... qui per il  V episodio

ISTRUZIONI PER L’USO

Questa vecchia storia di doping
con i suoi continui colpi di scena
somiglia molto alle Matrioske.
Le bambole russe di dimensioni decrescenti poste una dentro l’altra.
Ogni Matrioska rappresenta figure di tutti i tipi, personaggi, uomini e donne,
ma anche emozioni come la gioia, il dolore, il bene e il male
Bologna marzo 1964


E’ la tarda  mattinata di una giornata tipica di marzo che, come diceva Pablo Neruda,ancora non se n’è andato l’inverno e il melo appare trasformato d’improvviso in cascata di stelle odorose.”
Poco incline alla poesia è invece lo stato d’animo dei due uomini che varcano il portone della bella casa signorile poco distante dalle Torri Garisenda e Asinelli. Sono latori di una notizia che non sanno come dare al vecchio signore che abita nell’elegante dimora.
Giunti al piano, pigiano il campanello con esitante moderazione e, dopo un paio di minuti, una vecchia signora, apre la porta, e, riconosciuta la coppia, l’invita ad accomodarsi. Siamo in casa del presidente del Bologna, Renato Dall’Ara, che si trova a letto per smaltire i postumi di una broncopolmonite. I due visitatori sono Piero Goldoni, vecchio amico del presidente e Aldo Bardelli, redattore di Stadio.
Ma adesso 
facciamo proseguire il racconto di questa visita a Manlio Cancogni, scrittore e giornalista che ne fece un mirabile ritratto per il settimanale l’Espresso.
La scena sembra presa, pari pari, da una commedia di Moliere. L’accostamento non è azzardato. Fu Gianni Brera che affibbiò a Renato Dall’Ara il soprannome di Arpagone, il protagonista dell’Avaro, pièce immortale del commediografo francese.
Il presidente seduto nel suo letto Impero – scrisse Cancogni – con due grandi cuscini dietro la schiena si preparava a fare colazione. La signora Nella, grassa e sorridente, moglie del presidente, apri la porta dicendo: 'Renato, guarda chi c’è; guarda che bella sorpresa', mentre nello spiraglio si affacciava chiedendo: 'Si può?' la testa di Aldo Bardelli. Quando il giornalista e Goldoni entrarono nella sua camera e videro quel vecchietto che sollevava la testina rinsecchita dagli enormi cuscini, protendendo un viso sorridente da bambino, si sentirono stringere il cuore. Sedettero e cominciarono a parlare del tempo. Era un vero peccato che la primavera si fosse così allontanata. Ma già si sapeva, marzo è un mese pazzo. Giù ad Amalfi, comunque, avrebbero trovato sicuramente i mandorli in fiore.
Poi Goldoni si fece coraggio. 'A proposito', disse con l’aria di raccontare una cosa da nulla, 'c’è una piccola seccatura…'".

LA 'PICCOLA SECCATURA'
La piccola seccatura
andava raccontata con estrema cautela. Perché il presidente dello squadrone che tremare il mondo fa aveva un cuore ballerino e, in quelle idi di marzo, a tremare furono  anche le sue coronarie.
Goldoni, alla fine, torcendo le sue mani una contro l’altra, in perfetto stile Fantozzi ante litteram, asciugandosi la fronte sudaticcia, disse al presidente che la Federazione Medico Sportiva aveva accertato la positività di cinque giocatori del Bologna: Fogli, Perani, Pavinato, Tumburus e Pascutti. Dall’Ara sembrò sparire nell’immenso lettone.
Gli fu ancora spiegato che il controllo era stato eseguito dopo la partita Bologna-Torino, del 2 febbraio 1964, vinta dagli emiliani per 4 a 1.
Una vittoria che aveva suscitato commenti entusiasti per la modernità e la freschezza della squadra allenata da Fulvio Bernardini.
Ora, invece, la stampa, soprattutto quella milanese, insinuava tra le righe, che gli emiliani si erano ‘aiutati’ con sostanze stimolanti proibite.
Dall’Ara non riuscì a trattenere le lacrime e accusò di complotto i nobili casati del calcio nazionale.
Sotto le due Torri, ovviamente, la tifoseria esplose e si arrivò a forme di proteste dai connotati insurrezionali con il carismatico Sindaco Dozza dalla parte dei tifosi. Una situazione delicatissima.

