Nella storia del calcio di giocatori fenomenali ce ne sono stati tanti. Ci sono stati molti giocatori che hanno esaltato le platee domenicali. Anzi, il bello del calcio è che perfino nella più infima delle categorie, come nella parchetto tra i bambini, c'è sempre il giocatore che spicca. Quello che prevale per astuzia e tecnica. Di giocatori così la storia del calcio ne è piena. In ogni campo c’è qualcuno così. Figuriamoci nelle serie maggiori, tanto più nelle competizioni internazionali. Ma alle volte, una stella scende sulla Terra e decide di indossare parastinchi e calzettoni. Allacciare gli scarpini. E incidere il proprio nome nella stele della storia del calcio. 

Nella storia del Calcio di nomi ne sono rimasti pochi. Ma senza dubbio uno di questi è Paolo Maldini. Cuore di drago. Figlio di Cesare. L’esordio di Paolo Maldini sembra una sceneggiatura hollywoodiana, una di quelle smielate che romanzano la cruda realtà degli eventi. Eppure è il 17 gennaio 1985. A Milano nevica. Le strade, come le automobili e le abitazioni sono coperte dalla neve. La trasferta del Milan a Udine, in programma domenica 20 è a rischio. Difficile spostarsi. Molte strade di Milano sono chiuse. Ma come in ogni sceneggiatura americana, il fato risolve ogni controversia, deus ex machina, e infatti alla fine si gioca. Niels Liedholm ha convocato un giovanotto di 16 anni. Certo, non è proprio sconosciuto, si chiama Paolo ma è il cognome che pesa: Maldini. Paolo è il figlio di Cesare, il primo italiano a sollevare la Coppa dei Campioni. Molti dicono sia raccomandato. Che indossi la maglietta rossonera per il cognome. “Dove vuoi giocare?” gli chiede il maestro Liedholm. Lui: “Io sono abituato a stare a destra”. Deciso, come nei suoi interventi, sul campo e fuori. Ed eccolo con parastinchi e calzettoni sgambettare sulla fascia. Chissà se lo storico allenatore milanista sapeva che aveva appena dato vita ad una leggenda. Perchè una stella stava per incidere il proprio nome nella Storia.

Non c’è bisogno di ricordare quanto Paolo Maldini abbia vinto in carriera. Basta ripassare qualche numero dall’almanacco, tanto caro ad Adriano Galliani, per accorgersi che non stiamo parlando solo di un giocatore fenomenale. Nella storia del calcio di giocatori fenomenali ce ne sono stati tanti, ma di giocatori che hanno vinto quanto Paolo Maldini ce ne sono veramente pochi. E di giocatori che anno vinto quello che ha vinto lui indossando sempre e solo una sola maglietta, forse nessuno. In 25 anni di carriera, tutte con la camiseta rossonera, ha vinto 26 trofei. In media più di un trofeo all’anno, in un quarto di secolo. Tra queste conquiste spiccano le 5 Coppe dei Campioni/Champions League. Numeri che fanno rabbrividire qualsiasi compagine italiana. Ed estera. Tra l’altro il capitano rossonero ha anche il record di 8 finali giocate. Tra i suoi primati, l'essere sceso in campo con la maglia rossonera per 902 volte e il maggior numero di presenze in serie A. Uno dei pochi terzini nella storia del calcio a classificarsi terzo nella graduatoria del Pallone d'oro (nel 1999 e nel 2003). In Nazionale ha numeri altrettanto esorbitanti. Ha totalizzato 126 presenze in 14 anni (1988/2002), indossando per 8 anni la fascia di capitano. Una volta ritirato, nel giugno 2009 è stato contattato dal Chelsea per entrare a far parte dello staff tecnico della squadra londinese per ricoprire il ruolo di team manager o di vice del nuovo allenatore Carlo Ancelotti. Qualche giorno dopo lo stesso Ancelotti ha annunciato che Maldini aveva rifiutato l’offerta, forse per il troppo attaccamento ai colori della società meneghina. Oggi Paolo Maldini è il direttore tecnico del Milan, mentre suo figlio Daniel debutta con gli stessi colori, a 17 anni. Maglia numero 98. Trequartista. Giampaolo lo ha schierato alle spalle di Castillejo e Piatek nella sfida contro il Bayern Monaco giocata a Kansas City nel torneo International Champions Cup.

Oggi Paolo Maldini è il direttore tecnico del Milan, dopo un anno di apprendistato da quella volpe di Leonardo. Un dirigente con questo curriculum, con questo palmares di vittorie sul campo non è da discutere. Nessun capitano è stato capace di gestire uno spogliatoio con la stessa intensità, per 25 anni. Eppure ricordo che un anno fa, nel ruolo di Direttore dello Sviluppo Strategico Area Sport, si era lasciato andare a dichiarazioni che non hanno mantenuto le attese. Mi riferisco alle dichiarazioni del 17 agosto scorso. (https://www.calciomercato.com/news/milan-maldini-castillejo-sara-una-sorpresa-champions-possiamo-fa-54075). Quello che stupisce maggiormente da queste parole non è la mancata qualificazione per la Champions League. A maggior ragione se questa sudato obiettivo è svanito al settantesimo minuto di gioco dell’ultima partita valida per il campionato. Ci mancherebbe. Quello che colpisce di queste dichiarazioni, o meglio le aspettative non mantenute, sono quelle riferite all’esterno andaluso Samuel Castillejo:  "Chi ti incuriosisce di più?" "Castillejo, per la sua personalità, il suo tipo di gioco e le sue caratteristiche. Credo potrà essere una gran sorpresa". Penso che la lungimiranza si commenti da sola. La sorpresa della serie A doveva essere la nutria bionda: Samuel Castillejo. Quello che sconforta di queste parole è la labile capacità di analisi delle potenzialità di un giocatore. Certo, non è mai facile investire su un giovane non abituato alla lingua, alla cultura e al campionato italiano. Ogni acquisto è una scommessa. Eppure queste parole sono state pronunciate durante una conferenza stampa. Un momento nel quale le dichiarazioni devono essere pesate. Un momento nel quale è meglio dare risposte imparate a memoria, dopo essere stata ideate dall’ufficio stampa, piuttosto che librarsi in valutazioni pindariche.

