La Lega Pro continua il suo percorso di riforme, si susseguono incontri e assemblee tra i vertici che ogni volta vengono marchiate come snodi cruciali per il futuro della categoria. Si parla e si discute, in un ambiente che negli ultimi anni non è apparso essere avvezzo a questo clima; un mondo che più volte ha dimostrato di essere chiuso in se stesso, allocandosi dentro una campana di vetro, impermeabile a tutto quello che intorno accadeva, lontano dalle evoluzioni dei paesi vicini e minimamente aperto al tanto annunciato “cambiamento” che oramai come parola risulta tanto astratta quanto invocata. Sono tanti i temi “caldi” che giacciono sulle scrivanie delle stanze dei bottoni dei vertici federali, forse troppi: la tv pay-per-view, la possibilità di allargare i playoff per rendere più competitivo e spettacolare il campionato nella sua parte finale, lo sponsor da mettere sulle maglie, una rimodulazione dei gironi per evitare che si riducano a una sorta di campionato interregionale e possiamo continuare l’elenco con la questione relativa alle seconde squadre, progetto lasciato in sospeso per concentrarsi su questioni “più importanti”. Punto di partenza della Lega Pro per costruirsi la sua nuova prospettiva è proprio quello di stabilire dei criteri di importanza; fissare delle priorità volte a definire i tratti somatici della Lega che verrà, a partire dalla sua sostenibilità che è necessaria per tutti gli utenti che gravitano intorno alla vecchia serie C: tifosi, società e lega stessa. Il tutto per non far sembrare utopistica l’aspettativa di un torneo più sostenibile, più competitivo a livello economico globale e pronto a guidare il processo di riforma del calcio italiano. La Lega Pro ha perso valore nelle ultime stagioni, è un prodotto che continua ad essere in costante perdita e va rivitalizzato per essere nuovamente fruibile per i consumatori; se fossimo intorno ad un tavolo durante un meeting aziendale, dovremmo per forza di cose analizzare il suo brand value attuale. Il brand della Lega Pro, per risollevarsi, va tirato a lucido, e le prime responsabilità di questa svalutazione non sono poi così difficili da individuare. Perché, valutati con attenzione alcuni recenti comportamenti, un richiamo all’ordine verso dei dirigenti di alcune società sembra quantomai obbligato. Oltre alle ombre sulla regolarità di alcuni risultati, si aggiungono alcuni tentativi di aggressione a direttori di gara, si registrano estemporanee invasioni, con minacce di ritirare la squadra dal campo. Cresce a dismisura, a tutte le latitudini, la contestazione di molti dirigenti, che passano più tempo a fare ricorsi ai vari gradi di giustizia sportiva che a controllare i conti delle rispettive società non sempre impeccabili. L’errore che si è fatto negli anni, è l’aver dato troppa importanza all’aspetto emotivo, frutto della scarica di adrenalina che provoca l’evento sportivo e che di riflesso pone in secondo piano tutti gli aspetti relativi all’ immagine di quel marchio. Il brand della Lega Pro necessita di un progetto di sostenibilità qualificata; fintanto che della terza serie non si riuscirà ad esportare una immagine affermata e di successo, non ci potrà mai essere il supporto di importanti partner finanziari. Non ci si potrà mai avvalere del contributo, nel tempo, di sponsor affermati e di aziende leader dell’imprenditoria, anche internazionale, che mai vorranno associare il loro marchio a quello di una Lega Pro con più ombre che luci. Per applicare efficacemente la parola “cambiamento” alla terza serie nazionale, non può non essere preso in esame il numero di squadre che dovranno partecipare ai prossimi campionati. La Lega Pro ha funzionato da barometro per dimostrare che la riduzione degli organici, per come attuata, non ha portato ad alcun miglioramento. Cancellata una categoria (C2), e nonostante si sia continuato a percorrere le strada di ridurre le squadre partecipanti al torneo (da 108 a 90 poi a 54 ed ora a 60), i problemi sono rimasti gli stessi. Inadempienze finanziarie, polizze fideiussorie “ballerine”, difficoltà di gestione insormontabili, fanno