciatori di colore “mangia banane” e le donne calciatrici “handicappate” non possono dare nessuna lezione a riguardo. Il campanilismo non può essere scambiato per razzismo.

Credo che si sta cercando – per l’ennesima volta – di ripercorrere il tanto invocato modello inglese che ormai sta passato di moda pure in Inghilterra, tanto è vero che stanno tornando a furor di popolo i posti in piedi – le Standing Areas – negli stadi. Sembra quasi che l’obiettivo dei dirigenti di calcio di oggi sia quello di avere persone che usufruiscono dello stadio come di un teatro, un cinema o un centro commerciale, dove i tifosi sono sostituiti da consumatori che rispondono ai comandi della società dai cori alle coreografie e siano pronti ad applaudire sempre e comunque i propri beniamini, così come gli avversari (i tifosi tutti bellini e sistemati citati nei giorni scorsi da De Laurentiis). Si va verso un calcio di plastica, finto, che utilizzerà sempre più l’aumento dei biglietti – già oggi venduti a cifre folli, nelle partite di cartello, anche per i settori definiti popolari – per allontanare dagli stadi i poveri, i deboli, gli ultimi a favore del ceto medio benestante, se non proprio ricco. Tutto ciò si innesta in una vera e propria lotta di classe, generalizzata e non limitata al solo mondo del calcio, che mira a ghettizzare lo stadio, che è pronta a scambiare la libertà per una presunta – e di facciata – maggiore sicurezza, e, approfittando dell’ormai decennale spaccatura all’interno del movimento ultras, annientare la parte popolare del calcio, che resta vale la pena ricordarlo uno sport di e del popolo.