"L'Inter è molto simile all'Argentina: sempre sola nel senso di solitaria, al confine; è sola nel senso di unica, nel modo di pensare, di agire e di rapportarsi con il mondo. L'Inter è sofferenza, dolore, estasi. Vittorie impossibili e tonfi clamorosi, partite della vita e passaggi a vuoto inimmaginabili"Javier Zanetti

Oggi è il giorno delle stelle e, non è un caso, a compiere gli anni vi è la più brillante del firmamento neroazzurro: Javier Zanetti, elemento fondamentale della storia neroazzurra, nato il 10 agosto di 47 anni fa. Se qualcuno mi chiedesse il momento in cui ho capito di amare questo calciatore, non saprei rispondere. Dacché io ricordi, infatti, la presenza di Javier è stata praticamente costante. Io ci sono nato, si può dire, con quel numero 4 che metteva d'accordo tutti, ma proprio tutti. Non ho mai sentito (fortunatamente) qualcuno contestare il capitano neroazzurro, tanto sul lato tecnico quanto umano. Negli sfottò adolescenziali ricordo che spesso si parlava degli errori di quello, dei limiti di quell'altro, della poca concretezza di un altro ancora, ma quando si parlava di lui, anche i più feroci avversari battevano in ritirata.

"No, va beh, Zanetti non si discute, lo ammetto".

Che goduria udire queste parole da milanisti e juventini, lo confesso. Con questo articolo voglio omaggiare il leader per eccellenza della Beneamata, andando a pescare alcuni aneddoti della sua carriera che non tutti conosceranno.

Javier Adelmar Zanetti

Ebbene sì, è questo il suo nome completo. Appena nato, il piccolo Zanetti rischiò di morire a causa di un problema respiratorio. Il medico che lo salvò si chiamava Adelmar e così la madre Violeta, in onore del dottore che evitò il peggio, appose tale nome subito dopo Javier.

Disneyland Zanetti

Nato a Buenos Aires da genitori di origine italiana, il futuro capitano neroazzurro viveva in un quartiere della metropoli argentina che non era dotato di un campo di calcio. Sarà proprio il padre, insieme ad altri genitori del luogo, ad attivarsi per la costruzione di un primo campo di calcio, in cui muoverà i primi passi. Il nome di quella embrionale squadra? Disneyland. Una sorta di predestinazione, per un giocatore che farà poi sognare diverse generazioni di tifosi.

Zanetti, per me è no!

Immaginate di star assistendo ad un talent show. Solo che, invece di cantanti e ballerini, i protagonisti siano i calciatori. Ecco, adesso, chiudete gli occhi e pensate che Zanetti si presenti come candidato per diventare calciatore. Lo prendereste senza pensarci due volte, vero? E invece, dopo sette anni trascorsi nelle giovanili, dal 1982 al 1989, l'Independiente decide di bocciarlo in quanto fisicamente troppo mingherlino e non idoneo per giocare a calcio professionalmente. Di storie del genere ne abbiamo lette ed ascoltate a bizzeffe, ma fa impressione pensare che un calciatore che è stato per tutta la sua carriera fisicamente indistruttibile, encomiabile per spirito di dedizione, quasi mai infortunato se non verso il tramonto, sia stato bollato come inadatto al gioco del calcio. Questa scelta provocò, ovviamente, una delusione enorme, tanto che per un anno intero si dedicò allo studio ed al lavoro, mettendo da parte il sogno del calciatore. Fortuna che il padre riuscì a fargli cambiare idea, convincendolo a ripensare quella scelta azzardata e a darsi un'altra occasione. Grazie infinite, papà Rodrigo!

L'essenza di Zanetti

Come potrei descrivere l'uomo Zanetti senza utilizzare metafore, senza essere verboso e, inevitabilmente, poco obiettivo? Semplice: narrandovi di come ha iniziato a giocare ufficialmente a calcio. Dopo la grande opera di convincimento del padre, il nostro ha l’opportunità di entrare nella squadra del Talleres, club di seconda divisione argentina e squadra in cui milita il mediano Sergio Zanetti, suo fratello. Il club lo opziona e lui che fa? Rifiuta. Sì, rifiuta un'occasione del genere. Attende che il fratello sia trasferito in un'altra squadra e, nonostante ciò, chiede di effettuare un provino, per evitare di essere tacciato di qualsiasi maldicenza. Qualcosa da aggiungere? Sì. Una volta entrato in squadra, per un primo periodo continua lavorare part-time (non avendo ancora un contratto da professionista) e ciò gli consentirà di proseguire nella crescita fisica.

Pupi è suo fratello!

"Luke, io sono tuo padre". La celeberrima frase tratta dalla saga di Star Wars rivela un grande segreto fino a quel momento celato. Un po' come per qualcuno potrebbe essere leggere dell'origine del soprannome Pupi. Il nomignolo affettivo con cui è stato sempre identificato il campione interista è stato affibbiato proprio nella sua esperienza al Talleres. In realtà, però, tale appellativo era stato originariamente coniato per il fratello. Venne utilizzato anche per lui in quanto in rosa vi erano ben cinque Javier: troppi per distinguerli uno per volta. Il nomignolo sarà poi il nome della fondazione creata nel 2002 da lui e dalla moglie Paula, con lo scopo di raccogliere fondi per i bambini disagiati di Buenos Aires, e che sarà d’ispirazione per l’acronimo "Por Un Piberío Integrado", ovvero "Per un'infanzia integrata".