Ma siamo sicuri che basti essere stato un grande calciatore per avere la qualità di riconoscere la potenzialità dei giocatori? Certo, non stiamo parlando solo di un grande giocatore. E nemmeno di una grande Bandiera. Perchè Paolo Maldini non è accumulabile a Francesco Totti e Javier Zanetti. Non è stato solo un giocatore dalle qualità eccezionali, per non dire sovrannaturali, che ha deciso di dedicare la propria intera carriera, la propria epopea, a una squadra solamente. Paolo Maldini ha vinto cinque Champions League. Cinque. Più di quanto le società nemiche abbiano vinto nella loro intera storia. Beh, Paolo Maldini quelle coppe le ha bramate ma poi le ha alzate, abbracciate e le ha strette forte a sè. In 25 anni ha vinto 26 trofei. Non basterebbe dire altro. Non bisognerebbe nemmeno ricordare la sua genealogia, la sua eredità, il suo cognome. Ci sono bandiere che avrebbero potuto vincere tutto fuori dalla società del loro cuore. Giocatori che avrebbero potuto vincere di tutto, come Francesco Totti o Javier Zanetti, se solo avessero accettato uno stipendio esorbitante da qualsiasi top club europeo. Eppure non lo hanno fatto. Sono rimasti. Fedeli. E poi ci sono le bandiere come Paolo Maldini. Giocatori che pur rimanendo nella propria squadra del cuore per l’intera carriera hanno vinto tutto il possibile. Incidendo così il proprio nome nella stele della storia del calcio.

Oggi a Milano sono previsti gli arrivi di Rafael Leao e Leo Duarte. Il primo potremmo definirlo come un attaccante completo, rapido e veloce, molto fisico e bravo nel gioco aereo. Abile nel dribbling e nell'uno contro uno. Per le sue caratteristiche è stato paragonato a Pierre-Emerick Aubameyang, dai suoi estimatori. Dai detrattori viene paragonato al dolcemente dimenticato Mbaye Niang. Leo Duarte invece è un difensore centrale dotato di grande esplosività e senso della posizione. Per la sua rapidità e la buona tecnica palla al piede viene paragonato all’ex Roma Marquinhos. Mentre dai detrattori viene paragonato all'altrettanto soavemente dimenticato Gustavo Gomez. Chi avrà ragione? Difficile a dirsi. Soprattutto ora. Bisognerà aspettare che a parlare non siano i dirigenti e i tifosi, ma il campo. I tifosi milanisti dovranno confidare nella lungimiranza della propria dirigenza. Nella capacità di valutazione degli obiettivi di mercato, perchè ad oggi si è speso poco per prospetti sulla carta interessanti. L’algerino Bennacer per cifra investita e margini di miglioramenti è, ad oggi, uno dei migliori acquisti di questo calciomercato. La sua esplosività fisica unita alla grinta e alla determinazione, fanno di lui un portento che ha già dimostrato le sue qualità in Coppa d’Africa. Una giovane promessa sulla quale sembra giusto puntare per il futuro. L’acquisto di Theo Hernandez ha già sciolto il cuore degli scettici nelle due partite di International Champions Cup (ICC). Un terzino fisico e con qualità. Una tipologia di terzino al quale i tifosi rossoneri non sono abituati. Se Rodriguez è un terzino roccioso, che difficilmente perde palla e per questo preferisce non azzardare mai la giocata. L’ex Real Madrid rappresenta l'esatto contrario. Un terzino a trazione anteriore. Che non ha paura di affrontare l’avversario nell’uno contro uno, con la speranza di arrivare sul fondo e mettere qualche palla velenosa. Qualche palla che il bomber della squadra dovrà cinicamente buttare dentro. Quel Piatek che dovrà superare la maledizione della maglia numero 9. Che in questo precampionato sembra aver rubato il talento dell’ariete polacco, come nel celebre film della Warner Bros, nel quale i fuoriclasse perdevano il proprio talento. A questi acquisti si aggiunte il centrocampista bosniaco Rade Krunić. Un giocatore alla cui duttilità tattica unisce buone qualità tecniche e fisiche che lo rendono un cosiddetto centrocampista moderno. Bravo a muoversi negli spazi stretti, ha un buon controllo palla oltre che ottime capacità di inserimento e una buona visione di gioco che gli consente di fornire assist ai compagni. Ma le valutazione degli innesti non sono mai facili. Tanto più se si parla di giovani promesse. Per questo i tifosi rossoneri dovranno confidare nella lungimiranza della propria dirigenza. E non affidarsi a valutazioni opinabili, come quelle di Paolo Maldini del 17 agosto scorso. Perchè la teoria è una cosa, ma la pratica un’altra. Ecco perchè a parlare sarà, ancora una volta, l’inesorabile campo. Quello che ha sempre l’ultima parola. Come il parchetto con i bambini, dove c'è sempre chi spicca.