C’è chi nasce con un dono, chi sa sempre cosa fare, chi conscio dei propri mezzi e delle proprie qualità prende di petto ogni situazione e riesce a vivere a proprio agio sotto i riflettori. Nel calcio come nella vita ognuno si ritaglia il proprio ruolo, che si tratti di giocare nel prestigioso Juventus Stadium o nel campetto in cemento dietro casa. Indipendentemente dal palcoscenico in questione la notorietà spetta di solito a chi porta, metaforicamente o meno, la numero dieci sulle spalle: il giocatore che sposta gli equilibri, l’amico che gioca con la Scuola Calcio fin da piccolo, il top player super pagato che vince la classifica cannonieri, il compagno di banco figlio dell’allenatore. Ma se la luce sembra riflettersi solo nelle giocate di certi talenti, che per un motivo o per un altro restano più impresse nella mente degli appassionati, una squadra brilla in realtà per il contributo che le offrono tutti i suoi componenti, a partire dalla zona nevralgica del campo, sede di ogni equilibrio tattico, spesso identificata coma la bottega del falegname, o l’officina del fabbro, l’habitat di quel mediano che starebbe pur bene in tuta blu, che ch’avrà pure i piedi (o gli scarpini) montati al contrario ma, fulmini quanto lavora! La storia del mediano narrata tra canzoni, leggende e grandi successi è vecchia quasi quanto il calcio stesso: mettendo su una squadra ci serve almeno un portiere, un difensore, un attaccante e uno che corra per tutti, per l’appunto. Il mediano notoriamente è un atleta non troppo dotato tecnicamente, che ricorre al paio di polmoni in più che madre natura gli ha dato (o che si è costruito personalmente con il sudore della fronte) per coprire la più impervia zona del campo, lottando con passione e dedizione su ogni pallone giocabile per un bene superiore, quello della squadra. Ecco dunque l’Italia campione del mondo negli ormai celeberrimi Mondiali tedeschi del 2006, superare nei tempi supplementari la Germania padrone di casa aggredendola con quattro attaccanti più altri giocatori di spinta: un calcio reso possibile dalla presenza di Gennaro Gattuso in mezzo al campo, quello stesso perno che reggeva il centrocampo milanista tutto fantasia dell’ormai rey Carlo Ancellotti. Ma la storia del pallone è piena di esempi in tal senso, nonostante negli ultimi anni si tratti di una figura che tende a scomparire dalle rose più blasonate, orientate quasi ad ingolfarsi con giocatori di classe (anche per ragioni di marketing) potendo tra l’altro contare su portafogli senza fondo di ricchi proprietari. Diventa difficile trovare allora il buon “medianaccio” in squadre come Real Madrid o Barcellona, forse anche perché si tratta di una figura come tante esportate nel globo da quel calcio italiano ormai in crisi di risultati, di organizzazione, di fondi, insomma in difficoltà totale. O forse quel mediano abituato a costruirsi dal niente, in realtà in mezzo al campo c’è ancora, solo che abituato come è a lavorare e a provare a migliorarsi, ora più che il gregario potrebbe esser diventato la stella. Consultare in proposito la voce “tuttocampista” alla sezione neologismi del Manuale del Calcio, dove tra le altre si può scorgere la foto del bomber Arturo Vidal, o di quel Claudio Marchisio capace di gol in rovesciata, rulete e doppi passi. Il dubbio allora s’insinua: non li vedremo mica un giorno indossare la numero dieci?