Il numero 4

Il suo numero. Quello che lo identifica universalmente. Nascerà tutto nel Banfield, club di massima serie argentina che lo acquistò nel 1993 proprio dal Talleres. Preso quello sulle spalle, non lo mollerà più. Due anni dopo, grazie a delle prestazioni convincenti, passò all'Inter e, contemporaneamente, fu uno dei protagonisti della vittoria ai Giochi Panamericani dell'Argentina olimpica.

La benedizione di Maradona

Anno 1995. "Forrest Gump" e Tom Hanks stravincono alla Notte degli Oscar. In Europa approda per la prima volta la PlayStation. Ligabue entra nella storia della musica italiana lanciando Certe notti. In tutto questo, arriva all'Inter il futuro capitano, quasi come se nulla fosse. Già, perché la sua presentazione, ormai passata alla storia (questa sì!), avviene lateralmente a quella di Rambert, attaccante arrivato proprio da quell'Independiente che anni prima non aveva creduto in lui. Corsi e ricorsi storici. Nel silenzio che oggi desterebbe rumore, solo una voce si levò. E che voce. Diego Armando Maradona, non proprio uno qualsiasi, lo definì senza mezzi termini "l'acquisto dell'anno". Il Pibe de Oro ci aveva visto giusto. Peccato che 15 anni dopo, lo stesso Diego, all’epoca CT dell'Argentina, gli negò il Mondiale sudafricano, non convocandolo nonostante una stagione spaziale culminata con il Triplete.

Bergomi e Zanetti: passaggio di consegne

Approdato all'Inter, nessuno credeva potesse essere immediatamente confermato in rosa. Si racconta che Mazzola, all’epoca Direttore Sportivo del club, gli chiese dove volesse giocare, intendendo con ciò in quale squadra avrebbe gradito finire in prestito. In tutta risposta, l'argentino rispose "a destra". In un'epoca in cui ebbero inizio dei terribili errori in sede di mercato (si pensi a Roberto Carlos, arrivato nella stessa estate e ceduto appena l'anno dopo) fu Bergomi ad intervenire, facendo in modo di mantenere il nuovo innesto. "Primissimo allenamento, facciamo possesso palla. Lui non la perde mai, gli resta sempre incollata al piede. Quel giorno pensai che avrebbe fatto la storia dell'Inter". Mai profezia fu più azzeccata.

Il VHS

Cosa c’entra l'antiquata videocassetta in questa storia? L'arrivo di Zanetti alla causa meneghina si deve in primis al connazionale Angelillo, storico attaccante capace di segnare 33 reti in una sola stagione nel 1958/59. Fu proprio lui a segnalare il profilo a Massimo Moratti, che prese visione dell'instancabilità di Pupi e il suo modo di agire su tutta la fascia destra tramite un VHS contenente le immagini con la maglia della Nazionale olimpica. Vedendo quel video se ne innamorò letteralmente. Piccoli sprazzi di romanticismo di un calcio completamente differente.

Anche Zanetti si può incazzare

Difficile crederlo ma anche lui perse le staffe in modo plateale. È ancora giovanissimo, e nel 1997 si gioca la finale di Coppa UEFA contro lo Schalke 04. È la gara di ritorno in un "Meazza" esaurito e, ai tempi supplementari, il tecnico Hodgson lo sostituisce inserendo Berti. Non la prende per nulla bene e per poco non arriva allo scontro fisico, evitato grazie all'intervento della panchina. Per la cronaca, la squadra perderà ai calci di rigore, rifacendosi l'anno dopo contro la Lazio nella finalissima in gara unica del "Parco dei Principi", in cui lui stesso segnerà la rete del raddoppio nel 3-0 finale firmato anche Zamorano e Ronaldo.

L'amore incondizionato per l'Inter

Abbastanza nota è la vicenda dell'interessamento del Real Madrid nel 2001: la trattativa, come confermato dallo stesso attuale vicepresidente neroazzurro, era praticamente conclusa, ma fu la sua volontà di vincere con la maglia e lo splendido legame che la famiglia aveva ormai instaurato con la città di Milano che gli impedì di trasferirsi in Spagna. A mio avviso, però, vi è un altro episodio che dimostra, sebbene non vi sia alcun bisogno, quanto forte sia l'amore per questi colori: nell'estate del 2004 si disputano le Olimpiadi e lui può entrare a far parte della spedizione albiceleste come fuoriquota. Lui rifiuta. Motivo? Preferisce allenarsi con l'Inter in vista della nuova stagione. Risultato? L'Argentina vincerà l’oro olimpico. Peccato, certo, ma il suo affetto sarà ampiamente ripagato.

Gli anni d'oro

5 Scudetti.

4 Coppe Italia

4 Supercoppe Italiane

1 Champions League

1 Coppa del Mondo per Club.

A ciò si aggiunga la Coppa UEFA del 1998.

Un palmares pazzesco, che lo ha reso il calciatore più vincente della storia del club. Le sue lacrime liberatorie al termine della finale contro il Bayern lo hanno ripagato di tutti i sacrifici compiuti per amore di questa maglia e di questi colori. Il Triplete. Da capitano. Icona. E poi una marea di record individuali: numero uno per presenze con la Beneamata, numero uno per presenze da capitano in Champions League (addirittura superato Paolo Maldini in questa speciale classifica) e tanti altri ancora, prima del ritiro avvenuto nel 2014. Appesi gli scarpini al chiodo, però, non poteva non proseguire la storia d'amore della vita: vicepresidente del club, senza se e senza ma. Onorati di questo, Javier. Credimi. Voglio chiudere con il motto della sua fondazione: "Non c'è nessuno così forte che possa farcela da solo e nessuno così debole che non possa essere d'aiuto"

Buon compleanno Javier Zanetti. Bandiera e capitano.