LE ANALISI
La Commissione Antidoping era presieduta dal professor Enrico Niccoliniun luminare della farmacologia che fece analizzare tre volte i campioni di urina.
La prima al Centro Medico Sportivo delle Cascine a Firenze, dove erano custoditi; la seconda da un’industria farmaceutica di Milano, la terza da un luminare di Roma, il professor Cartoni.
Tutte le analisi sono state effettuate con il metodo cromatografico (si tratta di un’analisi che consente la separazione dei vari componenti di una miscela ndr). La società felsinea rese prontamente noto l’elenco dei farmaci che assumevano i giocatori: Surrenovis Vitaminico, Eparcerebro, Micoren, Adenoplex Forte, Megaton, Destrosio.
Ci corre l’obbligo di sottolineare, a proposito di questo elenco, che Surrenovis e Micoren oggi sono considerati farmaci dopanti, ma allora non lo erano e venivano somministrati regolarmente ai calciatori di tutte le squadre. Quali sono stati gli effetti, nel lungo periodo, di quei farmaci sull’organismo? Oggi, molti ex-calciatori, afflitti da patologie varie, se lo chiedono con una certa angoscia.

IL BLITZ DEI TRE LEGALI
Per regolamento il Bologna non poteva fare nulla al di fuori della giustizia sportiva. Le società devono uniformarsi a quanto prescrive la clausola compromissoria che impedisce loro di rivolgersi alla giustizia ordinaria. E' un obbligo che non vincola i tifosi. Fu così che, all’insaputa di Dall’Ara, entrarono in scena tre avvocati-tifosi: Mario Cagli, Arrigo Gabellini e Alberto Magri. Si recarono in Procura e presentarono una dettagliata denuncia dove ipotizzavano un complotto ai danni della società felsinea. Il Sostituto Procuratore di Bologna, letta la denuncia, aprì un procedimento contro ignoti e ordinò il sequestro di tutti i campioni di urina. Sia quelli di Firenze alle Cascine che quelli delle controanalisi a  Coverciano. Ma, chiaramente, non potevano essere trasferiti da Firenze a Bologna. I campioni avrebbero potuto deteriorarsi durante il trasporto. Il magistrato ordinò, allora, che i rilievi si effettuassero sul posto. Il team della Procura bolognese, alle Cascine, scoprì che i campioni erano conservati in condizioni precarie, ovvero non sigillati e accanto a un  frigorifero che conteneva delle anfetamine.
Si effettuarono le analisi e i periti, nominati dalla Procura, scoprirono che le quantità di sostanze proibite, come ricostituente, sarebbero state eccessive anche per Ribot, famoso cavallo da corsa degli anni’ 50.

Ma questa storia del doping bolognese riserva un colpo di scena dietro l’altro.
La sera dell’8 marzo, il prof. Niccolini venne ritrovato privo di sensi dai suoi familiari, davanti al portone di casa a Firenze. Il luminare presentava una ferita alla testa ed escoriazioni in tutto il corpo. Aggressione? Malore? Caduta accidentale? Il prof. Niccolini, in quei giorni non si occupava solo del doping di Bologna, ma seguiva una vicenda di cronaca nera, anche questa bolognese, piuttosto ingarbugliata che, naturalmente, teneva banco sulle prime pagine dei giornali. Si trattava del famoso caso del dottor Carlo Nigrisoli accusato di aver avvelenato la moglie, con il curaro. Il ricchissimo dottore aveva perso la testa per una avvenente ragazza, Iris Azzali, 21 anni, che la stampa definì la Kim Novak di Casalecchio. Aggressione? Da parte di chi? I congiurati del doping o spedizione punitiva per conto del Dott.Nigrisoli? Comunque, Niccolini, si riprese in pochi giorni, senz’alcuna memoria dell’accaduto: forse – conclusero i medici – è inciampato sulle scale e ha battuto la testa.
Misteri italiani!

