E' una verità assoluta e fisica che senza le proprie radici, un albero non si reggerebbe in piedi. Mi piace vederla così per il calcio italiano, ma può essere considerata una regola d'oro per ogni sport.

Senza un vivaio di giovani promettenti, tirati su dalle società stesse, siamo destinati a vivere alla giornata, comprando mercenari stranieri che giocano privi di passione solo per lo stipendio e non più per la maglia. Che magari l'anno successivo saranno ingaggiati dalla tua più acerrima rivale per qualche milione in più.

Le eccezioni che confermano le regole ci sono sempre e non mancano in questo caso. La gloriosa nazionale del 2006, vinse la Coppa del Mondo con un'età media di quasi 29 anni, con storiche bandiere (da allora non ne esplosero più di Del Piero, Totti, Buffon, Cannavaro...) e l'Inter di Josè Mourinho che non schierò neanche un italiano nella formazione partente titolare nella finale di Champions League nel 2010.

L'inizio della crisi si può individuare in due macro eventi: la Sentenza Bosman del 1995, che eliminò un tetto massimo degli stranieri “comunitari” (ovvero di Stati facente parte dell'UE) e il successivo arrivo dei diritti televisivi che garantirono una base economica anche alle società più piccole che riescono a sopravvivere nella massima serie.

Successivamente alla Sentenza Bosman, le società sono invogliate (e obbligate dal sistema per rimanere competitive) a comprare stranieri già formati (sicuri di avere i compensi dai diritti televisivi), invece che spendere quei soldi per le Scuole calcio e la Primavera, da cui poi uscivano i giocatori della prima squadra. C'è una completa perdita di questo ciclo che va dalla Scuola Calcio alla prima squadra, molti ragazzi si fermano alla Primavera o alla Lega Pro per una mancanza di insegnamento di tecnica, valori e programmazione. Nei settori giovanili, mancando i fondi, mancano gli Allenatori qualificati con la A maiuscola (anzi migrano all'estero a raggiungere successi con la scuola italiana), quelli che ti insegnavano: l'educazione verso i compagni di squadra, gli avversari e gli arbitri; la tecnica, passando ore intere a palleggiare contro ad un muro (del non capire perchè a 11/12 anni, ma che ti daranno le basi della tecnica un domani); la passione per il gioco e l'umiltà per la proprio squadra e non ultimo l'umiltà. Molte volte le Scuole Calcio ripiegano su studenti universitari o volontari che si organizzano per assistere a gruppi di ragazzi durante gli allenamenti... ma la differenza tra allenare ed assistere è proprio bella grossa. Si è abbassato quindi il tasso tecnico, andando ad incrementare quello fisico, non potendo ovviamente vincere grazie alla tecnica, si iniziano a selezionare i ragazzi solo dalla mera forza fisica. C'è quindi una perdita d'interesse da parte del ragazzino di 15/16 anni, con tecnica buona, che però si vede prevaricare dall'avversario più forte fisicamente, perchè a quell'età la differenza fisica conta e a volte la tecnica non puà sempre tutto. La Primavera risulta poi un campionato inutile, con qualità troppo disomogenee delle varie squadre e quando questi ragazzi diciottenni vanno a cimentarsi in un passaggio di categoria da Lega Pro/ serie B si trovano in difficoltà e la maggior parte rimane in quel limbo per anni.

Una soluzione per riportare il calcio italiano alla competitività di un tempo, non la si può trovare da una stagione all'altra. Serve ripartire, rinascere, far frequentare al calcio italiano le elementari per le basi indispensabili, le medie per il consolidamento dei rapporti all'interno della squadra e le superiori per diventare finalmente maturi, di testa e di tecnica. Ma serve programmarlo ora, senza indugiare oltre. L'esempio spagnolo è quello di maggior chiarezza. Pensando alla Spagna come Nazionale, prima della metà degli anni 2000 era una squadra pressoché mediocre. Le scelte fatte negli anni '90 hanno iniziato a ripagare alla maturità di quei ragazzi allevati e costruiti per esplodere nel primo decennio degli anni 2000. Basti pensare agli ultimi anni, quante squadre spagnole ci sono puntualmente tra i primi 4 posti delle competizioni? Stanno già subendo un cambio generazionale ma riescono a mantenere il livello. Perchè le società hanno dato e continuano a dare fiducia ai propri giovani. Così pure ha fatto la pragmatica Germania, che ha rapidamente individuato il problema gli scorsi anni ed è corsa ai ripari in quattro e quattro-otto.

Seminiamo, innaffiamo con qualità di tecnica e coltiviamo con cura i nostri giovani, care società, pensando un po' di più al valore dello sport che al valore degli utili di bilancio. Puntare sui giovani, è una scommessa che non si perde mai. Ad maiora.