La “songwriter” e autrice Charlotte Ericksson afferma che: “Essere appassionati di qualcosa è la caratteristica più bella che si può sviluppare”. Sono poche semplici parole che manifestano perfettamente un concetto. Nutrire amore per una particolare attività della vita è magnifico. I motivi sono molteplici. Si immagini chi non possiede alcun sentimento simile. Credo che possa ricadere presto nella noia in quanto il suo tempo rischia di essere frustrante. Attenzione, la passione non dev’essere per forza un hobby o qualcosa da svolgere quando non si ha null’altro da fare. Potrebbe nutrirsi questo forte fervore anche per il proprio lavoro e tale sarebbe una condizione d’esistenza davvero invidiabile. Chi riesce a conciliare 2 simili esigenze parrebbe veramente avere trovato un siero magico tale da garantirgli giornate migliori. La professione comporta sempre fatica e stress ma è chiaro che, se svolta con oggetto per cui si provano forti sentimenti positivi, sarà anche più ricca d’amore quindi eseguita in maniera migliore.

Per Gali Sheehyavere passione significa potersi concedere di perdersi in qualcosa”. Trentadue, e ripeto 32, milioni di italiani si perdono nel calcio. Il pallone ha un infinito valore economico perché sfama circa 300mila persone e lo ribadisco in quasi ogni mio pezzo, ma ha pure un fondamentale rilievo sociale. Tanti individui provano piacere e gioia nell’osservare questo gioco esaltante che ormai ha assunto la forma di una delle imprese principali del Paese. Ultimamente è stato “maltrattato” dal populismo che lo ha ridotto a ultima ruota del carro. A inizio pandemia alcuni lo consideravano quasi il capro espiatorio del virus europeo, ora viene tacciato di palese inutilità sociale e deve essere il più lontano dei problemi. Questo probabilmente è dettato pure dalla forza che trova chi lo odia nel momento in cui vede vacillare un temibile avversario prima insuperabile.
Al di là del discorso finanziario che ho già citato, vorrei ricordare che già gli antichi romani parlavano di “panem et circenses”. Le persone hanno necessità delle loro passioni per poter vivere un’esistenza più serena e meno angosciante. L’“ora et labora” tipicamente benedettino è riferibile a una fattispecie molto ristretta d’individui che ha una determinata e forte vocazione. Non tutti sono in grado di rispettare questo egregio dictat monastico. Trentadue milioni di connazionali sono in attesa della loro passione e lo share registrato da Sky con l’avvento della Bundesliga è dimostrazione della fame di calcio che l’italiano medio percepisce. Utilizzo questo vocabolo perché, per molti, il tifoso ha quella determinata caratteristica. Detto che non è assolutamente così, ho il massimo rispetto per tale fetta di società che concede al Nostro Magnifico Stato di mantenersi vivo. In Germania si è ripreso e i tedeschi godono di ascolti triplicati rispetto al passato. In Spagna, invece, l’audience di Borussia Dormund-Schlake 04 è stata simile a quella di una sfida della Liga. Pensate cosa potrebbe accadere qui con la ripresa della serie A … Gli occhi di mezzo mondo sono rivolti ai tedeschi perché sono avanti anni luce. Sabato scorso, Ibrahimovic ha scritto un post riferito alla Bundesliga: “Loro lo dicono, loro lo fanno. Grazie” (La Gazzetta dello Sport). Immediata la replica del principale campionato teutonico: “Prego, tu sei il benvenuto” (La Gazzetta dello Sport). Pure Mbappé non ha mancato di far sentire la propria voce: “La Bundesliga è tornata” (La Gazzetta dello Sport). Anche Gundogan è sulla medesima falsariga: “Come previsto senza tifosi è strano, nonostante questo però è bello tornare finalmente a guardare un po’ di calcio” (La Gazzetta dello Sport). Quanto sarà gonfio il petto tedesco per tutti questi elogi? Se lo è parecchio, ne avrebbe tutto il diritto. Gli altri, invece, stanno a guardare con la concreta possibilità che molti dei loro fiori all’occhiello si innamorino della nuova spasimante lasciandoli con la bocca asciutta. Per carità, era assolutamente impossibile battere sul tempo la massima categoria germanica. Soprattutto in Italia, però, lo stato attuale della situazione non può che raggelare gli animi di chi ama il pallone. Inizialmente abbiamo assistito a un triste teatrino di polemiche con l’impressione, si spera e si crede assolutamente errata, che il Ministro dello Sport non comprendesse il valore economico-sociale del calcio. Quest’ultimo, giustamente, provava a difendersi descrivendolo. Poi le parti sono parse avvicinarsi ed è subentrato il terzo incomodo: la scienza. Il CTS e l’andamento della curva dei contagi potrebbero essere “gli ostacoli” più ardui da superare per il ritorno in campo. Ripeto, tutto corretto. In nome della vita ogni altra situazione deve passare in secondo piano. Detto questo, però, almeno si dovrebbe da subito chiarire di remare nella medesima direzione e manifestare tale intento con atti concreti. Non mi pare sia accaduto. Probabilmente il pallone ne subirà le conseguenze e quindi anche il resto del Paese, la maggior parte del quale risulta assolutamente incolpevole.
