Per un po' sembrava che, per questa stagione della Champions League, la cosa più emozionante vicina a una storia d'amore vecchio stile sarebbe stata una squadra di nuova costruzione, strappata dal nulla e schierata come un cartellone pubblicitario per il noto produttore di bevande energetiche che mettono le ali. Come ha dimostrato l'Ajax lo scorso anno, un'avvincente outsider aggiunge un senso di intrigo che può infiammare anche la competizione più esclusiva del calcio: un nuovo volto tra i vecchi, portando con sé un'aria di freschezza rivitalizzante, di gioia pura, che migliora lo spettacolo. A un certo punto, quando l'Ajax è stato eliminato, così come il Red Bull Salisburgo del giovane bomber norvegese Haaland (sicuro crack del prossimo mercato estivo), sembrava che l'unico contendente per quel ruolo fosse, il RasenBallsport Leipzig (RB Lipsia), inviso agli occhi dei più tradizionalisti e odiato in patria.

E poi - per fortuna, forse - è arrivata l'Atalanta. La squadra di Gian Piero Gasperini aveva iniziato la sua stagione d'esordio in Champions League con tre sconfitte consecutive; dopo quattro partite, aveva solo un punto. Non ci sarebbe stata nessuna vergogna in questo: in molti modi, il trionfo dei bergamaschi era di essere nella competizione più prestigiosa che c'è. Alle squadre della sua portata viene detto, ancora e ancora, che dovrebbero essere felici di partecipare e far quadrare i conti. Ma sconfiggendo prima la Dinamo Zagabria e poi, mercoledì, lo Shakhtar Donetsk, l'Atalanta ha completato una svolta sconvolgente e si è assicurato il suo posto tra i giganti. I giocatori di Gasperini hanno fatto un salto sui tabelloni pubblicitari per celebrare quello che, anche in caso di drammatiche circostanze e la susseguente uscita, sarebbe stato comunque un risultato raro e ammirevole: prendere un club di provincia senza un grande pubblico, con un budget che è una minima frazione di quello disponibile per l'élite europea imbevuta di denaro, con la squadra composta da speranze nostrane e limitati - ma azzeccati e funzionali - acquisti, con uno stadio troppo fatiscente e non adeguato per ospitare le partite europee, e arrivare negli ottavi di Champions League, tra le migliori squadra che si possono trovare nel vecchio continente. Questo è un risultato a dir poco straordinario

Tuttavia, è anche meglio guardare sotto la superficie, non guardare solo la rugiada nonostante susciti tante emozioni e commuove i cuori degli appassionati. Sotto vari aspetti, i progressi dell’Atalanta non sono più entusiasmanti di quelli del Lipsia. Entrambe infatti dovevo il loro posto nella fase a gironi solo al fatto che la UEFA, l'organizzatore della competizione, è stata incoraggiata a dare ai quattro campionati più ricchi d'Europa quattro posti ciascuno automatici nella fase a gruppi. Prima di quella rinegoziazione, il terzo posto dell'Atalanta in Serie A lo scorso anno sarebbe stato sufficiente per qualificarsi per un playoff. La sua presenza tra le migliori 16 significa che, per la prima volta in assoluto, ogni squadra nei turni ad eliminazione diretta fa parte di uno dei cinque campionati santificati in Europa: quattro a testa dall'Inghilterra (Tottenham, Manchester City, Liverpool, Chelsea) e dalla Spagna (Real Madrid, Atletico Madrid, Barcellona, Valencia), tre dall'Italia (Atalanta, Juventus, Napoli), tre dalla Germania (Bayern Monaco, Dortmund, RB Lipsia) e due dalla Francia (Paris SG, Lione). Non c'è l’Ajax, né APOEL, né Olympiakos, né Shakhtar o Zenit S. Pietroburgo, né Benfica o Porto per interrompere la processione dei potenti. Il resto del continente è bloccato.

Questo è esattamente come dovrebbe essere, ovviamente, per quanto riguarda i club monolitici e i campionati megalitici del continente. Va bene lasciare che gli altri arrivino per offrire un po' di intrattenimento durante la falsa guerra delle fasi a gironi, ma una volta iniziata la vera azione - e i veri introiti entrano in gioco - gli intrusi sono appena incoraggiati. Questa è la Champions League come avevano immaginato, la Champions League che hanno costruito. Ogni volta che la UEFA deve mettere in gara i diritti televisivi per la sua competizione, i club che guidano gran parte delle sue entrate iniziano a discutere, escono spifferi e sussurri che vorrebbero rompere tutto per formare la propria lega, così da gestire tutte le entrate economiche. Quindi ogni volta, la UEFA fa il possibile per placarli: da qui i quattro slot automatici per l'Italia, un Paese che ha prodotto l'ultima squadra vincitrice della Champions League nel 2010 (l’Inter di Mourinho) e tre per la Francia, ancora in attesa di un seguito all’exploit del Marsiglia vincente nel 1993. Ogni volta, la Champions League ricorda un po' di più la famosa super lega tanto fantasticata e sognata dai club d'élite.

