Nel calcio come nella vita, ci sono i campioni e ci sono gli eroi. 

I campioni sono quelli che sanno vincere, sanno come farlo, continuano a farlo e non riescono a non farlo. Hanno fame di avversari, li piallano in tutti i modi ed è più facile vedere un pitone in piazza Duomo che un loro segno di stanchezza.

Gli eroi sono diversi. Vincono spesso, quasi sempre. A volte perdono ed è facile che perdano le battaglie decisive. Gli eroi sono connessi all'idea di sacrificio. La loro vera partita non è contro gli avversari, ma contro se stessi. L'avversario è una parte di loro che gli si para di fronte. Ogni duello che vincono è con se stessi che lo stanno vincendo. Quindi sì, sono diversi: i campioni vincono, gli eroi si vincono. 

La differenza è notevole anche nel modo di gestire la sfida. Ai campioni basta fare meglio dell'avversario. Gli eroi vogliono dare il meglio di sé.

Per diventare grandi davvero non basta essere campioni. Bisogna diventare eroi.

Abbiamo tutti in mente i nomi di giocatori con grandissime qualità fisiche e tecniche che non sono mai diventati dei grandi giocatori. Che non hanno mai profuso quel super sforzo che ci vuole per fare il vero salto nell'Olimpo. Quell'andare oltre se stessi che non è vincere ma è vincersi. Quel sudare alla morte tutti i giorni e con continuità totale. Parliamo quasi solo dei loro stipendi e delle loro donne da urlo, ma la vita dei campioni veri non è per niente leggera. Fortunata, ma non leggera. E quando diciamo che per quella cifra anche noi saremmo disposti a tutto, dobbiamo prima chiederci che esperienza abbiamo di questo "tutto".

Ora, a San Siro è venuto il Pordenone. E quale è stato il vero errore dell'Inter? Cambiare mezza squadra? No. Sentire questi commenti anche dai giornalisti sportivi è raccapricciante. Le riserve dell'Inter non saranno all'altezza dei titolari ma non possono essere inferiori ai titolari del Pordenone, se no l'Inter avrebbe in panchina il Pordenone. Il punto è mentale. Siamo scesi in campo come dei campioni e non come degli eroi. Abbiamo cioè pensato che dovevamo fare meglio di loro e non che dovevamo dare il meglio di noi. E siccome era solo il Pordenone abbiamo pensato che per fare meglio degli avversari sarebbe bastato poco. Non nel senso delle riserve, ma della testa con cui sono scese in campo le riserve. 

E che il problema fosse lì è diventato chiaro quando sono subentrati un paio di titolari: non hanno cambiato niente perché il problema era mentale e riguardava la squadra intera. 

Presa la batosta - una vera sconfitta morale - abbiamo continuato a reagire da campioni: giocatori dotatissimi che però hanno messo in dubbio la loro superiorità rispetto a qualunque avversario. Si chiama paura e la paura deriva dal giudizio. Un giudizio improvvisamente negativo su se stessi, che ti piega le gambe. Chi di noi dà il meglio di sé quando si sente giudicato? Questo giudizio negativo è grave come un giudizio positivo, perché è sempre giudizio e con il giudizio non si ragiona e non si vive.

Punto a capo. Questo bisogna imparare a fare. Hai faticato con il Pordenone, cerca di capire perché. E quando entri in campo con l'Udinese è una partita nuova. Da zero. Ogni volta. Entri e dai tutto. Non puoi vincere se prima non ti vinci. L'Inter del triplete era una squadra di eroi. Gli attaccanti facevano anche i terzini se serviva. Non era una squadra bella, ma non faceva riferimento all'avversario di turno: sapeva solo che doveva andare al di là di se stessa, andasse come andasse. Ogni partita. Ogni punto. 

Spalletti ha molto camminato su questa strada ed è del tutto normale che non ci sia ancora arrivato con questa squadra. Se ci allontaniamo un attimo dal nostro tifo e guardiamo questo momento dell'Inter, vediamo che è un momento bellissimo. Perché è un momento di maturazione: se vuole tornare in testa alla classifica, l'Inter deve togliersi la classifica dalla testa. La classifica sono gli altri. Non c'entrano. C'entri sempre solo tu. Dai il meglio e stop.

Questa è la bellezza dello sport e del calcio: i momenti di definizione. O tu definisci il momento, o il momento definisce te.