ancora parte di una cultura balorda che sembra essere a malincuore una caratteristica indelebile di questa categoria. L’ipotesi di riforma non è quella dell’aritmetica, l’inutilità di ragionare a livello numerico è già stata dimostrata, quello che deve accadere nell’immediato è ben altro. Imporre un indice di “rating”, relativo alla stima, la valutazione, la reputazione, il credito. La rigida applicazione delle norme stabilirà quanti e quali club potranno far parte di ogni categoria. Si prospetterebbe una Lega Pro a 40/45 squadre ma ben venga se l’appartenenza a questo gruppo limitato sarà servita ad elevare la credibilità; il potere economico ed il valore sportivo della categoria sarà il frutto di un evento fisiologico sintetizzabile in una semplice equazione: alzare la qualità per ridurre. La salvaguardia del merito sportivo dovrà essere sempre prioritaria, ma non dovrà più essere l’unico e imprescindibile elemento. Quindi si dovrà rispettare inderogabilmente le regole e si dovranno tagliare i rami secchi effettuando controlli capillari sull’onorabilità, l’integrità, il patrimonio, gli stadi, le professionalità, i ruoli e l’organizzazione dei settori giovanili, senza raggiri e scappatoie. Chi non è in grado che stia pure fuori dall’azienda Lega Pro. Come altro punto da prendere in forte considerazione per dare un nuovo volto alla terza serie nazionale c’è quello relativo alla qualità ricettiva degli stadi, dove il giudizio non deve essere limitato alla sola capienza. Dovranno essere sottoposti a controllo gli “ingressi” negli assetti societari più che gli ingressi dei tifosi nell’impianto sportivo, visto che la giurisprudenza in materia di sicurezza negli stadi è piena di emendamenti e decreti, quasi sempre ostativi nei confronti di chi va allo stadio. Il controllo più attento dovrà essere fatto sull’onorabilità e l’integrità di chi si approccia alla gestione dei club e di conseguenza a consistenza patrimoniale degli stessi. Agendo in questo senso si andranno ad eliminare quei soggetti in continuo pellegrinaggio societario, portatori di virus, dediti ad inquinare il sistema. Le infrastrutture, per esempio, dovranno rispondere a requisiti inerenti non solo l’illuminazione, i posti, il manto erboso, ma anche l’hospitality. Ogni stadio dovrà essere in linea con un modello indicato dalle regole. L’organizzazione del settore giovanile e la professionalità degli educatori costituiranno base indispensabile nella componente valutativa. Problemi che riguardano tanti club. Il rispetto dei criteri di sostenibilità ed una graduatoria di rating li risolverebbe tutti, vista l’impossibilità di falsare i campionati. Creare il valore di un marchio d’azienda impone una conseguente e necessaria produzione di “ricchezza” aziendale; questa dovrà essere un ulteriore chiave di volta per una crescita positiva della categoria. La gestione economica della serie C accusa una perdita totale annua, a carico delle società, di circa 100 milioni di euro, sintomo di una palese cattiva amministrazione generale. Escludendo i picchi più alti che realizzano alcune piazze finanziariamente “attrezzate”, il costo medio di una gestione si attesta intorno a 2/2,5 milioni di euro a stagione. Eseguendo una ricerca bibliografica, sfogliando diversi testi di economia e gestione delle imprese troviamo un metodo molto interessante: quello di creare una ricchezza che scaturisce dal risparmio. Nello specifico ci si riferisce al rilascio delle licenze nazionali, operazione che impone l’obbligo di oneri finanziari non indifferenti. Le polizze fideiussorie, a prima richiesta, impegnano, cumulativamente, somme rilevanti, e non sempre è sufficiente soltanto quella di 350 mila euro relativa al budget generale. Denaro in buona quantità che, girato a banche, broker e compagnie assicurative, esce dalle dinamiche del sistema calcio per finire nelle tasche di terzi intermediari. Nel giro d’affari complessivo si parla di cifre elevate che si disperdono in maniera inopportuna. Una procedura da sviluppare e da mettere in atto riguarderebbe un sistema completamente autogestito dalla