Anche perché alcune situazioni mi paiono paradossali. Non sono un epidemiologo e non vanto particolari conoscenze in campo medico, ma non riesco a comprendere come ormai il novero delle attività impraticabili sia così ridotto e contempli il calcio. Non consideratemi un folle. Capisco perfettamente che trattasi di sport di contatto e il virus circola proprio grazie all’ospitante che è la persona, ma non si richiede che scendano in campo amatori o dilettanti privi di qualsivoglia professionalità. Si domanda che venga concessa una simile chance alla serie A e alla cadetteria, al massimo alla terza categoria italica, che avrebbero sicuramente un protocollo rigido e attento (presto il Consiglio della Figc potrebbe operare importanti decisioni soprattutto in base alle ultime 2 categorie). Si parla di un’impresa fondamentale per l’economia del Paese che come le altre vuole ripartire. Noto immagini di persone piuttosto vicine all’esterno dei locali. Probabilmente molte di queste sono giovani. Si tratta di ragazzi, poco più che adolescenti, chiusi in casa da 2 mesi e che ora anelano a quella libertà della quale sono stati privati. E’ una delle conseguenze pericolose della rigidità a cui siamo stati costretti per sconfiggere la pandemia. E’ chiaro che, soprattutto in età adolescenziale o di poco superiore, diventa difficile mantenere placata la grande energia e la voglia di vivere che si possiede. E’ contro natura. Non si scordi mai la massima aristotelica per la quale “l’uomo è un animale sociale”. Non siamo al noto “libera tutti” e il problema covid-19 lungi dall’essere risolto. Il Governo, però, si è reso conto che non poteva proseguire con il metodo precedente sino al vaccino. Così, si legge, potrebbe pure avere forzato la mano agli scienziati che ragionavano in base ai freddi numeri e con la volontà primaria di sconfiggere la malattia. Certo, il pericolo della riapertura dopo il duro lockdown potrebbe proprio essere quello della grande difficoltà nel concepire il rispetto dei rigidi protocolli e del distanziamento sociale. Se si fosse cercato di limitare l’asprezza della disciplina durante la “Fase 1” probabilmente tale fame di socialità sarebbe stata contenuta. Adesso? Il rischio di aumentare i contagi mi pare forte, a meno che il virus non si sia indebolito. Con questo non voglio attribuire colpe a scienza e politica se si dovesse tornare a vedere un ampliamento della curva. Posso soltanto affermare che, forse, si sarebbe potuto prevedere una normativa leggermente meno restrittiva, ma sicuramente non vi sarà stata altra possibilità di scelta… Ora è assolutamente necessario compiere un ulteriore sforzo che consiste nel rispettare le regole dei rigidi protocolli. Da questo punto di vista, però, mi sia consentito sostenere che comprendo la disperazione di alcune categorie. A causa di queste normative faticano a gestire le proprie attività. Ho maggiori difficoltà a concepire il malessere dei fruitori dei servizi. Voglio dire: abbiamo conquistato l’agognata e assolutamente dovuta libertà. Non siamo più all’interno di una situazione deprimente e distruttiva di ogni umana natura come quella di qualche settimana fa. Ora mi pare davvero piuttosto agevole riuscire a rispettare le regole di sicurezza. Lo si faccia per il proprio bene e per quello altrui.

