- A molti potrebbe sembrare strano che una partita di calcio possa segnare l’esistenza di una persona, non trova?

- E’ strano solo se vedi il tutto come ventidue tizi che corrono dietro ad un pallone.

- Vorrei sentire, di preciso, perché questo evento l’ha segnata.

- Ok, andiamo indietro nel tempo, al 1990. Quando stavo per compiere sette anni e la vita mi sembrava, come è giusto che sia a quell’età, stupenda e senza dolore. Sono ancora un bambino, ma ho già dato chiari segnali del fatto che non sarò il figlio che i miei si aspettavano. In realtà nessun figlio è mai come un genitore si aspetta, ma uno la speranza ce l’ha sempre... credo.
Incredibilmente e inaspettatamente ho una caratteristica: adoro il calcio.
Lei si chiederà cosa ci sia di così straordinario. Beh, saprà sicuramente che nella famiglia di mio padre, così come in quella di mia madre, nessuno e quando dico nessuno, intendo proprio NESSUNO era ed è un appassionato di calcio o, per usare un termine ancora più calzante: un calciofilo. Dai sei anni in poi fino ad oggi lei potrebbe chiedermi lumi su qualsiasi campionato, squadra di club, partita, aneddoto, personaggio… e io le saprei rispondere. E se non lo dovessi saper fare, mi andrei ad informare. Perchè la curiosità ci tiene vivi ed il calcio aiuta a imparare un sacco di geografia e inietta romanticismo a iosa, mi creda.

Comunque: ho idea che i miei genitori abbiano anche chiesto un’indagine alla direzione dell’ospedale, sperando in un tragico scambio di neonati ma niente da fare. Alla fine si sono dovuti rassegnare che io, figlio biologicamente accertato, dall’età di cinque anni sviluppai la passione per il calcio.

Ok, finita questa breve introduzione, visto che non voglio annoiarla, siamo nel 1990 e i mondiali di calcio si giocano in “casa”. Non ci perdiamo una partita a cominciare da quella inaugurale dove…BOOM. Prima sopresa.
L’Argentina, campione in carica, perde con il Camerun. Ogni partita era davvero bello, prima dell’inizio, scegliere per chi tifare., sa? Beh, comunque, facendola breve: la nostra nazionale giocava bene, vinceva, entusiasmava… ed il mio cervello di bambino era convinto che la nazionale di calcio, in quanto tale, non potesse mai perdere. Anche perchè l’avevo sempre vista vincere nelle occasioni che contavano. Era ovvio che non potessimo mai perdere. Se una cosa non è mai accaduta, non accadrà mai: fin quando non la vedi accadere, ma questo io ancora non lo sapevo. Ne venni a conoscenza alla fine della semifinale del mondiale casalingo, persa con l’Argentina.

Ricordo la tapparella della sala semi-abbassata con gli ultimi raggi del sole che tramontava, illuminanti la mia faccia da bambino, all’altezza degli occhi. Se ci penso mi sembra ancora di sentire il fastidio di allora. Sa una cosa? Ricordo perfettamente il sole, proprio com’era il sole di quel fine serata… e della partita non ricordo nulla. Se abbiamo giocato bene oppure male, il minuto esatto in cui siamo andati in vantaggio, chi ha segnato. Nulla di nulla. Il vuoto. L’unica immagine che ho di quella partita, nitidissima, è il pareggio dell’ Argentina. Poi un altro buco nella mia memoria e arriviamo a me, al buio, sotto le coperte, con la testa premuta contro il cuscino, così forte da farmi male alla faccia, che piango come un disperato.
E’ un modo di piangere che avrei replicato, molti anni più tardi, per la morte di qualcuno che mi era molto caro. Il rumore dei miei singhiozzi... è così forte da farmi avere la certezza che a breve i vicini verranno a protestare, che io mi taglierò la gola per quanto singhiozzo forte e che non riuscirò mai a smettere di piangere.
Piangerò per tutta la vita! L’idea mi fa stare ancora più male. E mi fa piangere ancora più forte.
L’ultimo ricordo che ho è mio padre che accende la luce nel corridoio di casa, entra nella mia stanza e, cosa strana, se penso ai nostri rapporti negli anni successivi, riesce a calmarmi. Sa che non ricordo neanche dove fosse mia sorella, se provo a pensarci? Sicuramente era nella stanza, aveva un anno più di me e non credo proprio fosse in giro a ballare, ma la mia mente non riesce a visualizzarla, in riferimento a quel momento. Scusi, sto divagando. Comunque, mio padre mi ha calmato o forse, più semplicemente, sono crollato per la stanchezza.

- Si è dato una risposta, a distanza di anni, sul perché di quel pianto così dirompente per una partita di calcio?

-Sì. Vede, credo che inconsciamente, vedere quella sconfitta, assistervi, sia stato il mio primo vero salto nella realtà. Venire a conoscenza del fatto che nonostante l’impegno, la dedizione, il crederci, l’impegnarsi, il provarle tutte per riuscire a raggiungere il proprio scopo, può accadere che non si raggiunga, che non si ottenga quel che si desidera , o che più banalmente lo sperare tanto che qualcuno ti renda felice non sempre si tramuta in realtà, beh…quando per la prima volta ti ritrovi a fare i conti con questo fatto, sfido chiunque a non rimanere traumatizzato.

- Quindi, vediamo se ho capito bene. Quella sera di 23 anni fa lei ha capito, diciamo anzi, che ha scoperto che nella vita le cose non sempre vanno come vorremmo, anche se ci abbiamo creduto e ci abbiamo provato... è corretto?

- Sì, Esattamente. Quella partita mi disse a chiare lettere che nella vita c’è anche la sconfitta, il dolore, la delusione. L’impotenza di fronte alle cose che vanno in un certo modo anche senza un motivo.
Quel pianto fu, credo, il mio subconscio che si rendeva conto di tutto questo. Per capirlo a livello razionale, mi ci volle ancora qualche anno ma quella sera è stata la sera in cui la realtà, sotto forma di una finale sfumata, ha fatto per la prima volta capolino nella mia esistenza, facendomi capire che anche quando ce la metti tutta a volte non ce la fai, ma che devi provarci e se va male, devi essere conscio di aver dato tutto e in te deve germogliare l'idea di riprovarci.

Ancora ed ancora.