Lega Pro assieme partner diretti, riguardante la stipula delle stesse garanzie fideiussorie, producendo risparmi notevoli. La gestione di quella massa finanziaria produrrebbe reddito; le eventuali somme introitate potrebbero dar luogo ad una successiva, ulteriore, ripartizione tra tutti i club, risultando un sistema pratico e conveniente all’interno del quale, è altresì evidente, verrebbero eliminati automaticamente tutti i rischi e gli “intrighi” internazionali derivanti dalla stipula di polizze fideiussorie con broker, intermediari e compagnie non riconosciute dal circuito bancario e assicurativo. Un alto punto cruciale da modificare, è quello relativo alle penalizzazioni, argomento che tra l’altro rende alcuni sponsor scettici ad avvicinarsi alla Lega Pro. Per fare un esempio molto “popolare”: comprarsi una Ferrari per poi tenerla in garage perché mancano i soldi per provvedere alla copertura assicurativa e all’acquisto del carburante non ha senso. Un po’ come farsi lo “squadrone” e poi non possedere la provvista per far fronte, nei termini perentori, agli impegni economici assunti nei confronti dei tesserati. Le penalizzazioni falsano l’andamento dei campionati ecco perché andrebbero stoppate al più presto. Il controllo delle Istituzioni del calcio per il rispetto delle norme dovrà essere basilare. I club più virtuosi vanno tutelati e le “mele marce” debbono andare al macero prima possibile, senza attendere il termine della stagione sportiva; le classifiche non dovranno di conseguenza essere più stravolte con colpevole ritardo. Il calcio, negli ultimi tempi, si gioca troppo spesso tra avvocati e controparti e sui tavoli dei tribunali sportivi ed amministrativi. Tutto ciò non è più ammissibile, il sistema deve combattere ed emarginare. Tutto ciò non deve assolutamente oscurare il focus su quella che è la mission della vecchia serie C e cioè quella di essere una “officina” per la formazione dei giovani. Occorrono progetti: la Lega va dotata di risorse, strutture idonee e docenti specializzati, professionisti capaci di far fare il salto di qualità per recuperare posizioni, da tempo smarrite, nei confronti di altri paesi europei, nazioni calcisticamente più evolute dell’Italia. Ed ecco che in questo caso specifico devono entrare in gioco delle figure istituzionali capaci di coordinarsi con le varie realtà dell’associazionismo sportivo. Si parla molto di modello “made in USA” e lo spunto dovrebbe prendersi proprio dalla terra a stelle strisce che va a reclutare i migliori giovani atleti nelle high school e nei college universitari, per poi catapultarli subito in realtà professionistiche e competitive, dove oltre a coltivare il talento sportivo va di pari passo un eccellente istruzione volta ad educare i ragazzi sotto ogni punto di vista. Purtroppo la nostra cultura ci porta a scindere la vita sportiva da quella scolastica ed ecco perché sarebbe auspicabile una collaborazione stretta e mirata tra i vertici della Lega Pro, il CONI nazionale e il MIUR, che attraverso progetti formativi e con l’ausilio di educatori e tecnici specializzati dovrebbero agire nello sviluppo fisico e sociale, coordinando l’attività scolastica con quella dei settori giovanili delle varie realtà regionali facendo della Lega Pro una vera e propria “università calcistica”. Dunque la crisi negli ultimi anni della Lega Pro parte, senza dubbio alcuno, da fattori economici correlati a una sostenibilità che al momento non trova risposta nella realtà dei fatti, ma ha le sue radici in una crisi etica e culturale del calcio italiano. Fino a quando non si riuscirà a ripristinare il senso di appartenenza e di radicamento sul territorio, tratti peculiari del calcio minore, verrà meno l’elemento fondante e cioè il recupero culturale del ruolo, ovvero la mission, in grado di cambiare veramente le cose in senso etico. La salvaguardia dell’etica, il supporto alla crescita culturale e il consolidamento della solidarietà sono gli elementi da cui partire per ridare un senso e un ruolo alla terza serie nazionale nel panorama professionistico del calcio nazionale. Diego Pierluigi