È di pochi giorni fa infatti l’indiscrezione secondo la quale il presidente del Real Madrid in persona si sarebbe esposto con un piano e varie iniziative per creare appunto un campionato sovranazionale che raggruppa le migliori d’Europa. Florentino Pérez sta guidando questa proposta, definita folle dal presidente dell’UEFA Ceferin, che rimodellerebbe il calcio europeo a beneficio delle più grandi squadre del continente. Ciò che sta proponendo non è altro che un rivoluzionario spostamento di potere nelle mani dei club. Al centro del piano di Pérez c'è il suo desiderio di sempre che le squadre più grandi d'Europa, come la sua, si staccassero dai campionati nazionali e formassero una competizione europea elitaria che si disputerebbe per un'intera stagione. Quindi riunire i club più ricchi del mondo, liberi dai loro campionati nazionali, per una nuovo torneo. È facile prospettare che i campionati nazionali privati dei loro club più importanti e storici perderebbe notevolmente fascino e di conseguenza anche sponsor e soldi dei diritti tv. Con queste premesse i contorni di una super lega europea potrebbero essere più vicini di quanto si ci aspetti.

L'attuale iterazione del piano prevederebbe due divisioni da 20 squadre, composte quasi esclusivamente da club dei cinque maggiori campionati d'Europa: Inghilterra, Spagna, Francia, Germania e Italia. Secondo le proiezioni, staccandosi dai loro campionati nazionali per unirsi a questo progetto, si ci può aspettare un raddoppio dei ricavi. Il concetto di promozione e retrocessione - un appuntamento fisso nel calcio mondiale che premia il successo e punisce il fallimento - verrebbe mantenuto, ma solo tra le due divisioni. La proposta molto probabilmente incontrerebbe una forte resistenza. All'improvviso una simile competizione decimerebbe il valore delle partite di campionato nazionali, ma perdendo le migliori squadre si distruggerebbe di colpo anche il valore della Champions League, il campionato di club più ricco del mondo e il motore finanziario dell'organo che governo il calcio europeo, l’UEFA. Alla fine è sempre un gioco di potere mosso da motivi finanziari ed economici.

Pérez, che come presidente del Real Madrid è diventato membro fondatore di una nuova associazione globale per club internazionali quando è stato avvistato il mese scorso presso la sede della FIFA a Zurigo, ha rifiutato, attraverso il club, di commentare le sue proposte. Durante la sua visita a Zurigo, tuttavia, ha discusso delle sue idee con Infantino, che ha trascorso gran parte dell'anno passato a spingere la propria idea su come riformare il calcio dei club. La visione di Infantino è stata in gran parte focalizzata sulla creazione di un nuovo Mondiale per club a 24 squadre che inizierà nel 2021, ma ha anche una visione più ampia per la FIFA, l'organo di governo globale del gioco del calcio. Solo qualche settimana fa, ad esempio, ha spinto l'idea di investire centinaia di milioni di dollari in una nuova lega panafricana, come mezzo per aumentare la qualità lì e anche rallentare la fuga di talenti globali in Europa. Il presidente della FIFA ha anche avuto colloqui con le associazioni nazionali in Asia sulla possibilità di creare leghe regionali o subregionali e conversazioni con il presidente Trump sulla qualità del calcio nella massima serie degli Stati Uniti. Senza il patrocinio di Infantino i piani di Pérez non andrebbero molto lontano. Il leader della FIFA ha detto ai giornalisti a novembre 2018 - quando sono trapelati i dettagli di un precedente tentativo di una lega di separazione sostenuta da Pérez - che tutti i giocatori che parteciperanno ad una competizione non gestita dalla FIFA sarebbero stati esclusi dalle loro squadre nazionali e quindi non avrebbero la Coppa del Mondo.

