Ci siamo tolti il dente.
Dopo anni di parole, di conferme abbozzate, di smentite mai del tutto convincenti, di proposte lanciate e poi subito ritirate, ecco che è arrivato il grande giorno: la Superlega vede la luce. Un annuncio notturno, forse per adattarsi agli orari statunitensi o asiatici (così si portano già avanti), seguito dalla levata di scudi sportiva e addirittura politica. Un progetto che vede contrapposte fermamente UEFA, FIFA e le principali Federazioni Nazionali. Un braccio di ferro che, a sensazione, non si concluderà in tempi propriamente strettissimi, come qualcuno pare prospettare. Insomma, con un finale di stagione che potrebbe essere uno degli ultimi per come lo conosciamo, il mondo del pallone calcio si ritrova a dover prendere una scelta che segnerà, in un modo o nell’altro, la direzione da seguire. Personalmente, mi sento di ringraziare chi ha aderito alla Superlega, perché prima di questo momento non si era mai risvegliata così tanto la coscienza del tifoso. Una trasversalità che sorpassa rivalità e confini, unendo chi ama veramente questo gioco nel fronteggiare (purtroppo senza strumenti adeguati) una riforma che non potrà far altro che rendere quest’ultimo un passatempo per pochi eletti. Ma è meglio così. Sì, credetemi!

Sia benedetta la Superlega, perché consente di distinguere nitidamente chi vede il calcio come “sport” e chi come “spettacolo”. Da anni ascolto persone ciarlare senza troppa cognizione di causa del calcio come di uno show, dimenticando che il football (così li facciamo contenti se parliamo in inglese) non è un concerto o un’opera teatrale. I presupposti che lo differenziano rispetto alle altre forme di spettacolo sono le regole, la competizione, l’incertezza sul risultato finale: tutte componenti che lo rendono prima di ogni cosa una disciplina atletica e sportiva. Poi, è evidente che essendo divenuto un fenomeno di costume che non ha eguali nel mondo, la spettacolarizzazione assume un ruolo di primo piano che deve essere curato e salvaguardato, ma mai a discapito della competitività, altrimenti viene meno la natura, l’essenza stessa di questo prodotto.

Ringraziamo la Superlega, perché possiamo divertirci con i funambolici tentativi di chi la difende a spada tratta e persino la anela, ritenendola l’ancora di salvezza per il movimento calcistico intero (ma quando mai? Al massimo, per i pochi che ne farebbero parte). Io immagino sia andata pressappoco in questo modo: «I giovani stanno perdendo interesse per il calcio». Soluzione? «Creiamo un bel campionatone composto da 20 squadre che accedono senza merito, poi li dividiamo in due gruppi da 10 e vedrete che quando alla nona giornata si affronteranno Tottenham e Arsenal per non retrocedere… ah no, scusate, quando si affronteranno per non finire ultimi o penultimi, il ragazzino di Busto Arsizio si collegherà venerdì pomeriggio alle ore 15 per seguire l’evento unico al mondo che solo noi possiamo offrire alla modica cifra di 200,00 € al mese perché dobbiamo coprire gli elevati costi sostenuti». Dobbiamo recuperare i giovani, questo sembra essere uno dei motivi portanti e che giustifica tale creazione. Dobbiamo allargare la platea, perché la NFL fattura il doppio. Perché la NBA si comporta così. Perché l’Eurolega di basket. Perché… perché? Perché nessuno si accorge che sono sport differenti? Perché nessuno comprende che il Super Bowl è tutto un altro mondo rispetto al nostro concetto di sport professionistico? Perché vogliamo inseguire qualcosa che non appartiene alla nostra cultura sportiva? Il fatturato, of course. Per carità, non dobbiamo metterci a fare la morale, in quanto i ricavi e la sostenibilità finanziaria dei club sono parametri che meritano la massima attenzione, ma siamo certi che l’unica strada da percorrere sia questa cerchia di società nominate che nulla ha a che spartire con l’origine del calcio? Possibile che nessuno si renda conto che si rischia di allontanare seriamente l’appassionato medio? Certo, aggredire nuovi mercati potrebbe essere confortante per i top club, ma senza lo zoccolo duro, senza la passione sottostante, a che gioco giocheranno? Le società di calcio sono aziende, non ci piove, ma non possono essere equiparate alle tradizionali attività commerciali perché il loro core business è diverso. La loro funzione è differente rispetto a quella che caratterizza una classica impresa. Il calcio ha una funzione sociale imparagonabile rispetto a qualsiasi altro fenomeno esistente su questo pianeta ed è questo che dovrebbe muovere tutte le mosse dei decisori del calcio. Senza retorica, ma non dimenticando le fondamenta per cui è nato.

