Il successo mostruoso della Juve ha radici lontane. Pone le basi nel 2006 con Farsopoli.
Qualcuno ora ben noto tentò di far fuori una squadra già allora imbattibile sul campo e trovò facile sponda nel coro dei perdenti. E i campioni del mondo scesero in B per fedeltà alla maglia e alla verità che lentamente ma continuamente sta venendo fuori.
La Juve si nutrì dell'odio e dell'invidia che la circondava, così come della rabbia che provò allora. Una rabbia tramutata in furore agonistico che negli anni ha asfaltato tutti. Più ci odiano, più diventiamo forti. Semplice.

Proveremo ancora ad essere egemoni in Europa, ad alzare quella Coppa che per noi appare stregata e che ancora ci ricorda il sangue dell'Heysel. Lo dobbiamo ai nostri tifosi che non ci sono più e che andarono a Bruxelles inseguendo un sogno. Lo dobbiamo alla nostra gente che fa sacrifici per seguire la sua amata squadra, e lo dobbiamo a tutti coloro che odiano la Juve, per ricordare che l'Araba Fenice non muore mai. Perché la passione non muore, l'amore non muore, e la Juve per moltissimi tifosi rappresenta tutto ciò. Prima o poi ci riusciremo, la Vecchia Signora festeggia sempre poco e lavora sempre tanto.

Prima o poi perderemo anche noi. Ma provino i corvi a fare altrettanto o di più.
Sul campo, come noi, non dietro le quinte o nei corridoi. Per chi si batte come la Juve ci sono i trofei. Per chi ha giocato sporco soltanto i soliti tredici denari. D'argento, ovviamente.