Vendetta? Egocentrismo? Masochismo? Questi sono i tre interrogativi che mi sono immediatamente balzati alla mente quando ho saputo dell’esonero di Carlo Ancelotti, uno degli allenatori italiani più vincenti della storia del calcio.

La decisione del proprietario del Napoli, Aurelio De Laurentiis, di licenziare il tecnico emiliano a meno di un'ora dalla qualificazione per la fase a eliminazione diretta della Champions League della sua squadra è una cosa che non ha precedenti. Oppure, come suggeriscono fonti vicine al club, potrebbe essere semplicemente un tentativo di ridurre le perdite e premere il pulsante di reset, per quella che è una stagione cominciata male. A mio avviso però sembra solamente una prova di forza da parte del presidente, mostrare il pugno di ferro in questo caso potrebbe essere stato mal calcolato. Continuare in una battaglia personale contro allenatore e giocatori per via di un mancato ritiro alla fine potrebbe vanificare anni di programmazione e lungimiranza che avevano fatto del Napoli la seconda forza del campionato di Serie A.

Ancelotti lascia il Napoli dopo 16 mesi di carica. Nella sua prima stagione, è arrivato secondo e non è riuscito a superare il girone di Champions League a causa di un pareggio (Liverpool e Napoli avevano gli stessi punti e la stessa differenza reti) e di un miracoloso salvataggio del portiere brasiliano Alisson. In questa stagione, ha raggiunto la fase a eliminazione diretta della Champions prendendo quattro su sei punti ai campioni d'Europa (e infliggendo la loro unica sconfitta in qualsiasi competizione dall'inizio di maggio), ma in Serie A sono al settimo posto, a otto punti di distanza dai quarto posto (valido per la qualificazione alla Champions League) e addirittura 17 in meno dalla vetta della classifica comandata attualmente dall’Inter.

È stato licenziato perché De Laurentiis ha posto maggiormente l'accento sulla posizione in campionato e ha perso la fiducia nella capacità di Ancelotti di ribaltare le sorti in questa stagione? La risposta è breve: Sì, ma c'è di più. Oltre a un parallelismo (seppur imperfetto sotto diversi punti di vista) con la partenza di Mauricio Pochettino dagli Spurs, due sono i fattori che sono stati fondamentali nel licenziamento di Ancelotti.

  1. Il primo riguarda la situazione contrattuale di numerosi giocatori del Napoli. Dries Mertens e José Callejon a giugno saranno svincolati e liberi di firmare un nuovo contratto con chiunque, mentre Elseid Hysaj, Arkadiusz Milik, Nikola Maksimovic e Piotr Zielinski li seguiranno nel 2021 (salvo prolungamenti contrattuali al momento difficilmente ipotizzabili). Poi ci sono Kalidou Koulibaly e Allan, che hanno contratti a lungo termine ma a cui è stato promesso di partire la prossima estate in caso di proposte adeguate al loro valore. La squadra partenopea è al quinto posto nella classifica dei salari di Serie A e, guardando i risultati degli ultimi anni, è doveroso un plauso al club e ai dirigenti per le loro capacità di ottenere risultati con un ottima gestione e controllo dei costi. È facile intuire che rinnovare i contratti dei senatori, quelli sopra citati, sarebbe sempre stato costoso, ma la speranza era che un’ottima stagione nazionale e grazie agli introiti garantiti dall’entrata in Champions League l'anno prossimo avrebbero potuto consentire di mantenere alcune stelle e riconfermare gran parte della squadra, piuttosto che ricostruire dalla base.
  2. L'altro fattore è stato l’ammutinamento dei giocatori dopo la partita casalinga contro il Salisburgo del 5 novembre. Il fine settimana precedente, dopo una sconfitta contro la Roma, De Laurentiis aveva imposto il ritiro, ordinando alla squadra di restare reclusa nel centro sportivo di Castel Volturno per l’intera settimana. Ancelotti aveva detto in precedenza, durante la presentazione della sfida (nonostante ci fosse anche il silenzio stampa per contratto in Champions è obbligatorio l’incontro con la stampa alla vigilia della partita), di non pensare che tali misure fossero efficaci, ma aveva comunque ordinato ai giocatori e allo staff tecnico di rispettare i voleri societari - ma sarebbe meglio dire presidenziali. Dopo la partita di Salisburgo, i giocatori però si sono ribellati, rifiutando di rientrare al campo di allenamento e tornarono a casa, a differenza di Ancelotti e il suo staff che invece proseguirono il ritiro. De Laurentiis era furioso, non ultimo perché suo figlio, che lavora nel club, aveva subito un alterco verbale con alcuni giocatori - principalmente con Allan - negli spogliatoi subito dopo la partita. De Laurentiis si sentiva umiliato e calpestato, inoltre credeva che Ancelotti avrebbe dovuto essere più forte con i suoi giocatori. Il fatto di aver obbedito agli ordini del club non era abbastanza, avrebbe dovuto fare di più per costringere i giocatori ad obbedire.