ARIDATEJE I TRE PUNTI
Arrivò il 20 marzo. Giorno del verdetto della giustizia sportiva. Fu duro e implacabile.
0 a 2 a tavolino contro il Torino più un punto di penalizzazione.
18 mesi di squalifica a Fulvio Bernardini e al medico sociale dott. Igino Poggiali. I cinque giocatori, invece, assolti perché sarebbero stati dopati a loro insaputa. Il Bologna presentò ricorso d’urgenza alla CAF (Commissione d’Appello Federale).
La stampa italiana si divise in due fazioni: Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport e il Giorno si schierarono sul versante colpevolista. Stadio e il Resto del Carlino su quello innocentista. Roma, invece, solidarizzò con il suo concittadino: Fulvio Bernardini.
E il prossimo impegno dei bolognesi era in  programma per il 22 marzo all’Olimpico contro la Roma. La storia delle vicende eclatanti, nel nostro paese, si è sempre ispirata a una certa fantasia perversa. Bernardini, squalificato, si sistemò in tribuna. Ma, qualcuno lo vide parlare dentro un minuscolo apparecchio che oggi definiremmo una specie di telefonino. Era, ovviamente, un walkie-talkie.
Fuffo dettava istruzioni al Direttore Sportivo Bovina, seduto in panchina, che a sua volta le riferiva a Cesarino Cervellati, vice di Bernardini.
La Roma chiese l’intervento della polizia e il ricetrasmettitore venne sequestrato. La società giallorossa annunciò ricorso cui poi non diede seguito.
Il Bologna vinse 1 a 0. Il passivo poteva essere più pesante ma, quel giorno, Cudicini, estremo difensore giallorosso, era in splendida forma e limitò i danni.
Il pubblico romano, decisamente schierato con i bolognesi, a fine gara, in piedi, gridava in coro: “Aridateje i tre punti.”
Ma, questa storia calcistica, che divise il paese in due, riservava continui colpi di scena. Fosse un film recherebbe la firma di Alfred Hitchcock.
Il 29 marzo, domenica di Pasqua, era in programma Bologna-Inter. La stampa, di entrambi gli schieramenti, soffiava sul fuoco e si parlò subito di una Pasqua di sangue.

UNA PASQUA DI LASAGNE
Il clima, a Bologna, era arroventato. La Lega, dal canto suo, con certe decisioni sembrava soffiare sul fuoco. Proibì a Bernardini di dirigere gli allenamenti. Non solo, ma vietò a Cervellati di stare in panchina. Non aveva il patentino. La squadra emiliana fu costretta a richiamare Raffaele Sansone, gloria bolognese anni ’30, consigliere di Dall’Ara e allenatore delle giovanili.
Enzo Biagi, emiliano doc, scrisse sul Corriere, che in città c’era un clima che non si registrava dai tempi dei partigiani. Allo stadio saranno presenti oltre 1500 agenti in tenuta anti-sommossa.
Non accadde nulla. Salvo una bordata di fischi all’indirizzo di Helenio Herrera.
Il Bologna dovette fare a meno di Nielsen e Pascutti. I rossoblù incapparono in una brutta domenica, la peggiore partita della stagione. Sbagliarono un rigore con Haller e alla fine persero 2 a 1.
Il pubblico bolognese si comportò civilmente e lasciò, a fine gara, mestamente le tribune.
La Pasqua di sangue si trasformò, dunque, in una Pasqua di lasagne per i tifosi nerazzurri che coraggiosamente erano venuti a Bologna.

(SEGUE)