Un rettangolo verde, undici giocatori per due schieramenti, una sfera al centro. È stata la semplicità, la capacità di arrivare a tutti, ad aver reso il calcio lo sport più amato al mondo. In oltre un secolo di storia dentro a quel rettangolo si sono consumate innumerevoli e memorabili battaglie, storie di uomini qualunque divenuti beniamini delle folle, capaci di emozionare ed ispirare generazioni di tifosi per tutto il globo. Ma dove c’è la moltitudine si annida lo spettro del profitto, ed ecco crescere attorno al rettangolo verde quel costrutto di intrighi e speculazioni chiamato business. Da passione di tutti a fonte di guadagno per pochi: a questo si sta progressivamente riducendo lo sport che amiamo. Affidatosi senza criterio alle dinamiche del mercato, il pallone è caduto in un circolo vizioso che ne ha distorto e falsato i valori: dagli investimenti di tycoon e sceicchi, ai finanziamenti di banche e fondi di investimento, ai prezzi gonfiati dei cartellini, fino alle plusvalenze.

Parte integrante di questo sistema alla deriva sono i procuratori sportivi. L’abolizione, negli Ottanta, del vincolo sportivo e la conseguente conquista della libertà contrattuale, hanno spinto i calciatori ad avvalersi di soggetti esperti, conoscitori della regolamentazione su tesseramenti e trasferimenti, in grado di curare gli interessi dei propri assistiti. Ma a cavallo dei Duemila gli agenti hanno ampliato la propria sfera di competenza, intessendo una fitta rete di collaboratori e organizzandosi in società multidisciplinari comprensive dell’area legale, amministrativa, di scouting; non più semplici mandatari, ma ormai anche consulenti esterni altamente qualificati a cui i club si rivolgono per supplire alle lacune del proprio organico. I procuratori hanno saputo insinuarsi nelle trame del sistema calcistico, in particolare del mercato, per rendersi indispensabili. La loro presenza è ormai capillare, dal vertice della piramide dove troneggiano i cosiddetti super procuratori fino ai polverosi campi di provincia. Nei giovani talenti l’agente cerca nuove fonti di profitto; nell’agente i calciatori cercano, e solo raramente trovano, un tutore che garantisca loro l’occasione della vita. L’attività degli agenti più importanti ha contribuito a far lievitare i valori del calciomercato; sondano, mediano, pianificano e dal nulla imbastiscono trattative; sfruttando la propria nomea ottengono generose valutazioni sul cartellino degli assistiti, strappano ingaggi faraonici nell’interesse del calciatore, certo, ma soprattutto nel proprio, sotto forma di percentuale sull’affare.

Impressionanti, in questo senso, i dati emersi dal rapporto FIFA sul calciomercato internazionale relativo all’ultimo decennio: il ricorso ai procuratori per i trasferimenti è passato dal 5,5% del 2011 al 9,3% del 2021, per un volume complessivo di commissioni pari a circa 3 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni, le sole società di Serie A hanno versato agli agenti 913 milioni di euro. Gran parte di questi soldi finiscono ovviamente nelle tasche dei procuratori più influenti, che riescono a ottenere commissioni fino al 10 % del valore del contratto: in primis Jonathan Barnett della Stellar Group (con 128 milioni di dollari nel solo 2020), seguito da Jorge Mendes (118), Mino Raiola (70,3), Volker Struth (43,7).

Il volume dei profitti rende l’idea del potere accumulato da questi professionisti. Un’influenza che esorbita dalle competenze del procuratore e sfocia in un vero e proprio potere di manipolazione e controllo i cui gravi risvolti abbiamo potuto vedere recentemente. Il caso più eclatante riguarda Jorge Mendes, fondatore di un’agenzia che gestisce dal 1996 i migliori giocatori e allenatori del panorama portoghese (fiori all’occhiello Cristiano Ronaldo e Josè Mourinho); dopo aver svolto un ruolo determinante di mediazione per il passaggio di proprietà del Wolverhampton, negli anni successivi ha fatto transitare nelle file dei Wolves innumerevoli suoi assistiti, in campo e in panchina, trasformandolo di fatto in un club satellite. Potrebbe, per assurdo, decidere egli stesso la formazione che scende in campo la domenica. Di dominio pubblico anche la vicenda che ha visto Gennaro Gattuso, assistito del portogese, dimettersi dopo qualche settimana dal ruolo di allenatore della Fiorentina, quest’ultima rea di non voler acquistare i rinforzi chiesti dal tecnico il cui agente, guarda caso, era proprio Mendes. Insomma, in un sistema privo di una regolamentazione precisa i procuratori hanno raggiunto un potere smisurato, tale da poter persino ricattare i club.

Eppure, è stato recentemente dimostrato che si può anche fare a meno degli agenti. Kevin De Bruyne, complici anche i guai giudiziari dell’ex procuratore, ha deciso di negoziare il proprio rinnovo con il City in prima persona. Avvalendosi esclusivamente della consulenza del proprio legale e di un team di analisti, il giocatore ha sottoposto ai dirigenti i dati sul suo rendimento nelle stagioni in maglia citizens e una valutazione comparativa dei risultati ottenuti dalla squadra con e senza di lui in campo. Risultato: rinnovo fino al 2025 e aumento di 60.000 euro a settimana, evitando al proprio club una salata commissione. Svolta rivoluzionaria o utopia? Come ammesso dallo stesso giocatore, tutto questo è stato possibile grazie a una volontà condivisa e del profondo rapporto di stima e fiducia reciproca fra i due contraenti; ben diversa sarebbe stata la situazione se avesse voluto lasciare Manchester. Altri giocatori (Kimmich, Skriniar) hanno fatto lo stesso, ma non tutti sarebbero in grado di provvedere efficientemente ai propri interessi, soprattutto quando il rendimento non fosse quello dei nomi citati. Altra soluzione largamente praticata (Messi, Neymar) è quella di affidarsi ai propri familiari, generalmente sprovvisti delle necessarie competenze manageriali, con esiti non privi di effetti collaterali.

Il procuratore rimane dunque una figura difficilmente sostituibile nella maggior parte delle ipotesi. È tuttavia necessario limitarne l’influenza e l’ingerenza nella vita dei club, e questo è possibile solo regolamentandone adeguatamente l’attività. Nell’annosa disputa di potere tra FIFA e agenti si è recentemente inserita la Commissione per la Cultura e l’Istruzione del Parlamento europeo la quale ha promesso il proprio appoggio al numero uno del calcio mondiale Gianni Infantino nel tentativo di garantire maggiore trasparenza dei traffici degli agenti sportivi e una riduzione dei loro compensi. Gli ipotetici strumenti sono: i) licenza obbligatoria per l’esercizio della professione; ii) bonus di formazione a beneficio del club di origine del calciatore; iii) divieto di rappresentare al tavolo delle trattative sia il calciatore che la società; iv) massimale per le commissioni; v) divieto di bonus alla firma o sulla futura rivendita.

Si tratta di misure senza dubbio necessarie, ma non sufficienti a risollevare l’intero sistema dal baratro in cui è precipitato. Gli eccessi dei moderni procuratori sono conseguenza e non origine dei mali che affliggono il calcio. Le istituzioni del pallone sono chiamate a varare ben più consistenti riforme per rendere il sistema sano e sostenibile. Partendo da una riforma delle competizioni e da un piano di redistribuzione intelligente delle risorse per arrivare, magari, ad istituire un salary cap. Nella speranza che i riflettori si spostino da loschi figuranti per posarsi di nuovo, esclusivamente, sul rettangolo verde.