Eccoci qui con una nuova storia, oggi andremo a parlare di Carlos Henrique Raposo, uno dei personaggi più controversi ma al tempo stesso curiosi dell’intero panorama calcistico mondiale. 
Per 26 anni ha strappato lauti contratti con club brasiliani e non…
Ma partiamo per gradi.

IL BECKENBAUER BRASILEIRO
La sua storia è degna di una pellicola calcistica goliardica degli anni '80 (L’allenatore nel pallone ad esempio…), Carlos nasce a Rio Pardo il 2 aprile del 1963, con il calcio ha un rapporto piuttosto controverso:
"La mia passione è sempre stato lo studio, volevo fare l'insegnante di educazione fisica, ma mia madre adottiva mi obbligava a giocare. Era alcolizzata e morì di cirrosi, pesava 200 chili. Ero sfruttato dalla mia famiglia. A 10 anni ero nelle giovanili del Botafogo, guadagnavo già più di tutti a casa, ma non vedevo un centesimo. Dopo la morte di mia madre, andai a vivere con due mie zie molto vecchie, che facevano le donne delle pulizie".

Come ben capite il calcio non era la sua priorità, ma era un qualcosa che gli riusciva abbastanza bene, non a caso, dal Botafogo passerà alle giovanili del Flamengo (era un attaccante), ma il Flamengo lo mette (in maniera brutale) alla porta ed è qui che inizia la leggenda del “Kaiser”, infatti, durante una sessione di allenamento, viene visionato da degli scout messicani (del Puebla ndr). 
In Messico il “Kaiser” capisce che lui e il calcio professionistico sono 2 cose totalmente agli antipodi (per inciso non giocò un singolo minuto, un classico come poi vedrete….) e matura la decisione che gli cambierà la vita (e che gli salverà la carriera…), tornato in Brasile mette in atto il suo piano: 
"A 20 anni la mia carriera calcistica era già sull'orlo del precipizio - racconterà -. La strada per il successo a quel punto, era solo una: iniziare a frequentare i locali più famosi della città, quelli dove i miei idoli trascorrevano il loro tempo libero. Ho conosciuto giocatori come Ricardo Rocha, Renato Gaucho, Romario, Bebeto Djalminha, Andrare, Careca, Edmundo, Marinho, e li ho corteggiati fin quando loro non si sono innamorati di me. Così qualcuno di loro mi portava con sé come contropartita nelle squadre con cui firmavano. Sono riuscito a beccare un contratto inaspettato dal Botafogo. Da quel momento, l'unico problema sarebbe stato quello di non far scoprire mai ai miei allenatori la verità sulle mie doti tecniche".

Ed è proprio qui che nasce il soprannome “Kaiser”, ufficialmente, Carlos sostiene che gli sia stato affibbiato tale soprannome per una sua somiglianza fisica e/o tecnica con Beckenbauer ma in realtà: 
"È sempre stato grassoccio - dichiarò un suo amico -. A quei tempi c'era una birra che si chiamava Kaiser. Aveva una grossa bottiglia rotonda. Quindi lo ribattezzammo 'Kaiser' perché somigliava alla bottiglia della birra. Poi quel soprannome gli è rimasto".

Da quel momento in poi il “Kaiser” guadagna contratti, fama, soldi e donne (con cui ha un rapporto particolare che approfondiremo più tardi). 
Voi vi chiederete ma come ha fatto il “Kaiser” a non farsi mai scoprire dalle società in cui ha giocato e a guadagnarsi il rispetto e la fiducia dei grandi campioni? 
Semplice cercò di costruire un’estesa cerchia di personaggi influenti composta da belle donne (e ci riuscì), calciatori, medici, persino politici, presidenti e chi più ne ha più ne metta.
Mentre per quanto riguarda l’aspetto calcistico: 
“Quando occorreva lavorare col pallone, - spiega il 'Kaiser' - pagavo sempre  qualcuno affinché mi facesse un’entrata dura o fingevo un fastidio muscolare. All’epoca non c’era la risonanza magnetica nei club, era la mia parola contro quella del medico. E se poi le cose si mettevano male, avevo sempre il certificato di un amico dentista".
Il “Kaiser” però non era sempre così scaltro e furbo infatti…
"Voleva somigliare a Renato - raccontano quelli che l'hanno conosciuto. - Si tagliava i capelli come lui, vestiva come lui. Era praticamente il clone di Renato, ma poco dopo fu scoperto dal vero Renato in un locale e si nascose in bagno. I due, poi, diventeranno però grandi amici” (e sarà proprio Renato a rendere il suo piano perfetto)" 

