Ancora riverbera l’eco della bomba esplosa nella notte del 18 aprile 2021, quando è stata annunciata la nascita della Superlega europea di calcio. Il caos seguito alla notizia ha però spinto nove dei dodici club fondatori a un grottesco dietrofront, causando il repentino naufragio del progetto dopo sole 48 ore di vita. Eppure, ad oggi, la Superlega conta ancora tre membri.  

La Uefa ha minacciato di sanzionare Real Madrid, Barcellona e Juventus, ha avviato un procedimento interno contro le medesime salvo poi doverlo sospendere e dichiarare nullo, come se mai fosse esistito. I club dissidenti sono stati finora inattaccabili dal punto di vista legale e si trovano ad attendere una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue (interpellata dal Tribunale di Madrid in merito ad una possibile violazione della normativa antitrust da parte dell’Uefa) che potrebbe far saltare nuovamente il banco. Un progetto dormiente, dunque, ma non ancora tramontato, e allora: Superlega sì o Superlega no? In questi mesi, oltre agli uomini di campo (giocatori, allenatori, dirigenti), ciascun appassionato di calcio si è sentito coinvolto nel dibattito e ha elaborato una propria opinione al riguardo.
I più passionali propendono per un secco “no”. Infatti, il manifesto originario della competizione prevede la partecipazione fissa dei 12 membri fondatori, a cui si aggiungeranno altri 3 pari grado, con ulteriori 5 posti messi a disposizione dei club distintisi nella precedente stagione sportiva. È chiaro che una struttura del genere privilegi il blasone dei club fondatori (non tutti all’altezza del proprio status nell’ultimo decennio) a discapito del merito sportivo. A essere penalizzate sarebbero quelle realtà (Leicester, Atalanta, Ajax) che, forti un progetto tecnico vincente e di una gestione solida, hanno scritto pagine tra le più belle della storia calcistica recente, facendo sognare non solo i propri tifosi.
Ed è proprio il tifo il motore di questo sport: è stato più che mai evidente nelle tristissime partite giocate a porte chiuse durante l’emergenza sanitaria. A ribadirlo i supporters inglesi, la cui rivolta ha spinto i club di Premier ad abbandonare la nave Superlega.
Anche i più romantici, però, non possono ignorare la cruda realtà: il calcio è ormai un business che non può più prescindere dalla ingenerosa logica del profitto. Lo scontro tra club dissidenti e Uefa è una questione di soldi: i primi hanno la necessità di riempire i vuoti a bilancio, frutto di una gestione scelerata; la seconda teme per i propri privilegi, conscia che una Champions League orfana delle migliori squadre genererebbe ben miseri introiti. Gli attori protagonisti della vicenda si trovano però a duellare sullo sfondo di uno scenario in rovina. Il Covid, infatti, non ha fatto altro che accelerare il declino di un sistema già irrimediabilmente in crisi.

Quali sarebbero, allora, le soluzioni?
La Superlega si propone di generare un flusso di ricchezza che, secondo le stime degli interessati, sarebbe incomparabile con l’attuale. A beneficiarne sarebbero chiaramente i club fondatori i quali, magnanimamente, destinerebbero parte degli introiti (le briciole) alle leghe nazionali, contribuendo a salvare l’intero sistema. Lo svolgimento in infrasettimanale consentirebbe ai campionati nazionali di rimanere il cuore pulsante del gioco, dando ad ogni squadra la possibilità di misurarsi con i top team nel tentativo di soverchiare le gerarchie e guadagnarsi l’accesso alla competizione più ambita. Un torneo che promette uno spettacolo senza precedenti per qualità e quantità, con le migliori squadre composte dai migliori giocatori ad affrontarsi settimanalmente in match di caratura elevatissima: una prospettiva che mira a convincere anche il più incallito dei detrattori.
Eppure, per come la si rigiri, l’impressione è che non sia tanto il sistema calcistico, quanto i club fondatori a necessitare della Superlega: una lega chiusa, d’élite, estranea alla dinamica del merito sportivo, che allontanerebbe ulteriormente il calcio moderno dai suoi principi originari.
Dall’altro lato troviamo una Uefa che, seppur forte del sostegno di organi politici e istituzionali, ha rivelato tutta la sua fragilità e ipocrisia. L’ente che usa i tifosi per autoproclamarsi baluardo dei valori fondanti dello sport, minacciati dall’avarizia di un manipolo di club senza scrupoli, ha la fedina sporca: vedasi il trattamento di favore in tema di fair play finanziario riservato ai sodali parigini. Lo sbandierato nuovo format della Champions League non appare sufficiente a restaurare la credibilità della massima istituzione del pallone europeo.

Chi la spunterà, dunque, tra i due litiganti? Un braccio di ferro di tale portata finirà per generare esclusivamente danni: solo una soluzione condivisa, nell’interesse di tutti e non di pochi, potrà assicurare un futuro allo sport che amiamo.