Lodiamo la Superlega, perché consente di scoperchiare l’ipocrisia a tutti i livelli. La nuova frontiera del calcio così concepita è ovviamente impresentabile, ma quando qualcuno fa notare che la NFL ha venduto i diritti televisivi per un ammontare di 11 miliardi di euro mentre la Champions League, con un numero potenziale di spettatori pari a circa 10 volte tanto, è riuscita a incassare circa 2 miliardi, allora è chiaro che la UEFA ha fallito. Invece di pensare a imbottire il calendario di competizioni senza senso di cui la maggior parte della popolazione calcistica ignora persino il regolamento o a ideare terze coppe senza appeal (Nations League, Conference League… dai, su!), avrebbe dovuto concentrare gli sforzi sulla punta di diamante, su ciò che fa gola al mercato televisivo internazionale, su ciò che è divenuta la più grande manifestazione sportiva per importanza insieme al Campionato del Mondo per Nazionali. Tutte le attenzioni avrebbero dovuto essere direzionate verso la Coppa dei Campioni che fu, trovando formule che avrebbero soddisfatto le esigenze delle squadre più importanti unitamente al mantenimento della competitività. E invece, anche qui, il massimo che si è saputo fare è stato trasformare il format a gironi senza strutture predefinite, rifacendosi ad un ibrido tra calcio e altri sport. Ma come diavolo è possibile partorire certe robe? Sia ben chiaro, però, che il problema non riguarda solamente le organizzazioni. Qui entrano in gioco anche allenatori e calciatori, i veri protagonisti, i quali possono realmente decidere le sorti del gioco del calcio. Le indignazioni di Klopp, di Kroos e soprattutto di Guardiola avranno un seguito concreto o resteranno solamente dichiarazioni? Perché è evidente che la Superlega può avere uno sbocco solamente se dovesse ricevere il beneplacito dei grandi del calcio. Se i vari Messi, Ronaldo, Neymar e compagnia non dovessero far parte della compagnia, siamo davvero certi che si arriverebbe a muovere le cifre che si prospettano? Se il Bayern Monaco e altre due big tedesche, se PSG, Porto, Ajax e, come si apprende nel momento in cui ultimo la scrittura di questo articolo, anche Chelsea e Manchester City (pronte a chiamarsi fuori) non dovessero far parte del circolo, sarebbe ugualmente una proposta vincente? Banale: no e ancora no. In particolare, auspico fortemente che non cambi la posizione dei bavaresi, i quali a mio avviso rappresentano il vero ago della bilancia. Perché ce la possono vendere come vogliono, ma se la squadra teutonica non entra a far parte dei 20 club elitari, allora non sarà mai e poi mai una vera Superlega. Mancherebbe una corazzata, una delle più grandi squadre della storia del calcio, e questo potrebbe davvero creare problemi al neonato progetto. Qualcuno potrebbe obiettare che gli atleti più performanti potrebbero lasciare la Baviera per percorrere altri lidi, ma allora a questo punto la domanda sorge spontanea: cosa è che conta? Il marchio o il fatturato? Peccato che nel caso dei campioni d’Europa in carica essi vadano a braccetto e nulla potrà sostituire la posizione che ha assunto nello scacchiere di questo sport (ribadisco: sport). “Il calcio è dei tifosi” rimane uno slogan se non viene supportato da atti concreti, che dimostrino quanto questa presunta svolta epocale rappresenti solamente un assoluto schiaffo a tutti coloro che realmente sono legati al cuore del pallone. Adesso tutti si stanno affrettando a prendere le distanze, ma bisognerà poi munirsi di coerenza, perché altrimenti si tratterà dell’ennesima presa in giro. Almeno questa, risparmiatecela. Per correttezza va spiegato che il summenzionato paragone tra NFL e Champions League è ovviamente improprio: è chiaro che nel mondo del calcio esistono anche i campionati nazionali. Sommando gli introiti dei cinque principali campionati nazionali a quelli delle competizioni internazionali, non andiamo così lontano dalle cifre che vi sono Oltreoceano. Ed è questo che in molti si ostinano a voler ignorare. Il calcio è legato a tradizione, a derby, a lotte per qualificarsi nelle manifestazioni sovrannazionali. Che gli organi preposti abbiano sbagliato è fuor di dubbio, ma non è con una Superlega chiusa che andremo a conquistare giovani appassionati e a ritagliarci nuove risorse. Io sto immaginando questa potenziale nuova era del calcio: i primi due anni, probabilmente, saranno anche intriganti. Ogni settimana big match. Sarebbe stupendo, al solo pensiero. Poi, dopo che assisteremo a sfide che diventeranno sempre più comuni, ecco che il giocattolo tornerà a rompersi. Inoltre, non va assolutamente sottovalutato il rischio di una distanza tra le stesse società fondatrici: la forbice si creerà anche tra le partecipanti a questo campionato, con squadre che saranno perennemente leader e altre che avranno qualche sussulto di tanto in tanto. Funziona così, è sempre stato così, e nessuna idea geniale o qualsiasi operazione di fantamarketing muterà questo scenario. Poi, non voglio neanche soffermarmi più di tanto sulla scelta delle squadre partecipanti: il Manchester City, fino a quindici anni fa, non faceva parte delle big non solo d’Europa, ma dello stesso Regno Unito. Stesso dicasi per il Tottenham e, se torniamo indietro ancora di qualche anno, per il Chelsea. Come hanno fatto a diventare ciò che sono oggi? Con investimenti stratosferici, che saranno definitivamente disincentivati se si dovesse arrivare a questa situazione. Chi deciderà di spendere quattrini per società che disputeranno un campionato mozzato, senza prospettive di crescita stabili in quanto le eventuali competizioni UEFA saranno considerate coppe minori e l’accesso alla Superlega sarebbe condizionato da non si sa bene quali parametri? Non è la morte del calcio come molti prospettano, bensì quella dei campionati nazionali. E se vi sembra poco e se questo è accettabile in nome del tanto decantato spettacolo… contenti voi.

