Provo a rispondere ad un quesito che a mio parere merita una risposta abbastanza ampia.

Tutti noi amanti dello sport più bello del mondo avevamo dei giocatori-modelli che abbiamo sempre voluto imitare e spesso immaginavamo noi stessi come le controfigure o gli aiutanti degli eroi che guardavamo in tv, o di cui sentivamo parlare - nel caso dei campionati esteri - quando il mondo era ancora privo di alcuna traccia della globalizzazione moderna.

Sin da piccoli ci siamo immaginati dapprima come giovani funamboli minorenni che esordivano con le proprie squadre del cuore, e successivamente come bandiere issate ad oltranza nel cuore di tutti coloro che ti osservavano e che pagavano il biglietto per guardare cosa fossi in grado di fare su quel manto verde insieme ai tuoi compagni.

Poi siamo cresciuti e mentre qualche tuo amico lasciava il campetto vicino casa perché non gioiva più del Supersantos di turno, o di una palla di cuoio a spicchi, cominciavi a pensare che forse non saresti mai arrivato al livello dei tuoi stessi idoli da bambino. E così piano piano, nell'antro più profondo della tua anima, cominciava a crescere un sentimento, una sensazione avallata anche dal contesto in cui viviamo; in Italia si vive di pallone ed in ogni frazione, paese o città sarà possibile trovare persone che discutono di 343, 442, 555 e derivazioni varie. Così tutti noi, almeno una volta, abbiamo pensato di poter essere dei buoni allenatori, anche solo per il fatto di essere amanti della tattica prima ancora che della tecnica. E così, tra un esame universitario ed una partitella a calcio a 5 con gli amici ognuno di noi ha sognato di essere un allenatore e di sollevare qualche trofeo con la propria squadra.

Il mio prototipo di allenatore risponde esattamente a questa pluralità di momenti vissuti da spettatore fino ad ora. Ho adorato Lippi per come ha saputo gestire il gruppo in Germania nel Luglio 2006 nonostante quanto stesse accadendo in Italia; gli occhi mi brillavano guardando Carletto Ancelotti ed il suo albero di Natale conquistare l'Europa, e quando il calcio italiano sembrava subire un ridimensionamento ed una certificazione di manifesta inferiorità nei confronti delle grandi europee, ecco che l’Italia scopre nel 3-5-2 di Antonio Conte un vero condottiero, capace di conquistare l’Italia a suon di battaglie sportive; ma in questo calcio così dinamico e svelto, in cui a volte purtroppo gli interessi economici prevalgono sugli interessi sportivi, ecco che anche il “Bel Paese” si innamora del bel gioco, del calcio applicato all’estetica, del calcio palla a terra, delle triangolazioni strette o del “tiki-taka” per andare a segnare davanti la porta: ed eccoci qui, ad inizio 2019, con molti più tecnici in Serie A che fanno del bel gioco un dogma, rispetto ai tecnici cui siamo stati abituati sin da bambini, ai quali non importava il quomodo ovvero il modo; l’importante era il quantum, il goal in più realizzato rispetto all’avversario.

Prima di gettarmi nel coacervo delle dottrine tattiche, ritengo sia necessaria una premessa; fortunatamente il fútbol non è una scienza esatta e ci ha abituati a finali di gara e di campionato sorprendenti – vedi il Verona di Bagnoli o il Leicester di Ranieri – che hanno ribaltato ogni pronostico; risulta elemento ancor più rilevante relativamente a questa analisi il fatto che negli ultimi decenni l’intero sistema calcio è stato caratterizzato da un ingente quantità di denaro investita dai multimilionari, i quali hanno intravisto nel calcio enormi chances d’investimento; in questo caso logicamente gli interessi monetari derivanti dalla partecipazione alle coppe europee o dalle cessioni remunerative rischiano di essere prevalenti rispetto al mero fine sportivo.

Non ci stupiamo perciò se il numero di esoneri è drasticamente aumentato, soprattutto nelle categorie mediaticamente più al centro dell’attenzione: gli interessi economici purtroppo rilevano notevolmente sotto il punto di vista delle decisioni da prendere da parte della dirigenza.

