Interessante la lettura di quanto dichiarato dal prof. Mario Luigi Torsello a commento della condanna inflitta alla Juventus.
Prendiamo atto che, se non altro, le sue affermazioni risultano più comprensibili di quelle (sibilline) rilasciate qualche giorno prima dal Dottor Rinaudo, giudice sportivo, vicepresidente di sezione del tribunale federale della Figc, che, per quanto concerne la penalità di 15 punti, ha fatto riferimento a “criteri che all’uomo comune sfuggono e che però la Corte ha preso nella dovuta considerazione”.

Senza intenti polemici – mi si creda – vorrei a questo punto che qualcuno (magari il prof. Torsello stesso) potesse rispondere ai quesiti di un “uomo comune”. Quesiti che non  sembrano peregrini.

  1. E’ corretto inferire dalle parole del giudice che nel processo sportivo non è garantito, in definitiva, il rispetto del c.d. principio di legalità (Nullum crimen sine poena, nulla poena sine lege), sancito dall’art. 25 della Costituzione (Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso)?
  2. E’ corretto inferire, inoltre, che nel processo sportivo non sono garantiti i principi del “giusto processo” così come sanciti dall’art. 111 della Costituzione? In altre parole, stante “l’autonomia dell’ordinamento sportivo”, in quali termini la giustizia sportiva garantisce i principi del giusto processo, ossia l’adeguamento “ai principi processuali generali”?
  3. È inoltre corretto inferire che il principio espresso dal comma II dell’art. 27 della Costituzione (L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva), fissato peraltro nel brocardo “in dubio pro reo” è da considerarsi sacrificabile a fronte della necessaria “perentorietà” dell’azione penale sportiva?
  4. Se è vero che i principi dell’ordinamento sportivo sono “lealtà, probità e correttezza: al giudice va il potere di individuazione e punizione dei fatti in essere. I giudici sportivi possono riempire di contenuti questa clausola in bianco configurando come violazione del principio di lealtà e correttezza una condotta che non risulta autonomamente come fattispecie di illecito disciplinare” non si dovrebbero punire condotte in evidente contrasto con tali principi? Ecco un esempio: se la squadra Alfa, attesa il mercoledì a un importante impegno, la domenica, contro un avversario ritenuto inferiore, schiera una squadra ampiamente rimaneggiata, priva dei migliori, lasciati a riposo in vista dell’incontro più difficile, non sta forse ledendo l’obbligo morale sancito dalla FIGC di “schierare in campo le proprie squadre nella migliore formazione consentita dalla loro situazione tecnica”? Si potrebbe pertanto punire tale condotta in quanto sleale e scorretta? E se, a seguito di tale scelta, la squadra Alfa è inopinatamente sconfitta, non possiamo concludere di essere di fronte a una alterazione di fatto della regolarità del campionato e, quindi, a un comportamento da punire?
  5. Se è vero che “Il fine principale del giudice sportivo è quello di affermare i principi di lealtà e trasparenza e quindi gli organi devono considerare meno stringenti le regole formali rispetto a quelle sostanziali che incarnano questi valori", si potrebbe concludere che alcuni istituti, come quello della “prescrizione” (che in definitiva inerisce alla “forma” e non alla “sostanza”) dovrebbero o potrebbero essere trascurati, quando si trattasse di far prevalere i “principi di lealtà” a fronte di “illeciti sportivi”?