Tornando al calcio, come ho già scritto, con gli adeguati protocolli deve ripartire il prima possibile al pari delle altre imprese. Ecco, avrei voluto parlarvi di pallone nel vero senso del termine. Desideravo trattare finalmente del gioco, ma nemmeno oggi vi sono riuscito. Eppure gli argomenti ci sarebbero. Se penso alla “mia” Juventus, mi si palesa immediatamente il futuro di Pjanic. E’ molto interessante l’ipotetico scambio con il Barcellona che potrebbe portare Arthur sotto la Mole. Non mi dispiace nemmeno l’idea che Sarri ritrovi Jorginho. Occorrerà valutare il domani di Higuain. La mente si sposta sul Milan e anche qui potrei scrivere per ore. Il discorso relativo a Rangninck è parecchio intrigante così come il futuro di Maldini o di Ibra. Lautaro andrà in Catalogna? Chi sarà il suo sostituto? Le tematiche sono infinite e vorrei scrivere pagine intere sprecando uragani di inchiostro per dare il largo al mio amore per questo sport.

Il grande filosofo tedesco Hegel affermava che “nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione”. Quanto è vero. Questo sentimento è troppo importante per trascinare la mente umana e può essere messo a dura prova. Nel momento attuale è proprio così. La mancanza di certezze sulla data della ripresa provoca immense difficoltà nel trattare l’argomento calcio come si esponeva qualche mese fa. Allora si avevano sicurezze. Adesso è tutto in balia di un domani incerto. Fatico a parlare di mercato quando non so nemmeno se riprenderà la stagione o se dovremo aspettare il mese di agosto. Come si può trattare di schemi e di tattica quando sono 2 mesi e mezzo che il pallone non rotola sul prato e i giocatori sono stati 60 giorni chiusi all’interno delle loro abitazioni correndo il forte rischio di aver perso tonicità e atletismo? Prima di parlare di calcio, occorre salvare questo sport e comprendere che ne sarà del suo futuro. Non si ha un calendario, non si ha un’idea di ciò che potrà accadere nel breve periodo e diventa assolutamente improbo immaginare i soliti voli pindarici estivi su determinati trasferimenti che a volte sono sognati, altre divengono reali. Tutto questo chiaramente vale per il sottoscritto.
Apprezzo e ammiro i miei Colleghi Blogger che invece riescono perfettamente e in maniera molto interessante a sviscerare tali tematiche
. Sono giustamente e consciamente più ottimisti di me perché una cosa è certa: in autunno il pallone ritornerà. Lo stesso vale per il mondo dei media che ci racconta importanti e stimolanti novità relative a eventuali cambi di maglia o ribaltoni dirigenziali. Non posso che ringraziare questi giornalisti perché ci riportano alla realtà e concepiscono un futuro che attualmente fatico a percepire. Cerco anche di mettere in campo la buona volontà. Mi accingo a battere un pezzo su un tema simile oppure a raccontare una storia passata legata al pallone o di un suo eroe, poi navigo in rete e noto l’incertezza più totale sulla ripresa così la mente si allinea a questo paradigma e mi spinge a trattare di altro e a sviscerare diverse tematiche. A proposito, ringrazio la Redazione per la stupenda iniziativa del Diario dell’Isolamento che ci consente di descrivere questo periodo fornendoci la chance di esprimere il nostro parere e di raccontarci liberando l’animo. Personalmente lo trovo molto utile.
Mi sforzerò nel tentativo di alternare queste tematiche al calcio. Vorrei tanto parlare di pallone perché è la mia più grande passione e, secondo Oriana Fallaci, “per non assuefarsi, non rassegnarsi, non arrendersi, ci vuole passione. Per vivere ci vuole passione”. E’ questione di attendere ancora poco tempo, poi tornerà per la gioia di 32 milioni di appassionati e di 300mila lavoratori.