Spesso noi dimentichiamo che se siamo al mondo lo dobbiamo ad una donna, la nostra mamma. Sì, sono le mamme che ci portano al mondo, proprio come il verbo inglese "to be born", che significa essere portati, e che sostituisce il verbo nascere, che non esiste in quella lingua. Essere portati, vuol dire che per nove mesi, e qualche volta meno, nel ventre di una donna riceviamo un atto di amore infinito, totale, e forse è l'unica manifestazione naturale che ci conduce più vicino all'amore totalizzante, detto agape, che solo Dio può dare. 
Nella nostra vita, conosciamo, giocoforza, più donne. La prima, come detto, la mamma, poi sorelle (se ci sono) mogli, figlie, nipoti, e tutte sono esperienze d'amore incredibile. E per questo, il primo compito di noi uomini, se tali vogliamo essere, è proteggere le nostre donne. Un uomo che non protegge la propria donna, o qualsiasi altra donna, non è degno di definirsi uomo. Il concetto spesso tirato in ballo della proprietà di una donna, della sua alienazione nel mondo esclusivo di un uomo, è un fattore deviante, incomprensibile in una società moderna. Nessuno possiede un altro essere umano, altrimenti entreremmo nella schiavitù, fisica o mentale, abolita da molto tempo, e che è lesiva di ogni libertà che  ogni individuo deve potere esercitare. E l'amore non concede diritti speciali, anzi, deve prescrivere doveri, di protezione, di affetto e di ambire alla felicità della partner e della famiglia che si costruisce con lei.

Dopo questo preambolo, secondo me necessario, vorrei parlare di come le "nostre" donne si sono inserite, anche faticosamente nel mondo dello sport. Alcuni sport, come l'atletica leggera, ha consentito un ingresso più semplice nelle attività sportive nazionali. La grande Ondina Valla, ad esempio,  vinse nel 1936 a Berlino un oro olimpico nella specialità degli ottanta metri piani, risultando la prima donna italiana medagliata in una olimpiade. Lea Pericoli, negli anni sessanta, fu una grande tennista, famosa per avere portato il gonnellino per la prima volta, durante un match, cosa che fino ad allora era vietata, essendo doveroso indossare solo pantaloncini. Dopo di lei si aprì una strada nuova, ed ancora oggi le tenniste indossano gonnelline, anche più corte, con sotto adeguate "culottes", ma che non scandalizzano più nessuno. In quegli anni sessanta, si incominciavano le prime battaglie per arrivare ad una libertà sessuale, degna di una società moderna,  che cercava di liberarsi di tabù ancestrali, che relegavano la donna esclusivamente a soggetto dedicato alla cucina, a sfornare figli, ad educarli. Lo sviluppo della personalità della donna, la propria carriera nel lavoro, la libertà delle proprie scelte al di fuori di canoni convenzionali, erano agli inizi, ma cominciavano a prendere piede, grazie al '68, che produsse nuove passioni e nuove concezioni della società post bellica. E mi ricordo, che negli anni sessanta, durante un viaggio in Sicilia, tornando nel paese dei miei genitori, mia sorella, che aveva già diciannove anni, scandalizzò tutti, perchè portava i pantaloni, e perchè guidava (guarda un pò) l'automobile. Tornai cinque anni dopo nel paese, e mi accorsi che tutte portavano minigonne, e guidavano auto. Un successo. Intanto nello sport le donne avanzavano, e altri successi arrivavano, con sempre più adesione di ragazze dedite alla pratica di discipline sportive, anche insolite. Tra queste, nacquero le prime squadre di calcio femminili. Pensate l'ilarità iniziale, il calcio era considerato uno sport "maschio" per antonomasia, con scontri fisici, e che non era pensabile si potesse destinare alle donne. Ma alcune donne tennero duro, anche se l'esplosione del fenomeno avvenne molti anni dopo. La Carolina Morace, per anni è stata una grande espressione del nostro calcio, seppure poco aiutata dal livello agonistico del  calcio italiano in generale, ma è stata un apripista importante per lo sviluppo del settore. Infatti, lei e molte altre calciatrici, dovettero emigrare all'estero, dove lo sviluppo del calcio femminile era consolidato ed aveva raggiunto livelli notevoli. E questo a causa della poca o scarsa propensione dei nostri dirigenti calcistici ad investire nel movimento che si andava ad espandere, e senza la benedizione dei nostri massimi vertici, ed i necessari investimenti, si latitava nel limbo. Nel 2017, il Presidente della FIGC Carlo Tavecchio, definì le calciatrici con espressioni omofobe, e quindi indegne di fare parte del nostro panorama calcistico. Da allora si levò una protesta accesa, che coinvolse tutti i membri a vario titolo dello sport che contava. Carlo Tavecchio, fortunatamente, fu poi a fatica allontanato dal suo scranno e, il successore, Gravina, mise tutti a tacere, riconoscendo i diritti delle calciatrici, accogliendole di fatto nella famiglia della FIGC. L'ultimo campionato mondiale femminile, ha visto la nostra nazionale fare una bellissima figura, arrivando ad esntusiasmare anche i maschi più scettici. Bonansea e Girelli, ci hanno dato emozioni, come pure  Sara Gama, Alia Guagni, la Sabatino, ed altre splendide calciatrici, grazie alle quali avevamo sostituito un pochino le delusioni della nazionale maschile, ringraziando non ultima, il loro C.T. Milena Bertolini. E questo era avvenuto anche per  la lungimiranza di alcune società, come la Juventus, il Milan, la Fiorentina, per citarne alcune, che finalmente investirono somme notevoli sul calcio emergente femminile. E pare che il movimento sia in fermento, con sempre più giovani ragazze che vogliono sognare di diventare campionesse dello sport calcistico. Tutto questo, porta anche un miglioramento tecnico e fisico del settore femminile. Infatti anche solo guardando le partite in televisione, si nota oggi una minore differenza tecnica e fisica rispetto alle squadre maschili. Per dare un'idea del loro livello, in una trasmissione si chiese a queste calciatrici come si allenavano, e risposero che facevano amichevoli contro squadre maschili di prima categoria. La domanda fu: come finivano le partite? La risposta lasciò basiti, perché normalmente le donne vincevano con oltre 5/6 reti di scarto. oggi la differenza potrebbe essere anche più ampia. 

