22 Maggio 1996. Vladimir Jugoviç sul dischetto del rigore davanti a 70.000 spettatori di un Olimpico stracolmo e in ansia dopo un estenuante 1-1 contro la stellare Ajax di Litmanen e Davids. Dai piedi d'oro del centrocampista slavo scaturì il gol decisivo, quello che consegnò la seconda, e per ora ultima, Coppa dalle grandi orecchie al club più titolato d'Italia. Sono trascorsi venti lunghissimi anni da quella notte magica, anni in cui la Juve ha cambiato molto, con campioni che si alternarono a giocatori con nomi assai meno esaltanti e viceversa, passando per due finali perse consecutive, un lungo purgatorio di risultati non entusiasmanti, fino all'ennesima finale persa ai rigori contro il Milan di Ancelotti, e poi ancora l'inferno della B e la rinascita, con la nuova finale, ancora una volta persa per un soffio, quella che poteva valere il triplete della Vecchia Signora, contro i Blaugrana. Parliamo solo di due stagioni fa, e la Juve di due stagioni fa era una Juve che veniva dalla scuola Conte, uno di quei "giocatori operai" che Lippi portò alla ribalta, uno di quelli che la Grande Coppa l'ha alzata al cielo, il Capitano. Cos'è cambiato da quel 1996 ad oggi? Tutto, forse niente. La dirigenza è totalmente diversa, e tralasciamo le ormai annose vicende di calciopoli. Ma la mentalità, quella no, non è cambiata affatto, è sempre la Juve di Gianni e Umberto Agnelli quella che oggi ci delizia con vittorie su vittorie, esaltandoci, rendendoci partecipi di un sogno che sebbene stenti a realizzarsi diventa sempre più simile ad una concreta realtà che va via via plasmandosi, acquisto dopo acquisto. La juve di Lippi poteva contare solo su due fenomeni autentici, Vialli e un giovanissimo Del Piero, nonchè su un numero impressionante di "underdog", giocatori dalla grande grinta e dai piedi buoni, che forse non destavano entusiasmo se nominati uno alla volta, ma che messi assieme formavano una corazzata in grado di sfiorare la tripla Champions in tre anni (e non scordiamoci che solo l'anno prima avevano sfiorato la vittoria in Coppa Uefa, vinta dal "compianto" Parma di Dino Baggio). Uomini come Padovano, Ravanelli, Conte, Di Livio, Sousa, Ferrara, Peruzzi, Deschamps, Pessotto, Jugoviç, Torricelli, Porrini. E quella vecchia gloria indimenticabile di Vierchowod! Ma in quanti ricordano quella storica formazione oggi, immersi in questo magma di fuoriclasse o presunti tali dal cartellino esorbitante e dallo stipendio altrettanto inarrivabile? Quei ragazzi correvano, urlavano la loro grinta, piangevano lacrime di gioia e ne versavano di tristezza dopo una sconfitta, magari immeritata come nella finale persa contro il Borussia Dortdmund del 1997. La dietrologia spesso ci porta a dire "si stava meglio quando si stava peggio", e forse per certi versi è vero. Ma riflettendo bene, alla fine cosa rende la Juve ciò che è sempre stata e ciò che è ancora, ossia un team vincente sul campo e fuori dal campo? Due parole: coesione, mentalità. Coesione, perché è il Gruppo che fa la differenza, non i nomi, Di album delle figurine in Europa ne vediamo molti, basti buttare uno sguardo nella Premier League o in Liga spagnola per imbarazzarsi dinanzi ad un'abbondanza spesso non contornata da un autentico senso di "squadra di calcio", dato che è l'individualità che in quei team fa la differenza, laddove mancando il fenomeno di turno si prendono severe imbarcate anche da squadre minori. Mentalità: perché il buon Gianni Agnelli diceva sempre che alla Juve conta solo vincere! E se in quegli anni d'oro, passando anche per il "dream team" di Capello, che calciopoli o non calciopoli, vedeva in campo la Juve più spettacolare di tutti i tempi e più carica di campioni, la mentalità e la coesione erano le sole determinanti capaci di far vincere l'impossibile, oggi la Juve ha dalla sua anche uno Stadio di proprietà, una gestione illuminata delle risorse ed una dirigenza accorta e trasparente, capace di programmare il futuro con giovani di talento e allo stesso tempo di investire adeguatamente su campioni affermati senza esborsi esosi. E la squadra di oggi è un concentrato di campioni già affermati ed esperti come Dani Alves, Higuain, Buffon, la BBC, Benatia, Evra, Marchisio, Mandzukic e Khedira, e di talenti che stanno emergendo facendo sognare i tifosi non solo della Juve ma di mezza Europa, come Dybala, Pjaça, Pjanic, Alex Sandro, Lemina, Cuadrado, Mandragora e Rugani. E come quel Pogba che fino a pochi mesi fa era incedibile. Ma nel calcio di incedibile c'è solo la fede calcistica di chi come noi tifa la squadra del cuore. Vent'anni dopo siamo ancora la Juve. Siamo ancora pronti a rivivere quella notte del 22 Maggio 1996. Ma con qualcosa in più. -Pasquale D.-