Non conosco Luciano Spalletti. 

Anche se, confesso, mi piacerebbe. 

Non come allenatore - che comunque trovo bravissimo, errori inclusi - ma come persona. Parto proprio dalle conferenze stampa, tanto biasimate dai più.

Credo che abbiamo perso la capacità di ascoltare. Inseguiamo più o meno le parole, ormai sempre più monosillabiche, e non percepiamo i silenzi. 

Che invece sono la chiave di molte porte e di molti significati.

Le lunghe pause dopo alcune domande erano già più di una risposta e ci rimandavano al senso spesso misero, mal posto e maldestro delle domande stesse. Certi giri di parole erano talmente surreali che per me esprimevano la voglia di un uomo intelligente di parlare d'altro e in un modo diverso. Di alzare il tiro rispetto alle beghe di spogliatoio e alle varie minuzie che capitavano.

Di Spalletti bisognava ascoltare i silenzi. Che poi immagino essere gli stessi con i quali ogni sera scendeva in treno a visitare il fratello. Vedo quest'uomo prendere dopo il lavoro e partire. Quell'uomo è come ognuno di noi perché la morte non tifa nessuna squadra ed è disinteressata a qualunque portafoglio. Il dolore è lo stesso per tutti e con quel dolore Spalletti ha lavorato e viaggiato senza dire niente.

A quanto pare, dall'altra parte aveva un circo letteralmente impazzito. 
Bambini capricciosi con supermogli superbionde superfuori dal mondo, ma anche ragazzotti invecchiati che sbevazzavano fino alle tre, litigi invidie gelosie e polpastrelli consumati a colpi di social. E penso alla bellezza di questo silenzio che lui aveva dentro, a questo dolore con il quale deve aver osservato tutto. 

Dall'altra parte - perché mica è finita - la Società, che ha chiamato L'Allenatore per eccellenza, che passeggiava sotto la sede in un momento delicatissimo della stagione. Perché Spalletti grazie di tutto, ma adesso arriva il futuro. (Il nostro futuro nerazzurro che praticamente è il passato juventino di 5 anni fa, ma per carità va bene se si deve).

Penso alla sintesi di questo momento per lui. La fine contemporanea di tante cose così grandi. E lui, silenzio. A chi pensasse che farebbe cambio della sua vita per avere i soldi di Spalletti dico che i fratelli muoiono gratis e che se non riusciamo nemmeno una volta a non pensare al denaro, gli schiavi dei soldi siamo noi pur non avendoli. 

Spalletti è stato in mezzo fra una squadra scollegata dal senso del dovere e un vertice scollegato dal senso dell'amore. Intendo quello non romantico, quell'attenzione che si deve sempre a chi lavora con noi e che fa del nostro ambiente un posto bello in cui stare. E per me Spalletti ha rappresentato questo: dovere e amore. Abnegazione. Lavoro duro. 

Non discuto. I difetti li ha senz'altro e forse un ruolo nei conflitti lo ha avuto anche lui. Il suo ego ci sarà stato dentro come quello di tutti e delle cose sbagliate le avrà senz'altro dette. Ma poi bisogna tirare una riga e vedere la pasta dell'uomo. E mi pare che lui abbia tenuto anche in queste ultime due settimane la squadra oltre ogni limite rispetto alla barcarola isterica che ormai era diventata.

L'ultimo pensiero per Spalletti lo dedico a Gattuso. Anche lui parla poco. Non si arrampica fra i rami delle parentetiche. Frasi brevi, a volte monosillabi. Silenzi tanti. Anche soldi tanti, ma poi ti fa la finta che non ti aspetti e rinuncia a diversi milioni. E di colpo diventano chiare le pause, i silenzi, luoghi in cui abitano i pensieri e in cui lo spessore dell'uomo cresce e diventa importante. Abbiamo allenatori che sanno parlare, ma ci sono anche quelli che sanno tacere.

Milano guarda questi due uomini allontanarsi. Il futuro è già arrivato (nel caso di Conte con un video di presentazione che ci mostra che cosa sarebbe una ragade se fosse un film). Personalmente, credo che due così andassero salutati meglio.

Grazie Luciano.

Ti si fanno i complimenti.