Questi due fattori, uno finanziario e uno emotivo, hanno pesato molto. Anche la distribuzione delle entrate in Champions League ha fatto lo stesso. Il superamento del girone già di per sé comporta un guadagno per il Napoli compreso tra i 50 milioni e i 60 milioni di euro a seconda del "market pool", che a sua volta dipende dai risultati degli altri club italiani. Potrebbe, ovviamente, guadagnare di più - potenzialmente fino a 120 milioni - a seconda di quanto più avanza nel torneo e si avvicina alla finale di Istanbul. Il Napoli ha riconosciuto che le possibilità di andare oltre in Europa erano più alte con Ancelotti perché nessuno ha vinto più titoli di Champions League di lui. Allo stesso modo, tuttavia, temevano che ciò avrebbe comportato un sacrificio per la qualificazione per l'Europa della prossima stagione. Non hanno avuto fiducia e non hanno creduto nella sua capacità di colmare il divario e finire tra i primi quattro e hanno pensato di avere maggiori possibilità di farlo con un altro allenatore (Rino Gattuso, che è stato nominato mercoledì, come si è scoperto). Quindi la dirigenza ha basato la decisione su un'analisi binaria costi-benefici. Qualificarsi per la prossima stagione della Champions League (e ottenere una garanzia di 35 milioni euro circa) rispetto ad avanzare ulteriormente nel torneo - come seconda possibilità - in questa stagione, col guadagno potenziale di altri 60 milioni, in caso di vittoria finale, o anche zero nel caso di uscita al successivo turno a eliminazione diretta.

Questo è stato il motivo principale del ragionamento del club e su cui si è basata la scelta finale. De Laurentiis può essere un personaggio colorito, irascibile, ma conosce i suoi numeri. Ha cercato sinceramente di rinforzare la squadra in estate, spendendo meno solo della capolista Inter in Serie A e comprando giocatori del calibro di Kostas Manolas, Giovanni Di Lorenzo, Alex Meret (l’anno scorso era in prestito dall’Udinese) , “Chucky” Lozano, Elif Elmas e Fernando Llorente. Era ambizioso, così come Ancelotti che notoriamente (e curiosamente) disse "siamo qui per vincere, non per andare a intrecciare i capelli delle nostre bambole. Possiamo vincere il titolo". Ma una volta convinto che con Ancelotti era improbabile un quarto posto (figuriamoci lo scudetto), De Laurentiis ha fatto i suoi calcoli ed ha ridotto le perdite.

L'ammutinamento ha solo accelerato le cose, così come i negoziati sul contratto con i giocatori in partenza. Improvvisamente, la prospettiva di far esplodere la squadra e ricostruire è diventata più attraente. Koulibaly e Allan hanno entrambi 28 anni, ma con la loro vendita la prossima estate si dovrebbe ottenere un bel gruzzolo di milioni, attorno i 150. Non si otterrà nulla per Mertens e Callejon a meno che non vengano ceduti a gennaio (il che è una possibilità), ma il monte ingaggi verrà abbattuto notevolmente liberandosi di questi stipendi pesanti, circa 30 milioni di euro, che è quasi un terzo totale dei salari di tutti i giocatori della rosa. Un risparmio notevole, non c'è che dire. E nella mente di De Laurentiis, non hai bisogno di un manager che guadagni 9-10 milioni di euro a stagione per fare certi calcoli e valutazioni. Meglio pagare Ancelotti - il suo contratto ha una clausola di rescissione molto bassa a maggio per interrompere anticipatamente il rapporto - e portare Gattuso, che costa un quinto di meno. Inoltre si potrebbe ulteriormente risparmiare in caso Ancelotti accetti già un’altra panchina in questa stagione, si vocifera di un interessamento dell'Arsenal.

I risultati sono stati deludenti in Serie A. Le performance sono state contrastanti nonostante le aspettative iniziali. Anche le spese sul mercato e le rinunce ad importati introiti per la vendita di giocatori molto contesi (ho letto di 130 milioni di euro rifiutati per Koulibaly) facevano presagire a tutt’altro. Forse proprio queste valutazioni in fase di mercato sono state sbagliate. Lozano è lontano da essere un giocatore pagato 50 milioni di euro, mentre il difensore senegalese finora ha avuto un rendimento molto inferiore rispetto la scorsa stagione, dove era stato il migliore nel suo ruolo. Qualcosa si era sicuramente rotto già prima della decisione del ritiro e del successivo ammutinamento, con De Laurentiis che intraprende un'azione legale contro i propri giocatori, senza dubbio non ha aiutato molto (infatti dopo questa decisione ci sono state sei partite senza vittoria), senza considerare l'incertezza dei giocatori sul proprio futuro con contratti in scadenza. Niente di tutto ciò era dovuto ad Ancelotti e secondo me prima di prendere di mira l’allenatore andavano risolti questi problemi. Anzi forse è stato un vanto riuscire a superare il girone di Champions (avendo la meglio su un Liverpool) in questa situazione precaria. E poi il divario dal quarto posto non mi sembra così insormontabile anche considerando l’imminente mercato di riparazione di gennaio che avrebbe potuto aiutare.

Ancelotti è un serio professionista. Invece di premere il pulsante di reset ora, De Laurentiis avrebbe potuto lavorare su un accordo per tenerlo fino alla fine della stagione, consentendogli almeno un crack nella fase a eliminazione diretta della Champions League poiché ha giocato un ruolo importante nel farli arrivare lì. Certo, il Napoli non sarebbe mai stato il favorito, ma club come l'Ajax, la Roma e il Monaco hanno raggiunto ciascuno la semifinale nelle ultime tre stagioni. Sicuramente questa squadra del Napoli, sulla carta, aveva almeno la possibilità di fare lo stesso. E forse, così facendo, dare a questa generazione di giocatori che, per non dimenticare, ha dato ai tifosi del Napoli più allegria che in qualsiasi momento della loro storia, ad eccezione dell'era di Maradona, un'ultima possibilità per fare qualcosa di speciale.

Il calcio è un business e De Laurentiis ha preso una decisione. Ciò non significa che sia stata la decisione corretta (infatti chi può garantire che Gattuso possa arrivare almeno al quarto posto?). Perché quando si è parzialmente guidati dall'emozione, non si può allora considerare puramente una decisione aziendale. E poiché il calcio è più di un'analisi costi-benefici, figuriamoci quando di mezzo ci sta l'ego e l’orgoglio.