Sono quindi felice di vedere che le nostre amate donne si stanno facendo valere, anche se la strada è ancora lunga, e non solo nell'ambito dei diritti sportivi (le donne guadagnano enormente meno degli uomini) Ma soprattutto nei diritti che ancora oggi la nostra società non riconosce in pieno e, soprattutto non riconosce nel diritto della loro sicurezza. E qui dovremmo aprire un triste dibattito sulle lacune legislative e, soprattutto organizzative, che sono il fondamento della lotta al femminicidio(parola che mi mette i brividi), ma sarebbe troppo lungo, e non mi sento all'altezza di risolvere il problema, almeno non io da solo, perchè mai come oggi il problema è diffuso e richiede la partecipazione di più soggetti possibili, tra i quali proprio gli uomini dovrebbero fare di più. 

In qualche libro è stato scritto: guai a fare piangere una donna, perché il signore conta tutte le sue lacrime. Un bel monito, ed io una volta feci piangere mia madre, quando mi infortunai (non gravemente) dopo una partita di calcio, lei arrivò all'ospedale in lacrime, ed io non lo sopportavo. Mi ripromisi di farla mai più piangere. Però, un giorno le parlai, e dolcemente le dissi:"Mamma, potrebbe anche succedere che io mi infortuni giocando a calcio, ma è normale, e poi preferisci che mi rompa qualche osso su di un campo di calcio, o che mi droghi?" La domanda era provocatoria, ma mia madre capì che quando le scelte sono sane, ti allontanano dai vizi e dalle cose brutte della vita. 

Qualche anno dopo mi fece piangere lei, mi lasciò improvvisamente, ma ebbi il conforto di esserle sempre stato vicino, anche nella sua vecchiaia. Le sue lacrime erano volate in cielo, forse a formare nuove stelle, che ci guidano  nel rispetto e nell'amore per le nostre donne.
Amate le vostre donne, sanno rispondere in modo meraviglioso.