Nel 1984 viene ingaggiato dagli argentini dell'Independiente. La successiva tappa lo vede addirittura in forza al Flamengo, dove giocano campioni come Zico, Junior, Bebeto. Durante gli allenamenti regge bene la parte fisica, ma il problema arriva quando compare il pallone.
"Facendo torello ci passavamo la palla con Kaiser al centro - ricorda Bebeto - e lui non riusciva mai a prenderla. Correva da una parte all'altra del campo, sudava tantissimo. 'Arrenditi!', gli dicevamo. Era distrutto ancor prima di cominciare l'allenamento".
"Firmavo il contratto e poi prendevo l'anticipo. A quel punto non era importante se lo stipendio arrivava. Non ero di quei giocatori che volevano concludere il contratto con un club. Cercavo di andarmene il prima possibile".

Grazie a questa furbata il “Kaiser” passava da una squadra all’altra.

IL MISTERO FRANCESE
Il Kaiser non poteva farsi sfuggire quest'opportunità e a un certo punto della sua carriera aveva deciso di trasferirsi sul vecchio continente e si era fatto ingaggiare dalla squadra francese del Gazélec Ajaccio. L'accoglienza che aveva ricevuto nella nuova squadra l'aveva sorpreso, ma era riuscito a cavarsela grazie a un'altra grande idea. Carlos ha sempre sostenuto di aver ottenuto un ingaggio in Francia con il Gazelec Ajaccio grazie al connazionale Fabinho, suo amico:
"Lo stadio era piccolo ma pieno di tifosi. Pensavo che avrei dovuto solo fare qualche corsetta e salutarli, ma quando sono arrivato in campo ho visto che c'erano dei palloni e ho capito che avrei dovuto allenarmi sul serio. Sono diventato nervoso, avevo paura che dal mio primo allenamento avrebbero capito che non sapevo giocare," racconta il Kaiser.
Ma la fortuna ha deciso di baciarlo…
“Ho iniziato a raccogliere tutti i palloni e a lanciarli ai tifosi. Nel frattempo salutavo e mandavo baci. La folla era impazzita. Alla fine sul campo non c'erano più palloni", ha spiegato Raposo. “E visto che non c'erano più palloni la squadra aveva dovuto limitarsi all'allenamento fisico, cosa con cui Kaiser non aveva problemi”. (Il Kaiser ha raccontato la sua storia nel 2011, in un'intervista alla televisione brasiliana, anche se molti dei personaggi che vi sono citati hanno negato di essere rimasti in rapporti con lui).

IL MIGLIOR COLPO DI GENIO DEL KAISER
Nel 1989 era tornato in Brasile. Riuscì a farsi mettere sotto contratto anche con il Fluminense in due differenti periodi e con il Vasco da Gama. 
"Un centrocampista del Fluminense stese un tizio in un night club - ricorderà - Io allora mi presi le colpe e lui mi fece ingaggiare dal club".
Al Bango Rio de Janeiro, dove secondo la leggenda sarebbe anche riuscito a segnare un gol guadagnandosi sulla stampa il soprannome di "Pelé del Bangu". È lì che aveva avuto una delle idee più geniali della sua (finta) carriera. L'idea gli era venuta durante una partita che il Bangu stava perdendo 2 a 0. Castor de Andrade, il magnate proprietario della squadra era isterico e aveva deciso che era il momento di farlo giocare.
"Durante il riscaldamento, un gruppo di tifosi m’insultò per i capelli lunghi. Scavalcai e scatenai una rissa: così venni espulso ancora prima di entrare. Negli spogliatoi, durante l'intervallo, arrivò il presidente furioso, e prima che potesse esplodere di rabbia, gli dissi che Dio mi aveva dato due padri: il primo l’avevo perso, il secondo era lui, e che avevo reagito così perché i tifosi lo stavano insultando. Il mio contratto scadeva quella settimana. Castor mi abbracciò e lo prolungò di 6 mesi".

Ma per una strana legge del contrappasso il Kaiser si ritrova vittima di indicibili disgrazie, culminate con la morte del figlio, della sua prima e della sua seconda moglie e come se non bastasse:
"Una mattina - rivela nel documentario che racconta la sua storia - mi svegliai cieco di un occhio".


Si chiude così il secondo atto della serie. Vi ringrazio per la vostra attenzione e pazienza.
Alla prossima….