Rimaneva sempre ultimo quel bambino. Non era veloce, non era bravo con la palla, non era bravo in porta. Ma era l’indispensabile. Senza di lui eravamo dispari. E cosi, al campetto dell’oratorio, le squadre venivano fatte da due ragazzi, di solito uno era quello che portava il pallone, l’altro era quello più grande. La prima scelta cadeva sul portiere più bravo o sul bambino che faceva più gol. Il “capitano” più sfortunato si beccava lui, quel bambino. L’ultimo. Lui però, al contrario di molti altri bambini, si presentava sempre, giocava per passione, non mollava mai, non si arrendeva mai. E cosi con gli anni, quel bambino testardo è diventato un uomo. Un calciatore. Un mediano. Consapevole dei suoi limiti ma altrettanto sicuro delle sue qualità. Ora sa benissimo qual è il suo posto, ora sa benissimo quali sono i suoi compiti. Negl’anni grazie all’allenamento continuo si è migliorato, non ha e non avrà mai la classe del fantasista o lo spunto del rapace d’area, ma il gioco semplice e la razionalità sono il suo modus operandi. Grazie al suo carattere, nelle difficoltà ha lottato e mai mollato. Ha capito che nel calcio si va in campo in 11, e che colui che porta il secchio d’acqua al compagno, che poi lo usa per spegnere il fuoco, ha la stessa importanza. Se non di più. Magari l’altro diventa l’eroe, l’idolo, ma a quel bambino, che ormai è un mediano, sinceramente “nun je ne po' fregà de meno”, perché ormai sa, che ora, come allora, è lui.. l’indispensabile.