Ieri sera gli azzurri guidati da Roberto Mancini, battendo per 1-0 la Polonia, hanno interrotto un digiuno di vittorie che durava dal 28 maggio scorso, data in cui superammo, non senza difficoltà, la modestissima Arabia Saudita. Anche questa volta la vittoria è stata sofferta, ed è arrivata soltanto al minuto 92; ma al di là del risultato finale, ciò che finalmente ha convinto è stata la prestazione. Finalmente si è potuta apprezzare un'Italia capace di dominare territorialmente la gara e di creare una mole considerevole di occasioni, attraverso una manovra fluida e una qualità nel palleggio che non vedevamo da anni. Ma il dato più rilevante è quello relativo all'età media dell'undici titolare schierato dal c.t., che diminuisce di quattro-cinque anni rispetto alle formazioni viste (ma che avremmo preferito non vedere) negli ultimi cicli azzurri. Verratti, Insigne, Jorginho e Bernardeschi, dopo essersi affermati nei rispettivi club, sono chiamati a prendere per mano l'Italia che verrà. Donnarumma, Barella e Chiesa, nonostante abbiano l'età adatta per giocare in Under 21, sono già titolari inamovibili. Mancini ha semplicemente capito che quel poco che aveva ricevuto in eredità dalla disfatta di San Siro del 13 novembre, era tutto da buttare.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Così dicevano gli antichi, e questo è quello che deve aver pensato Roberto Mancini, che ha deciso di tenere lontano da questa Nazionale tutti quei giocatori che, non ce ne vogliano, hanno contribuito ad affondare il nostro calcio. Giocatori che non hanno ormai più nulla da dare, ma che più probabilmente, qualcosa da dare non lo hanno avuto mai. Si può quindi affermare che la generazione dei calciatori italiani nati negli anni '80, e chiamata a ricevere l'ingombrante eredità della Nazionale campione del mondo del 2006, ha miseramente fallito. Tralasciando gli allenatori, più (Conte) o meno (Ventura) bravi, e i singoli episodi, è questa la motivazione per cui una delle nazionali di calcio storicamente più forti ha collezionato ben due eliminazioni ai gironi e una mancata qualificazione nelle ultime tre rassegne internazionali. Questa la motivazione per cui negli ultimi dieci anni nessuna squadra italiana ha trionfato in una competizione europea, fatta eccezione per l'Inter del Triplete, una corazzata quella guidata da Josè Mourinho, in cui non figuravano giocatori italiani nell'undici titolare, semplicemente perché in quel periodo vincere con giocatori italiani era impossibile.

I vari Del Piero, Totti e Pirlo hanno lasciato alle loro spalle il nulla cosmico. Il decennio dei nati negli anni '80,fatta eccezione per i difensori Chiellini ('84) e Bonucci ('87), non ha sfornato un singolo talento in grado di affermarsi dal post-2006 ad oggi, se escludiamo anche i campioni del mondo Barzagli e De Rossi nati agli albori degli anni Ottanta ma riconducibili alla generazione calcistica precedente, "non resta più nessuno", come recita la simpatica canzoncina. Persino Claudio Marchisio, l'unico tra centrocampisti e attaccanti di questa sciagurata generazione ad avere dimostrato di essere di un'altra stoffa, si è sciolto all'alba dei trent'anni, proprio quando un calciatore dovrebbe essere giunto al massimo del suo potenziale. D'altronde, se Buffon ('78) a 40 anni era ancora il migliore, e se Donnarumma ('99) a 19 anni è già il migliore, qualcosa in mezzo (non) sarà successo. Anche solo spulciando tra i portieri, la lista delle promesse mancate è lunga: i classe '83 Marchetti e Mirante, Viviano ('85), Consigli (87') fino ad arrivare a Sirigu ('87), decisamente il più forte tra i portieri: come a dire, bravi ma non troppo.

E così è passato oltre un decennio. Un decennio trascorso a sperare, tra le altre cose, che l'eredità di Pirlo potesse essere raccolta da Aquilani prima, da Montolivo poi. Un decennio di 10 a Thiago Motta e di sgroppate sulla fascia di Candreva. Un decennio di speranze riposte in giocatori normali chiamati ad imprese eccezionali, speranze immancabilmente disattese, sempre nel peggiore dei modi. Qualunque cosa ci riservi il futuro, una cosa è certa: gli "Anni Dieci" del calcio italiano non ci mancheranno, e no, non ci mancherà nemmeno la strepitosa duttilità tattica di Emanuele Giaccherini.

A riveder le stelle