Certo, ci sono situazioni in cui l’allontanamento del tecnico può essere oggetto di forti discussioni; di contro ci sono situazioni in cui l’allontanamento risulta essere l’unica soluzione per dare una svolta alla stagione, stante la manifesta incompatibilità delle idee del tecnico e della rosa a disposizione (di recente vedi Di Francesco alla Sampdoria, il quale continuava ad ostinarsi a schierare Gaston Ramirez esterno d’attacco, in forza del suo credo calcistico).

L’aumentare degli elementi che possono risultare rilevanti durante la stagione rischia di implementare se pensiamo a due casi recenti e noti che ci dimostrano che non tutto è spiegabile in questo sport: Zidane al Real e Mourinho al Manchester United.

Zidane non doveva neanche accomodarsi su quella panchina; si è seduto ed ha stampato il suo nome nella storia del club più di quanto non avesse fatto da calciatore vincendo 3 champions league di fila, e forse ci renderemo conto del miracolo sportivo compiuto solo tra qualche anno, a mente fredda. Eppure Zidane non aveva stravolto la rosa in alcun modo; era riuscito a trasmettere il suo carisma e la sua fiducia a dei giocatori tecnicamente straordinari, che in poco tempo sono riusciti a diventare una famiglia in grado di stracciare ogni avversario.

Lo “Special One” invece non è riuscito, nonostante un primo anno incoraggiante arricchito da 3 trofei, a permettere allo United di tornare agli albori del calcio europeo; lui sì che era rimasto impantanato in un 4-2-3-1 che risultava sempre più sterile giornata dopo giornata, e non era riuscito neanche a fare ciò che nella sua carriera gli era stato riconosciuto da tutti, ovvero essere il parasole della squadra, il grande ombrello sotto il quale i giocatori potevano ripararsi dalla pioggia di critiche che gli piovevano addosso.

In ogni caso un tecnico moderno generalmente ha sempre la speranza di avere a disposizione giocatori maturi caratterialmente oltre che duttili e versatili tecnicamente; il calcio di oggi è rapidissimo ed anche un cambio dalla panchina che ti permette di ruotare qualche ruolo potrebbe risultare decisivo.

In virtù dei numerosi elementi indicati – ce ne sarebbero altri, ma ho preferito non dilungarmi - ritengo che non sia possibile individuare un preciso prototipo di allenatore di cui ha bisogno una determinata squadra per rendere al meglio.
Alcuni elementi possono aiutarti nella scelta del tecnico (se in rosa vi fossero 2 trequartisti sarebbe consigliabile assumere come allenatore un tecnico cui piaccia giocare con il trequartista dietro le punte, piuttosto che assumere un amante degli esterni e snaturare i 2 trequartisti di cui prima forzandoli a giocare come ali d’attacco), certo, ma nessuna guida tecnica ha la certezza di poter ottenere il massimo dalla propria squadra all’inizio della stagione: vi sono troppi elementi che possono sopravvenire modificando il corso di un'intera stagione, come ad esempio gli infortuni.

Detto ciò, il mio prototipo di allenatore si schiererebbe con un apparentemente banale 433, capace di trasformarsi in fase di transizione difensiva in un 451, oppure in un 325 o un 334 in fase offensiva.

In porta non si discute: il portiere rimane in porta, è arrivato il momento di dire basta ai nuovi “Neuer” capaci di uscire e portare palla al piede fino a centrocampo come un regista qualunque; mi accontenterei di un portiere reattivo.

Neanche in difesa si transige troppo: quattro difensori.

Per quanto riguarda gli esterni difensivi il mio prototipo di allenatore schiererebbe delle trottole instancabili, capaci di grandi progressioni in avanti, ma in grado anche di ripiegare in caso di contropiede avversario. Il prototipo dei terzini sarebbero dei levrieri, come Abidal e Belletti al Barcellona, o come il primo Gareth Bale del Southampton.