Accettiamo la Superlega, ignorando le parole di Rummenigge, che continua ad affermare ciò che nessun altro vuole ascoltare: non bisogna amplificare i ricavi, o meglio, non è solo quella la strada da seguire, ma è necessario lavorare sui costi e ridurli. Uno dei principi aziendali per eccellenza: quando si è in difficoltà, bisogna tagliare le spese. Questo è il punto. Poi, è naturale, i correttivi per incrementare le risorse sono doverosi, trattasi pur sempre di imprese che puntano alla massimizzazione del profitto. Ma il profitto, nozione base di ragioneria, è la differenza tra ricavi e costi. Aumentare gli introiti o diminuire i costi: non esiste solo la prima via…

Beata sia la Superlega, che frantuma gli ultimi barlumi di un calcio sognatore. Sì, perché il grande insegnamento che bisogna trarre da tutta questa storia è uno solo: non provate a sognare. Non fatelo mai e poi mai. Non date peso alle parole di Pep, il più grande tecnico del mondo: quando la vittoria è garantita, non è più sport. Non vi preoccupate, questa Superlega vi farà vivere in un mondo bellissimo senza che dobbiate sudare, sgomitare, provare a superare i vostri limiti. Non perderete mai. Juventini, milanisti, interisti (me compreso): potreste perdere ogni partita e fare figuracce a tutto spiano, ma niente vi farà regredire. La sconfitta non farà più paura, semplicemente perché non esisterà più. Sarete sempre vincenti, non ci sarà distinzione tra arrivare sesti e ultimi. Non dovrete temere di non andare in Champions League, non dovrete più subire gli sfottò altrui perché non vincerete lo scudetto. Sarà tutto, inevitabilmente, bellissimo. Noi che ci opponiamo siamo i cattivi. Siamo i vecchi, i tradizionalisti, coloro che non apprezzano il futuro. Coloro che preferiscono Pisa-Livorno ad Atletico Madrid-Borussia Dortmund. Siamo quelli che Crotone-Catanzaro vale una stagione anche se le squadre sono a metà classifica, ma vuoi mettere Tottenham-Milan per cui ci saranno in palio dei soldi per chi vince una partita ininfluente ai fini della qualificazione? Siamo quelli di Messina-Reggina, Avellino-Salernitana, dei Chievo Verona, degli Hellas Verona, dei Cagliari, delle Sampdoria. Ma no, non ci pensate proprio: siamo noi, dalla parte del torto. Siamo noi, i retrogradi. Siamo noi, ad essere sbagliati.
W la Superlega!

Indaco32