Che non sia una squadra come le altre lo si è sempre saputo. Questione di DNA. Non è un caso che lo stesso inno dei nerazzurri reciti "Pazza Inter". Ma più che pazza, l'Inter degli ultimi anni è sembrata masochista. Tra cambi di proprietà, allenatori esonerati, giocatori cambiati e dirigenti entrati e usciti, i movimenti dal post triplete a oggi si contano a centinaia. Tutto questo, come da copione, ha portato a un susseguirsi di fallimenti sportivi. In principio fu Benitez, che ricevette in eredità la squadra di Mourinho e in sei mesi si trovò giocatori e dirigenza contro. Risultato? Addio a gennaio, con Moratti che al suo posto scelse Leonardo come traghettatore. L'ex Milan fu bravo nel capire che prima della questione tecnica andava affrontata e recuperata quella mentale. Con lui, l'Inter riprese a macinare punti. Tornò in lotta per lo scudetto e visse una notte magica in un ottavo di finale di Champions, a Monaco di Baviera, con un 3-2 in rimonta firmato Pandev. Ad aprile, però, il giocattolo si ruppe: sconfitta per 3 a 0 nel derby-scudetto con il Milan e roboante 2 a 5 patito a San Siro nei quarti di Champions per mano del modesto Schalke di Raul. Leonardo finì secondo in campionato e portò a casa quello che tutt'ora è l'ultimo titolo conquistato dai nerazzurri, la Coppa Italia vinta 3 a 1 contro il Palermo. La stagione 2011-2012 vide addirittura tre allenatori: Gasperini prima, Ranieri poi e infine l'ex tecnico della primavera Andrea Stramaccioni, bravo a compiere una rimonta che valse l'accesso ai preliminari di Europa League e la sua conferma per la stagione seguente. Stagione che, però, fu tra le più deludenti, con un nono posto finale e l'esclusione dalle coppe per la prima volta dal '98-'99. A dirla tutta, la colpa di quel fallimento non fu tutta di Stramaccioni, sfortunato nel trovarsi a giocare gli ultimi mesi con giocatori come Mudingayi, Àlvarez e Rocchi titolari a causa dei numerosi infortuni. L'anno seguente, Moratti scelse l'ex Napoli Walter Mazzarri per la panchina e a ottobre si assistette a un cambio storico in società: dopo mesi di trattative, infatti, Massimo Moratti cedette il 70% delle quote della società all'indonesiano Erick Thohir. In campionato, la squadra risentì anche della scossa causata dal cambio di proprietà e terminò con un quinto posto deludente. Oltre a ciò, i tifosi nerazzurri furono costretti a salutare gli ultimi eroi del triplete: dissero, infatti, addio Samuel, Cambiasso, Milito e soprattutto Capitan Zanetti. A luglio c'è ancora Mazzarri, che resiste quattro mesi prima di venire esonerato a novembre. Al suo posto, Thohir chiama Mancini, profilo ritenuto perfetto per centrare l'accesso all'Europa che conta. A gennaio arrivano due colpi: Lukas Podolski dall'Arsenal e Xherdan Shaqiri dal Bayern Monaco. Nonostante le grandi aspettative, l'Inter chiude ottava e ancora fuori dall'Europa. La seconda stagione del Mancini-bis inizia nei migliori dei modi, con la squadra che viaggia da prima della classe fino alla sconfitta con la Lazio di dicembre. Da lì, black out e squadra che scivola fino al sesto posto, salvo poi risalire e tentare la rincorsa al treno Champions che fallisce con il quarto posto finale. A giugno, altro cambio di proprietà. Thohir cede la maggioranza delle quote al gruppo cinese Suning Commerce Group del presidente Zhang Jindong. Mancini, nonostante una ricca offerta dei nuovi proprietari, lascia. Su consiglio di Thohir, Suning sceglie l'olandese Frank De Boer come nuovo allenatore. Il resto è storia recente. L'inizio difficoltoso, l'illusoria vittoria contro la Juve, il girone da incubo di Europa League, l'esonero, l'intermezzo di Vecchi, il casting allenatore e, infine, la chiamata di Pioli. Il tecnico Emiliano, nonostante il buon inizio, ha dimostrato di essere sì un buon allenatore, ma di non avere quel qualcosa in più che fa di un allenatore un vincente. Oltre a ciò, da Nanchino hanno fatto sapere di non aver gradito la doppia rimonta subita una settimana fa per mano del Milan nel derby. La verità è che Pioli ha il destino segnato da quando si è aperto uno spiraglio, seppur minimo, per Simeone prima e Conte poi. Suning progetta le cose in grande, promette in cinque anni una posizione tra le top-10 del calcio mondiale e investimenti importantissimi già da questa estate. La voglia c'è ed è giusto che sia così, ma senza organizzazione si rischia di commettere gli stessi errori del passato. Prendiamo il modello Juve. La forza dei bianconeri è stata quella di mettere prima di tutto la società. Gli artefici della stagione da sogno della Vecchia Signora sono Beppe Marotta e Massimiliano Allegri, un direttore tra i più capaci al mondo e un allenatore molto preparato, bravo a gestire uno spogliatoio pieno di campioni come quello della Juventus. Dietro a tutto ciò, una dirigenza che non ha mai messo in discussione il lavoro del tecnico Toscano, neanche dopo l'eliminazione dalla Champions League dell'anno scorso, quando i bianconeri gettarono al vento un doppio vantaggio negli ultimi dieci minuti. La società, in quell'occasione, fece quadrato intorno a squadra e allenatore, e oggi sta vedendo la propria fiducia ripagata da un stagione fino a questo punto trionfale. Ecco perchè diciamo che Suning debba ripartire dalla organizzazione societaria. E, a supporto di questo, è di ieri la notizia del rinnovo del ds Piero Ausilio. Notizia che non può non far felici i tifosi nerazzurri, quantomeno perché conferma la volontà di Suning di iniziare un processo di programmazione. Giusto continuare con chi conosce l'ambiente e non ha fatto male quando la situazione era a dir poco confusa. Ora, arrivata la firma, Ausilio potrà guardare al mercato, con i colpi Berardi e Manolas sempre più vicini. E, adesso sì, riflettere assieme alla dirigenza sulla questione allenatore. Detto di Pioli, scendono anche le quotazioni di Conte e di Simeone, troppo difficili da raggiungere. Così, il favorito a questo punto sembra essere Spalletti, il cui contratto che lo lega alla capitale scade a giugno. Per lui si parla di un triennale a cifre importanti, sicuramente superiori rispetto ai tre milioni netti che percepisce a Roma. Piace, e molto, anche l'artefice del miracolo Monaco di quest'anno, quel Leonardo Jardim che già l'estate scorsa era stato sondato. Quella volta si scelse De Boer, cacciato poi pochi mesi dopo perché non adatto al calcio italiano. Jardim, non avendo mai neanche respirato l'aria della Seria A, avrebbe bisogno di tempo per ambientarsi in Italia e abituarsi al nostro calcio. Tempo che nel Principato gli è stato concesso, ma che qui difficilmente avrebbe a disposizione. Chiedere allo stesso De Boer per conferma. Non fraintendetemi: Jardim è un signor allenatore che potrebbe lavorare molto bene con i giovani promettenti in rosa tra i nerazzurri (vero, Gabigol?) ma a patto che lo si supporti in tutto e per tutto. Se no, si rischia di imbattersi in un altro vicolo cieco. Ma siamo sicuri che l'Inter abbia imparato dai propri errori. O no?