Tutti questi discorsi sono ancora in una fase esplorativa, ma il tam tam mediatico è sempre maggiore e le esigenze dei club sempre più pressanti. Il denaro è la forza trainante di tutti i piani di ristrutturazione, con i club più grandi che credono di poter generare più spettatori e più interessi degli sponsor, e quindi molto più entrate, attraverso partite di cartello più frequenti. Ma il sostegno di Infantino e le FIFA, qualora lo concedessero, potrebbe spostare il controllo del calcio, annientando o depotenziando l’UEFA. Sotto Infantino, la FIFA ha sempre di più cercato modi per aumentare la sua influenza (e trarre profitto da) sul calcio dei club. L'attuale versione annuale della Coppa del Mondo per club genera poco interesse per gran parte del mondo. L'ultima edizione ha preso il via questa settimana in Qatar. Il ragionamento di Infantino sembra essere che aumentando lo standard del calcio dei club in Africa, Asia e altrove, la FIFA creerebbe le condizioni per gli investitori - che hanno versato a lungo i loro miliardi di dollari nel calcio europeo - in tutto il mondo.

A rischio di sembrare banale, vale la pena chiedersi se quei club debbano fare attenzione a ciò che desiderano. Dopo un po’ anche Mida si rese conto che ci sono aspetti negativi se tutto ciò che tocchi diventa oro. Nessuna delle squadre che hanno dominato questo torneo per un decennio sembrano tanto in salute. Il Barcellona si è trascinato a fatica al primo posto nel suo gruppo con una forma precaria. Il Bayern Monaco ha dominato il suo girone (con 6 vittorie su 6), ma la sue perfomance in Bundesliga hanno già portato all’allontanamento dell’allenatore. Il Real Madrid, smantellato dal Paris St. Germain e zoppicante in casa col modesto Bruges, è riuscito a finire secondo ma bel lontano dai parigini. L’altra squadra di Madrid, l'Atlético, aveva bisogno di una vittoria nell'ultima giornata contro la Lokomotiv Mosca per essere sicuro di un posto negli ottavi. Tutti e quattro stanno attraversando un brutto periodo nel proprio campionato. Le prospettive più brillanti sono per il PSG - ampiamente considerato come la squadra più talentuosa e più completa d'Europa - e la Juventus (fino alla scorsa settimana era ancora imbattuta in questa stagione). Ma è la Premier League che sembra ancora la forza maggiore in Europa. Il Chelsea si è qualificato davanti all'Ajax nonostante avesse considerato questa stagione come un anno di transizione per costruire e ripartire. Il Tottenham è stato umiliato dal Bayern, ha cacciato il suo allenatore e comunque si è qualificato. E poi ci sono il Liverpool e Manchester City, le due squadre che possono considerarsi attualmente le due migliori al mondo e, certamente, le due contendenti più convincenti per vincere la Champions League.

Ci sta chi crede che la prospettiva di una super lega, con le sue relative entrate, sia inevitabile per poter contrastare le risorse a disposizione di coloro che giocano in Premier League. Però non considerano il fatto che i club inglesi, seppur con un peso finanziario molto maggiore rispetto a chiunque altro, hanno vinto la Champions League solo due volte dal 2008: il trionfo del Chelsea contro il pronostico nel 2012 e la vittoria del Liverpool nel giugno scorso. Solo cinque squadre inglesi in questo decennio hanno raggiunto la finale. Il denaro non ha sempre portato loro soddisfazione. La ragione di ciò, ovviamente, è che il Real Madrid, il Bayern e il Barcellona - e la Juventus e l'Atlético, entrambi due volte seconde - erano non solo abbastanza ricchi, ma abbastanza bravi e abbastanza intelligenti da superarli comunque. Le squadre inglesi avevano molte risorse, gli altri avevano le idee.

Non è cambiata la quantità di denaro disponibile per le squadre della Premier League; è la scarsità di idee evocate dai loro rivali che ha fatto la differenza. È indicativo di come siano precipitati i rivali: si sono lasciati invecchiare, saziati da un successo che sembrava destinato a non finire mai, considerando eterna una superiorità che era sempre e solo temporale. Hanno smesso di pensare a come hanno raggiunto la vetta e hanno semplicemente ipotizzato di appartenere lì. Ciò che conta per loro, ovviamente, è che sono tutti lì, tutti presenti, tutti rivendicano un posto tra le migliori 16, e tutte raccolgono la loro fetta di torta. Sembra vergognoso, però, tutti sono contenti che non ci siano intruse. La Champions arricchisce chi ha già i soldi derivanti dai campionati più importanti e più remunerativi. L’importante è sì vincere, ma ancora più importante è semplicemente essere lì.