Per quanto riguarda i centrali mi piacerebbe molto che il mio tecnico schierasse un centrale vecchio stampo, roccioso e rognoso su ogni contrasto, paragonabile alla ancestrale figura dello “stopper” mentre l’altro centrale dovrebbe essere capace di leggere con anticipo le transizioni offensive avversarie e di staccare in caso di diagonale, più simile ad un “libero”. Mi piacerebbe tanto se la squadra del mio prototipo di tecnico fosse capace di cambiare forma a seconda del momento della partita in cui si trova, e quindi ad esempio, se all’inizio dell’azione uno dei centrocampisti fosse capace di scendere in mezzo ai due centrali formando una specie di rombo con il portiere ed una cerniera a tre con i difensori centrali capaci di allargarsi. Quale centrocampista scenderebbe?

La risposta non può che essere il mediano, facente parte di un centrocampo a tre, all’interno del quale lo stesso scenderebbe in mezzo ai due difensori centrali in fase di costruzione proprio per favorire il palleggio dal basso e mantenere il pallino del gioco (In tal senso le mie muse ispiratrici sono De Rossi e Busquets, sia nel club che in nazionale).

E di fianco al mediano sarebbe meraviglioso veder giocare una centrocampista duttile, in grado di diventare anch’egli un playmaker nel caso in cui il mediano sia sceso tra i due difensori od una mezzala nel caso in cui invece i terzini siano rimasti al loro posto. Mi vengono in mente Patrick Vieira negli “Invincibles” nel 2004 o uno Steven Gerrard capace di coprire più ruoli in situazioni di emergenza.

Di fianco a loro due invece mi piacerebbe fossero schierati una mezzala semi-pura, capace di diventare un trequartista in fase di spinta e potrebbe addirittura toccare alla mezzala il compito di ispirare i tre lì davanti in caso di inerzia; qui la mente vola a due idoli della mia infanzia, nonché della Premier League, ovvero Matthew Le Tissier nel Southampton oppure Frank Lampard nel Chelsea.

E davanti mi piacerebbe veder a disposizione del tecnico un tridente offensivo non dominato totalmente dalla fantasia; avremo un esterno puro, dotato di una capacità di lettura straordinaria, in modo tale da non comprime il gioco dei terzini o del centrocampo; in questo caso penso al primo Nedved della Lazio, capace di sfrecciare sulla fascia, ma in grado di fare la differenza anche in fase di accentramento dell’azione.

A sinistra o destra a seconda delle situazioni e della rosa a disposizione invece mi piacerebbe l’idea di vedere schierato dalla mia guida tecnica un giocatore che lì non dovrebbe essere, costretto sempre a cambiare strategia contro ogni difesa avversaria. La storia recente è piena zeppa di esempi simili, l’ultimo dei quali è Gabriel Jesus con il Brasile quest’estate – scelta azzeccatissima di Tite tra l’altro. Il giocatore in questione giocherebbe più vicino alla punta e dovrebbe essere in grado di collaborare alla perfezione con il terminale centrale, che in questo caso risponde ad un prototipo specifico: Fernando El Nino Torres. Negli anni di militanza al Liverpool ha dimostrato di essere un giocatore unico, in grado di essere una prima punta mobile fantastica capace di scardinare da solo le difese avversarie. Un vero peccato non averlo visto mai dal vivo.

Come emerge dal testo in questione mi piacerebbe un allenatore non troppo attaccato ai dogmi tattici e ai ruoli del calciatori, come Sarri ad esempio, che nella sua avventura al Napoli ha praticamente utilizzato una quindicina di giocatori per tutta la stagione; in un allenatore apprezzerei maggiormente la duttilità e versatilità dei giocatori utilizzati, in modo tale da essere intercambiabili in caso di necessità tecnico-tattica ed in questo posso considerare come dei maestri Ancelotti (Insigne esterno a centrocampo o Rui Costa mediano sono degli esempi strabilianti) oppure in alcuni momenti della sua carriera Antonio Conte (Giaccherini tuttofare ed Estigarribia esterno sono un esempio lampante), fino ad arrivare a Carletto Mazzone che scelse di spostare un trequartista di nome Andrea Pirlo in cabina di regia, e dati i risultati finali forse non aveva avuto tutti i torti.