Una nota pubblicità della squadra rossonera di qualche anno fa recitava “We are ACMilan”, lo slogan ovviamente serviva a ricordare il legame stretto tra presente e passato, l’avversario doveva sapere chi aveva di fronte, l’avversario ancor prima di cominciare la partita doveva sapere contro chi avrebbe giocato, tremare di fronte alla storia, all’entrata della scala del calcio. Bello slogan, non fosse per il fatto che lo stesso coincidesse con l’epoca dell’austerity degli ultimi anni di Berlusconi, l’epoca dei parametri zero, l’epoca di un Milan che cominciava a ridimensionarsi.

Infatti, la qualità della rosa e i pessimi risultati spinsero qualche tifoso con ironia a trasformare quella frase in “We were ACMilan”, eravamo il Milan. Sebbene quella frase avesse solo un intento ironico credo che involontariamente rappresenti molto bene il sentire del tifoso milanista degli ultimi anni, un tifoso rivolto con lo sguardo verso un passato glorioso, speranzoso che questo si ripresenti tale e quale in un futuro prossimo. Come in Giambattista Vico il Milan dovrebbe per qualche disegno divino di corsi e ricorsi storici ritornare presto alla gloria, risorgere dalle ceneri come successe nella metà degli anni ’80 quando un giovane imprenditore acquistò la proprietà di un Milan destinato al fallimento.

In questo tipo di logica è imprigionato il Milan da qualche anno a questa parte, ogni momento infatti viene letto a partire da quanto successo nel passato. Mr. Bee, Mr. Li e Mr. Singer sono i nuovi Berlusconi, ogni terzino che gioca bene uno squarcio di partita fa subito pensare al nuovo Maldini, Romagnoli è il nuovo Nesta, Bacca il nuovo Inzaghi, Piatek il nuovo Shevchenko, Kessié e Bakayoko ricordano Desailly e Gattuso, Tonali potrebbe essere il nuovo Pirlo, Paquetá il nuovo Kaká, ma un po’ diverso. Insomma, ogni nuovo giocatore, ogni nuovo evento deve essere letto con un occhio rivolto al passato, situazione che protratta nel tempo provoca una strana forma di strabismo che impedisce di vedere con chiarezza la situazione attuale. Ritornando allo slogan “We were ACMilan”, questa squadra vive da anni in una sorta di tragica nostalgia che ad ogni inizio campionato fa sognare il grande ritorno e alla fine dello stesso confronta i risultati ottenuti, non con obiettivi in linea con l’attuale situazione societaria, bensì con quelli che per statuto divino, per natura, dovrebbero competere al glorioso Milan. Si sente più o meno spesso dire che la Champions è la casa del Milan, che non si può perdere con il Frosinone, che il Milan doveva vincere perché “Noi siamo il Milan”.

Per anni è stato così, ora invece il Milan non può più sottovalutare nessuno, tutti se la vengono a giocare a San Siro, perché non c’è più nessun Dio del calcio che ci protegga, nessun corso o ricorso che per sconosciute ragioni riporti il Milan di oggi ad essere il Milan di ieri.

Un nuovo slogan, più attuale dovrebbe essere proposto a questo Milan: “We are nothing”. Questo Milan infatti è il nulla, e nulla bisognerebbe aspettarsi dallo stesso per i suoi meriti storici, nessun obiettivo del passato, nessun ritorno di gloria, solo e soltanto quello che ci si guadagna giorno dopo giorno. Qualcuno potrà dire che la storia non si cancella, ma bisogna evitare che la stessa diventi un pericoloso canto di sirena che impedisce di vedere con chiarezza la situazione attuale.

Dal 2014 ad oggi abbiamo avuto 6 allenatori, tutti più o meno criticati, 6 scelte sbagliate sono il frutto di un’assenza di visione da parte della società. Il Milan ad oggi non ha uno stadio di proprietà, Sassuolo, Frosinone, Atalanta ed Udinese sì (con la Juventus meglio non confrontarsi). Il bilancio trasferimenti di giocatori negli ultimi 5 anni segna un passivo di 336 milioni (fonte: Transfermarket) mentre Juventus e Inter segnano rispettivamente un passivo di 286 e di 176 milioni, considerando il fatto che le ultime due squadre hanno partecipato e potranno partecipare alla Champion’s League possiamo capire come la situazione del Milan sul mercato sia piuttosto critica: si comprano giocatori cari, si rivendono a due lire e non si riescono a raggiungere obiettivi che permettano di aumentare le entrate del club. Sotto questo aspetto bisogna pensare che il Napoli ha un passivo nei trasferimenti di soli 33 milioni, la Lazio di 14 milioni, mentre Roma e Atalanta a questa voce hanno attivi di rispettivamente di 30 e 60 milioni. Se andiamo a valutare il peso politico del Milan passiamo dall’aver avuto un presidente del Consiglio e un presidente di Lega Calcio tra i vertici societari, ad una società fantasma, possiamo far finta che il calcio dipenda solo da quello che succede in campo ma spesso le vicende extracalcistiche lo determinano, pensiamo ad esempio alla nostra relazione con la UEFA e al rigore inventato concesso all’Arsenal negli ottavi di finale di Europa League, a pensar male a volte si fa bene.

Insomma, incapacità a livello di scelta dell’allenatore, incapacità sul mercato, assenza di stadio di proprietà, nessun timore reverenziale da parte di arbitri ed avversari uguale, siamo il nulla più assoluto, “We are nothing!”

Nonostante ciò, continuiamo ad essere la seconda società che più tifosi porta allo stadio in Italia, ma questa passione per quanto tempo potrà resistere? I tifosi vanno allo stadio per vedere questo Milan o ci vanno per la nostalgia di un passato che anno dopo anno tende ad allontanarsi nel tempo e nella memoria? Resisterà la passione al ridimensionamento proposto in modo chiaro da Gazidis? Il tifoso milanista è disposto ad essere una fucina di giovani talenti da rivendere a società più ambiziose? Questa sarà una parentesi provvisoria che durerà fino all’assestamento dei conti oppure dovremmo accontentarci di diventare un plusvalenzificio?

In questi anni il tifoso non ha avuto pazienza, ha pensato che saremmo tornati grandi in fretta e furia, perché siamo il Milan, perché eravamo il Milan, quest’occhio rivolto al passato ha spinto tutti ad avere aspettative non in linea con la situazione attuale, creando uno strabismo che ha impedito di vedere la realtà con lucidità.

Il nuovo Milan dovrà partire dalla consapevolezza del fatto che al momento non siamo nulla, contiamo zero, e nonostante la presenza di figure dal passato glorioso nessun ricorso storico ci riporterà ad esso senza sforzo, senza soffrire, come per volontà divina.

Ripartire dal nulla, dalla consapevolezza di essere nessuno dev’essere un segno di umiltà che ci libererebbe dall’affanno di ottenere tutto e subito, dalla presunzione di vincere contro certe squadre, dalla ricerca di una campagna acquisti che infiamma la piazza per percorrere invece a piccoli passi una strada tutta in salita che permetta di vedere il presente con più lucidità, senza dimenticare il passato, ma senza rimanere schiavi dello stesso, accettando ed essendo consapevoli di quello che siamo al momento: nulla!