"Don't say cat...". Così iniziava un adagio curiosamente tradotto da Giovanni Trapattoni, durante i suoi anni bavaresi.
Il Trap forse non è mai stato un fenomeno con le lingue, ma di calcio qualcosa ci capisce. E la massima infatti esprime una grande verità calcistica, molto meno banale di quello che si potrebbe credere.

Le dichiarazioni, nel calcio, vanno ponderate. L'enorme attenzione mediatica di cui questo sport gode, fa sì che non si possa mai ritenere innocuo o irrilevante quello che gli addetti ai lavori comunicano. Bisogna sapere quando essere smargiassi, quando schermirsi, quando ostentare calma e quando aggredire. Volete capire quello che intendo? Guardatevi una compilation delle interviste di Jose Mourinho nel 2009/2010. Il portoghese era ed è un maestro in quest'arte, uno che non dice mezza parola che non sia studiata, altro che un semplice "provocatore" come spesso lo si dipinge.

Anche Luciano Spalletti, appena preso il comando alla Pinetina, ha dimostrato di conoscere il valore delle parole applicate al pallone. Quando un anno fa gli è stato chiaro che la società non avrebbe speso le cifre preventivate per la campagna acquisti estiva, ha comunicato due cose all'esterno. Una professione di fiducia e una di realismo.
Dichiarazione 1: I miei giocatori sono forti, possono fare un'ottima stagione anche se non arrivano i pezzi da novanta.
Dichiarazione 2: non provate a parlarmi neanche per un secondo di Scudetto! 
Bravo. Ma dovrà esserlo anche quest'anno, e tutta l'Inter, tifosi compresi, con lui.

Il calciomercato che Piero Ausilio sta conducendo è, dal mio punto di vista, eccellente: Nainggolan e De Vrij sono due tra i migliori in Italia nei loro reparti, Asamoah è un giocatore utilissimo, Martinez è deginito un giovane "fortissimo" da troppe voci per essere solo una bolla di sapone... e l'Inter non sembra nella necessità di dover vendere nessuno dei suoi titolari. Insomma, sembra che la squadra dell'anno prossimo possa essere più forte di questa. Ma vincere il campionato a giugno non serve a nulla, anzi, può essere dannoso.
Sarà la necessità di vendere giornali e mettere un po' di pepe a un campionato da anni ormai deciso in partenza, ma ogni estate i commentatori ci deliziano con frasi del tipo "...ma per il campionato attenzione all'Inter, che sta facendo una campagna acquisti di spessore". Ecco, negli ultimi anni non è andata molto bene. Il problema è che spesso queste affermazioni fantasiose (l'Inter una rosa da Scudetto non ce l'ha mai avuta negli ultimi 7 anni) sono riprese da società e tifosi, comprensibilmente pronti a sognare appena qualcuno gliene offre la possibilità.

Io capisco che gli interisti vogliano tornare a lottare per il primo posto, che è il ruolo che all'Inter compete. Capisco che il digiuno è stato lungo e faticoso da mandare giù. Capisco che certi nomi fanno pensare a una svolta sostanziale. Capisco che la voglia di rompere il dominio della Juventus diventi sempre più forte. Ma il 2018/2019 non può essere annunciato come l'anno in cui si lotterà per lo Scudetto. E i perché sono molteplici.
Perché i 23 punti dalla Juventus sono un'enormità, e ben rispecchiano la differenza di ampiezza della rosa, valore tecnico e maturità.  Perché davanti a noi ci sono anche Napoli e Roma, e superarle non sarà uno scherzo, visto che sono anni che ci stanno davanti. Perché l'anno prossimo ci sarà anche la Champions, e quindi avere una rosa più lunga non è un lusso, ma un'assoluta necessità.

"Ma sognare non costa nulla". Niente di più falso, ricordatevi del Trap. Sognare fa malissimo, chi si comporta come Icaro si brucia le ali e precipita. Se pensate che sognare non faccia male, guardate le ultime 3 stagioni interiste. Le cose vanno bene all'inizio (nel caso del 2016-2017, all'inizio della gestione Pioli), gli animi si scaldano, i giornalisti si sperticano in lodi, si parla di Scudetto (nel 2016/17 di Champions) nonostante un'evidente inferiorità della squadra rispetto alle altre pretendendenti. Le tensioni aumentano, la pressione sulla squadra diventa enorme... e all'inizio del girone di ritorno, questo si trasforma nel girone dell'Inferno. 

Matematico, l'Inter a metà campionato va in crisi. L'anno scorso ci siamo rimessi in carreggiata per vari motivi, che vanno da Rafinha a Brozovic alla maturità mentale di Spalletti, e per una capocciata all'87esimo abviamo centrato la Champions. Ma che sovrastimolare e pretendere l'impossibile da una squadra faccia male, dovrebbe essere chiaro a tutti. 
Aggiungiamoci che l'Inter è  (notoriamente) "Pazza", che manca al momento di leader carismatici, che non ha più  giocatori abituati a vincere e a stare in testa e capirete perché la parola "Scudetto" non va proprio pronunciata in quel di Appiano.
Cosa, secondo me, bisogna dire? La mia personale parola d'ordine sarebbe "quota 80". Facciamo 80 punti. 8 più dell'anno prima. Sufficienti per passare da una Champions strappata all'ultimo secondo a una raggiunta comodamente. Abbastanza probabilmente per arrivare terzi (la Roma ne ha fatti 77 quest'anno).
Ipotizziamo, in modo del tutto ideale, di prendere quegli 8 punti in più dai gol di Nainggolan o di un esterno destro migliore di Candreva. Di ottenerli evitando sconfitte stupide come contro Udinese e Sassuolo, o magari vincendo un Derby finito 0-0 per i troppi errori commessi in avanti. Io sarei contento.

Lo so, non è una prospettiva troppo allettante, o non lo è come quella di Icardi che alza la coppa. Ma le cose si ottengono lavorando, migliorando pedina per pedina la squadra, rinforzandola nel carattere e nelle convinzioni. Ci abbiamo messo sette anni per "rivedere le stelle". Volete non aspettarne tre per riportare lo scudetto a Milano?