«Ci sono sempre state società più ricche di altre e indubbiamente ce ne saranno sempre. Tutto quello che vogliamo è che i club, più o meno ricchi, non spendano più di quanto guadagnano e che raggiungano la parità di bilancio, unico metodo certo affinché sopravvivano, in modo che passione faccia rima con ragione». E’ questo il Fair Play Finanziario spiegato da Michel Platini. Alla luce di esborsi finanziari spropositati per l’acquisto di alcuni calciatori, l’UEFA decide di introdurre una serie di meccanismi virtuosi a cui le società calcistiche devono attenersi. Facendo leva su alcuni aspetti importanti come l’autosostenibilità delle società, dotarsi di strutture sportive idonee e autogestite, crescita e valorizzazione dei settori giovanili. Tutto questo ha origine, a mio modo di vedere, con il passaggio delle società calcistiche da associazioni sportive a società con fini di lucro, con la legge 586 del 1996. E’ il confine, il passaggio definitivo, verso un altro modo di intendere il calcio. Non più solo un evento di carattere sociale e di aggregazione popolare ma da quel momento ha finalità diverse oltre lo sport, far fruttare il capitale investito. In questi anni assume un aspetto sempre più importante la comunicazione televisiva, utilizzata come strumento non solo comunicativo ma commerciale, come mai era accaduto fino a quel momento. I calciatori diventano strumenti pubblicitari con ricadute enormi, in poco tempo scindono il legame con la società detentrice del cartellino sportivo per autogestirsi e valorizzare al massimo i profitti derivanti dalla propria immagine. Sponsor diventa una parola sulla bocca di tutti gli sportivi. Da li a poco il ruolo della tv assume un aspetto ancora più innovativo. Consente di poter vedere da casa la propria squadra del cuore pagando. Entrano in gioco i diritti televisivi. La gestione di un volume cosi grande di denaro alletta il mondo imprenditoriale per la facilità di raggiungere un bacino di potenziali utenti e clienti. Abbracciando una stratigrafia sociale ampissima ,se non completa, di consumatori. Arriva anche la possibilità di scommettere su eventi sportivi come in altri Paesi. A distanza di non molti anni tutto questo meccanismo innescato destabilizza il sistema del calcio. In realtà per essere più corretti sarebbe opportuno affermare che ad essere destabilizzato è il sistema economico globale e il pianeta calcio è solo una parte. Le società calcistiche con fini di lucro si accorgono all’improvviso che la denominazione legale societaria è un aspetto determinante. E lo è ancora di più alla luce di entità imponderabili, come non accade per altre realtà produttive. Il calcio è un gioco. E’ un gioco di squadra e perché sia competitivo e vincente deve fondare i suoi investimenti non solo in termini di denaro investito in calciatori bravi, ma anche in valori intrinseci allo sport in senso ampio. Diviene vulnerabile poiché investire in società calcistiche per obiettivi di lucro non risponde a logiche di matematica finanziaria valide per altri investimenti. Comprare un grande calciatore super pagandolo non è garanzia di successo e ritorno economico assicurato, ma al contrario rappresenta un rischio aziendale altissimo. Per vincere in uno sport di squadra è necessario porre le basi oltre che sulle qualità tecniche e agonistiche dei singoli calciatori anche su quei dati imponderabili ma fondamentali come la condivisione collettiva di obiettivi, reciprocità di intenti, rispetto e valorizzazione delle individualità. Partendo da queste mie considerazioni di base ritengo che per ripartire sia necessario fondare la rinascita su questi valori creando una struttura organizzativa dei campionati diversa da quella attuale. 1. Serie A a 16 squadre e Serie B a 20 squadre. 2. Vietare ad una società calcistica di detenere altre società di calcio, anche di serie inferiore o anche semplicemente con quote di minoranza. 3. Per rispondere ai dettami UEFA: valorizzazione dei campionati primavera attuali fondando una serie B parallela (la vecchia cadetteria) dove partecipino squadre delle società di serie A e B. Ovvero 36 squadre. 4. Raggruppando in due gironi geografici di 18 squadre la Cadetteria-Primavera a e b. 5. Consentire di giocare non solo ai ragazzi ma anche calciatori non utilizzati assiduamente o reduci da infortuni, delle rispettive squadre maggiori (magari non più di 5 contemporaneamente provenienti dalle squadre di B e 3 da quelle di A). Possibilità di avere un osmosi costante durante il campionato di calciatori dalla squadra iscritta al Campionato Cadetteria-Primavera alla prima squadra senza alcuna programmazione preventiva. 6. La vincente di questa Cadetteria ovviamente non può essere promossa al campionato di serie A. Ma tutti i calciatori giovani della primavera che vincono il campionato Cadetteria-Primavera, hanno diritto a un contratto professionistico con un salary cap prestabilito e obbligatorio. Si retrocede solo se la società maggiore retrocede dalla serie B. Qualora la squadra della Cadetteria-Primavera non retrocede, insieme alla sua squadra maggiore di riferimento, i calciatori che ne fanno parte hanno diritto ad un contratto professionistico nella squadra di riferimento in C. Si accede quando le società di C vincono il campionato. 7. Partecipazione di tutte le squadre della Cadetteria-Primavera alla fase eliminatoria per la Coppa Italia ed eventualmente una risulti vincente, partecipa alla competizione di riferimento della Coppa Internazionale (Europa League). Qualora anche la squadra maggiore si qualifichi nel campionato di serie A per la stessa competizione, solo una delle due può parteciparvi. Divieto di scontro diretto durante tutta la fase eliminatoria tra squadra di riferimento e squadra Cadetteria-Primavera. Ammesso solo eventuale scontro diretto in finale. 8. Introduzione del Salary cap (tetto salariale) soprattutto per i campionati minori di Serie B, C e D, in considerazioni del bacino di utenza sportiva e capacità economica certificata delle società calcistiche, deroghe per il campionato di A con reali pianificazioni economiche. 9. Obbligo da parte delle società maggiori di tesserare almeno 6 calciatori direttamente o indirettamente, provenienti dal campionato Primavera (Cadetteria) che abbiano superato il limite di età come calciatore primavera. Ritengo che la grande risorsa di un qualsiasi sistema aziendale produttivo sia la risorsa uomo, considerarla davvero risorsa, valorizzarla, concedergli quell’ambizione naturale intrinseca a ciascuno. Per farlo penso sia fondamentale concedere un palcoscenico di valorizzazione che passi attraverso gli occhi non dei soli addetti ai lavori ma di tutti. Valorizzando il talento non solo per età ma anche per opportunità ricevute. 10. Obbligo del terzo tempo. Per tutti i campionati professionistici di A, B e C. Ovvero giro di campo di tutti i 22 giocatori insieme. Qualora qualche calciatore o squadra non aderisca ammenda diretta ad personam e diffida sportiva, anche penalità di punteggio. Quest’ultima introduzione penso sia fondamentale per consentire la crescita dei valori di lealtà sportiva, emulando realtà sportive più mature della nostra, come quella inglese per esempio e di altri sport di squadra come il rugby. Avvicinando cosi i bambini, i ragazzi, le famiglie, svuotando quell’odio che non appartiene allo sport, allettando nuovi investitori e garantendo al sistema calcio tutto un futuro.